mercoledì 14 maggio 2014
L’identità tra rete e “realtà”
Articolo da Doppiozero
Prendiamo due situazioni qualunque della mia vita quotidiana: in una ci sono io che scambio due parole di circostanza col mio vicino di posto (già, ero in tribuna) aspettando il concerto dei Queens of the Stone Age; nell’altra ci sono sempre io, ma stavolta sto commentando una foto postata sulla pagina Facebook ufficiale della medesima band. Quale dei due contesti è più “reale”? Dove la mia identità è più “virtuale”? Sono domande che hanno segnato lo studio di Internet almeno dal 1984, l’anno in cui “The Second Self” di Sherry Turkle finiva sugli scaffali delle librerie. Ora che i pomeriggi passati a far finta di chiamarsi Pamela sulle chat anonime sono esclusiva di pochi nostalgici, i tempi sono maturi per un cambio d’approccio. Il “dualismo digitale”, ossia l’idea che vi sia una netta discontinuità tra il mondo sociale offline e quello online, ha finora dominato gran parte del discorso pubblico e accademico intorno ai social media. Peccato che, mentre veniva alternativamente dipinto o come un cyber-spazio egualitario capace di garantire libere sperimentazioni identitarie o come un focolaio di pericolosa devianza sociale, il Web stava cambiando, e molto rapidamente.
Dal predominio del nickname a quello di nome/cognome/data di nascita; dal conoscere nuovi amici in chat al ritrovare i vecchi su Facebook – per non parlare dell’“amicizia” dovuta alla mamma, al capo e al vicino; dalla libertà espressiva del gender swapping (il cambio di sesso “virtuale”) al controllo peer-to-peer dei nostri conoscenti, sempre ansiosi di smascherare un passo falso, manco fossero attivisti di Wikipedia. Una laurea millantata su Linkedin, una fidanzata immaginaria su Facebook, una citazione rubata su Twitter: orrore! E mentre nell’ultimo decennio l’utente anonimo diventava “nonimo”, l’utopia democratica si trasformava in distopia oligarchica e la presunta libertà mutava in tracciabilità, è divenuta sempre più palese l’impossibilità di segnare un netto confine tra identità e socialità fisica e digitale, offline e online. La penetrazione sempre più capillare dei social media nella quotidianità ha portato le nostre vite, le nostre “vere” vite, ad immergersi sempre più placidamente nel territorio digitale. È difficile ricordarsi se una conversazione abbia avuto luogo su Facebook, via SMS, via WhatsApp, via Skype, telefonicamente o dal vivo; forse questo perché non percepiamo nessun confine significativo tra situazioni sociali delimitate elettronicamente e fisicamente. Tornando all’identità, questo non si traduce con “siamo sempre gli stessi, online e offline” ma, piuttosto, con “non siamo mai gli stessi, né online né offline”.
L’identità non va considerata come una proprietà stabile dell’individuo, ma come la risultante di un processo sociale, un equilibrio transitorio e, soprattutto, contestuale; perché è proprio il contesto in cui ci troviamo a co-costruire la maschera identitaria che comunichiamo – con le parole, il tono di voce, la postura, i vestiti che portiamo indosso. Che le identità degli “attori sociali” siano da considerarsi come agglomerati contradditori di “rappresentazioni” fatte di omissioni, iperboli e invenzioni narrative lo diceva (ben prima dell’arrivo di Internet) Erving Goffman, il quale enfatizzava il carattere artificiale, drammaturgico, strategico delle presentazioni del self (il “Sé”, definito in termini filosofici, psicologici e sociologici) giocate sui molteplici palcoscenici della vita quotidiana.
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Fonte: Doppiozero
Autore: Massimo Airoldi
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Articolo tratto interamente da Doppiozero
1 commento:
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Non ci vedo niente di diverso in tutto ciò, considerando che anche nella "realta reale" c'è chi cambia identità: scrittrici che si nascondono sotto pseudonimi maschili, cantanti, pittori...
RispondiEliminaL'essere umano è di per sè contraddittorio e tende a nascondersi dietro delle maschere.
Un saluto