Articolo da Il Manifesto
Manovra e miserie A chi comanda 408 euro all’anno, 23 a chi lavora. Upb, Istat, Corte dei Conti e Bankitalia smontano la legge di bilancio: banche, cartelle, fisco, salari. Governo sommerso dalle critiche, Giorgetti «in difesa»
Quando una legge di bilancio è scritta da Bruxelles, in vista del mostruoso aumento della spesa militare promesso alla Nato e a Trump (il 5% del Pil entro dieci anni), si gioca «in difesa». L’Italia non è un «dream team» e non ha i mezzi per «sfasciare il mondo». Al ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti non piace solo lo sfortunato Southampton nel calcio, ma anche il basket. Anche qui l’Italia «non è una grande potenza» come gli Stati Uniti che dettano le condizioni ai loro fedeli alleati, pardon sudditi. Non solo tra i canestri, ma su dazi, armi e gas. Non resta che obbedire e accettare la «realtà».
CON QUESTA METAFORA sportiva che traduce il suo realismo capitalista, ieri Giorgetti ha cercato di scrollarsi la pioggia di critiche piovuta sul governo da parte dell’Istat, di Bankitalia, della Corte dei Conti e dell’Ufficio parlamentare di Bilancio (Upb). Risentito per le critiche di quelli che ha definito «professori» ( come un Renzi qualsiasi), ha sferrato un attacco populista alle autorità indipendenti che hanno smontato la «sua» manovra.
IL MINISTRO più sportivo del governo Meloni ha chiuso così l’estenuante ciclo di 80 audizioni sulla manovra più mediocre degli ultimi anni. Non lo è per mancanza di ingegno. Lo è perché l’esecutivo ha firmato il «patto di stabilità» Ue e oggi è stritolato fino al 2029 dal Piano strutturale di bilancio di medio termine dettato dalla Commissione Ue al governo Meloni. In vigore dal 2024 impone all’Italia un limite medio di crescita della spesa netta pari all’1,6% annuo. Un vincolo che ha imposto l’«impatto nullo» sul Pil della prossima manovra che non affronta nessuno dei problemi strutturali di un’economia già tarata e dispensa invece misure regressive. Ad esempio, il taglio della seconda aliquota dell’Irpef dal 35% al 33%, che distribuiscono una mancia i redditi da 48 mila euro in su e penalizzano quelli più poveri da 28 mila euro ai quali è comunque rivolta.
LA PRESIDENTE DELL’UPB Lilia Cavallari ha spiegato che la riduzione di due punti dell’Irpef premierà di più solo l’8% di una platea composta da 13 milioni di lavoratori dipendenti. A questo otto per cento andrà quasi la metà dei 2,7 miliardi di euro stanziati dalla manovra. Secondo l’Upb un beneficio medio di 408 euro all’anno, cioè 34 euro al mese, andrà ai dirigenti; 123 (10 al mese) agli impiegati; 23 (1,91 al mese) agli operai. Proprio chi ha meno reddito riceve di meno, dunque. Senza contare la compensazione dei benefici sui redditi sopra i 200 mila euro. Riguarderà 58 mila persone che avranno 188 euro (15 euro al mese). Non ne hanno bisogno, evidentemente. Questo capolavoro di iniquità si è reso necessario per ricompensare i redditi che sono stati penalizzati dal «taglio del cuneo» fiscale degli anni scorsi. A parere dell’Upb il «drenaggio fiscale» è stato già compensato per i redditi fino a 32 mila euro. L’effetto è quello della coperta corta: quando si tira lascia sempre una parte scoperta.
PER QUESTO L’UPB ha posto la necessità di «pensare a interventi non emergenziali, fuori dal sistema fiscale» per aumentare i salari. Questione che non sfiora il governo che continua a peggiorare l’Irpef. Ciò ha provocato un altro problema: la «flat tax» del 5% applicata sugli aumenti contrattuali per i redditi da lavoro fino ai 28 mila euro. Ciò aumenterà l’aliquota marginale del 30% su redditi modesti. Il governo ha dovuto trovare un rimedio pasticciato. La crisi del sistema fiscale, ad avviso dell’Upb, non può essere risolta con «rimedi temporanei» che creano «problemi di equità orizzontale» con il quaranta per cento dei dipendenti privati che hanno rinnovato il contratto prima del 2025.
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Fonte: Il Manifesto
Autore: Roberto Ciccarelli

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Articolo tratto interamente da Il Manifesto







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