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venerdì 12 dicembre 2025

La trappola dei social: più scroll, meno consapevolezza corporea


Articolo da UnifiMagazine

Uno studio delle Università di Firenze, Pisa e Toledo mostra che l’uso problematico dei social può aumentare il distacco corporeo e l’immersione nella fantasia

entirsi meno in contatto con il proprio corpo, prestare meno attenzione alle sue sensazioni, percepirsi più distanti dalla propria esperienza fisica. L’uso problematico dei social media non influisce solo sull’attenzione o sull’umore: può favorire nel tempo il distacco dall’esperienza corporea.

È quanto emerge da uno studio pubblicato sul Journal of Behavioral Addictions, intitolato “A 2-wave study on the associations between dissociative experiences, maladaptive daydreaming, bodily dissociation, and problematic social media use” e firmato da Silvia Casale dell’Università di Firenze, Simon Ghinassi dell’Università di Pisa e Jon D. Elhai dell’University of Toledo negli Stati Uniti (https://doi.org/10.1556/2006.2025.00075).

La ricerca è stata condotta su 216 studentesse e studenti universitari italiani tra i 18 e i 33 anni in due momenti, a distanza di quattro mesi, tra il 2023 e il 2024. Oltre la metà dei partecipanti ha dichiarato di trascorrere almeno due ore al giorno sui socialInstagram è risultata la piattaforma più usata, seguita da TikTok, e in misura minore da X e Reddit.

“Quello che la ricerca chiarisce per la prima volta è la direzione del legame tra dissociazione corporea e uso problematico dei social – spiega Simon Ghinassi –. I risultati suggeriscono che non è il sentire il proprio corpo estraneo a portare a perdere il controllo sul proprio uso dei social. Succede il contrario. È l’uso compulsivo dei social cosiddetti appearance-based, per esempio Instagram, che, nel tempo, porterebbe ad un aumento del distacco dal proprio corpo”.

“Il funzionamento delle piattaforme social – basato sull’editing e la manipolazione di immagini di sé – spinge a rappresentarsi attraverso una versione modificata del proprio corpo, a identificarsi temporaneamente con un’immagine idealizzata di sé e, al tempo stesso, a guardarsi da una prospettiva esterna, come se si fosse osservatori di sé stessi. Con il tempo, questa visione in terza persona può favorire un distacco dal proprio corpo e alimentare esperienze di dissociazione” aggiunge Silvia Casale.

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Fonte: UnifiMagazine

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Articolo tratto interamente da UnifiMagazine


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