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mercoledì 17 dicembre 2025

Italia quasi ultima in Europa per investimenti nell’istruzione


Articolo da Openpolis

I dati confermano come al diminuire del livello di istruzione corrispondano retribuzioni più basse. Per questo l’investimento in tale ambito può contribuire a una riduzione dei divari socio-economici. Anche se non è di per sé un indice di qualità, si tratta di un elemento da monitorare.

I recenti dati pubblicati da Istat sulla povertà in Italia ci indicano che il 12,3% delle famiglie con figli nel 2024 si è trovata a vivere in condizioni di povertà assoluta. Una quota che supera il 20% tra i nuclei con almeno 3 minori a carico.

I dati confermano inoltre che la condizione economica delle famiglie tende a peggiorare al diminuire del titolo di studio della persona di riferimento. Tendenzialmente infatti un basso livello di istruzione riduce le opportunità di accesso a lavori qualificati e meglio retribuiti, accentuando la vulnerabilità economica. Una dinamica confermata anche dai dati relativi alla struttura delle retribuzioni in Italia. Da queste elaborazioni emerge infatti come il livello dei salari medi tenda a diminuire al calare del titolo di studio conseguito, con significativi divari di genere.

+58,8% il divario retributivo medio tra chi ha conseguito una laurea e chi si è fermato alla terza media in Italia nel 2022.

Come abbiamo avuto modo di raccontare, questo tipo di divari socio-economici tende a tramandarsi di generazione in generazione, per la forte segmentazione nel percorso di studi in base alla famiglia d’origine. Per i figli di famiglie svantaggiate infatti è meno frequente raggiungere i gradi di istruzione più alti, rispetto ai coetanei. Investire in un’istruzione accessibile per tutti resta quindi una leva imprescindibile per cercare di far uscire bambini e bambine, ragazzi e ragazze dalla trappola della povertà educativa. Peraltro, nel suo ultimo rapporto annuale, Invalsi ha evidenziato come sia necessario intervenire fin dai primi gradi di studio. Già in terza media infatti si possono accumulare gap educativi difficilmente recuperabili. Questi possono condurre ai fenomeni come quello della dispersione scolastica, sia esplicita che implicita.

Le recenti esperienze dimostrano che, quando le azioni sono progettate sulla base delle esigenze specifiche di scuole e classi, i risultati non tardano ad arrivare. L’analisi dei dati, l’autonomia responsabile e il supporto alle comunità educanti si confermano leve strategiche.

In questo senso, la spesa in istruzione – pur essendo un indicatore quantitativo e non qualitativo – resta uno degli aspetti da monitorare per valutare l’investimento del paese in questa priorità. Da anni purtroppo l’Italia si colloca tra i paesi europei con la più bassa spesa in rapporto al prodotto interno lordo.

3,9% la quota di spesa pubblica destinata all’istruzione rispetto al Pil nel 2023 in base ai dati Eurostat.

Come detto, si tratta di un valore quantitativo che quindi di per sé non rappresenta un indicatore di qualità dell’offerta educativa. Allo stesso tempo, porre questo comparto al centro delle politiche pubbliche può contribuire a una riduzione dei divari sociali, educativi e territoriali che gravano sul paese.

Divari retributivi e titoli di studio in Italia

I dati raccolti da Istat nell’ambito dell’indagine europea RCL-SES consentono di evidenziare piuttosto chiaramente il legame tra il livello di istruzione e la retribuzione. Nel 2022, ultimo anno della rilevazione, infatti i lavoratori dipendenti con un diploma di scuola superiore guadagnavano in media circa 35mila euro all’anno, il 18,5% in più rispetto a chi possedeva al massimo la licenza media (29.567 €). I laureati invece arrivavano a guadagnare circa il 59% in più (46.953 €).

In questa dinamica si inserisce anche l’annosa questione del divario retributivo di genere. Dai dati infatti emerge chiaramente come le donne guadagnino generalmente meno degli uomini, anche a parità di livello di istruzione. Complessivamente infatti nell’anno in esame la retribuzione media annua degli uomini ammontava a 39.982 euro mentre quella delle donne si fermava sui 33.807 euro. Una differenza percentuale del 18,3%. Questo divario aumenta con il crescere del livello di istruzione: è del 19,9% per i dipendenti con al massimo la licenza media, sale al 20,5% per l’istruzione secondaria superiore e raggiunge il 39,9% per l’istruzione terziaria.

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Fonte: Openpolis

Autore: redazione Openpolis

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Articolo tratto interamente da 
Openpolis


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