giovedì 30 aprile 2015
30 aprile 1950 - Eccidio di Celano
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L'eccidio di Celano fa riferimento ad un fatto di sangue avvenuto in Italia la sera del 30 aprile 1950, quando furono esplosi alcuni colpi di arma da fuoco contro un gruppo di braccianti radunati nella piazza di Celano, in provincia dell'Aquila: due uomini caddero morti e diversi furono i feriti.
L’Italia nel 1950 è ancora un paese che fatica a riprendersi dalle ferite della guerra e di vent’anni di dittatura fascista. Sono gli anni del “doppio Stato”, in cui formalmente si costruisce, finalmente, uno Stato di diritto, ma contemporaneamente si cerca di contenere, con la forza, il pericolo di sommosse popolari. L’economia italiana è in ripresa, per la riconversione di molte industrie belliche, la società si è incamminata verso i nuovi consumi e i nuovi costumi del “boom” che arriverà dieci anni più tardi, ma ampie sacche di arretratezza, anche sociale e culturale, persistono nelle zone agricole del centro e in particolare del meridione. In Sicilia, in Calabria, in Puglia e in diverse altre regioni d’Italia i braccianti, coordinati dai partiti della Sinistra, dai sindacati e dalle organizzazioni di categoria, invadono e occupano le terre del latifondo, protetto dal fascismo prima e dalla DC poi. La reazione del governo è ferma e sanguinosa: il VI governo De Gasperi, per opera del ministro degli interni Mario Scelba e dei suoi “celerini”, inasprisce la repressione contro ogni forma di agitazione politica organizzata dalla Sinistra. Prima la strage di Portella della Ginestra, in cui la reazione agraria non esitò ad usare la mafia contro i contadini, poi, alla fine del ’49, le stragi di Melissa e di Torremaggiore. La repressione, però, non ferma la protesta e le rivendicazioni contadine, che costringono il governo a mettere in cantiere quella che poi sarebbe stata la Riforma agraria.
La fine della Seconda guerra mondiale aveva posto l’Italia davanti allo sforzo della ricostruzione e della ripresa economica. Nella Marsica la situazione dei contadini e dei braccianti è disastrosa: il latifondo del Fucino è abbandonato dalla famiglia Torlonia nell’arretratezza economica e sociale e le risorse agricole e finanziarie vengono sfruttate per alimentare lo Zuccherificio e la Banca di proprietà del Principe. Organizzati dalla CGIL e dai partiti della Sinistra, i braccianti portano avanti una protesta che punta ad ottenere l’intervento del governo e rivendica l’imponibile di manodopera. Alla fine del 1949 nasce il Comitato Centrale per la Rinascita della Marsica, che presidia ogni comune del Fucino. Il 6 febbraio 1950 i sindacati organizzano il famoso “sciopero alla rovescia”: i lavoratori scendono dai centri abitati alla piana e lavorano alle opere di manutenzione delle strade e dei canali di irrigazione. Alla lotta partecipa tutto il popolo marsicano, compresi i fittavoli e gli artigiani, anche i bambini e le donne che assolvono ad un ruolo logistico fondamentale. La protesta ha successo e Torlonia è costretto ad impegnarsi a pagare 350 mila giornate di lavoro per la manutenzione dei canali e delle strade del Fucino.
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1 commento:
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Bella pagina di brutta storia, Vincenzo!
RispondiEliminaGrazie di avercene parlato!