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lunedì 3 novembre 2025

Contro la disumanizzazione: empatia planetaria



Articolo da Filosofemme

Cosa hanno in comune il ritenere le donne delle streghe, i poveri dei parassiti, gli indigeni degli animali e i nemici dei mostri?

Il fatto che a sostenere queste metafore c’è una strategia utile a legittimare, a priori e anche a posteriori, i nostri peggiori comportamenti contro chi si ritrova vittima di questi accostamenti svilenti. Ciò che li accomuna è la deumanizzazione.

Accade che persone singole o gruppi sociali neghino lo status di umano di altre persone o gruppi, considerandoli meno che umani, altro dalla nostra specie, al fine di giustificare le atrocità che, presto o tardi, verranno a questi riservate.

Ecco cosa si intende per deumanizzazione: rendere l’altrə meno che umanə, privarlo della protezione che riserviamo a quelli che consideriamo nostri pari conspecifici.

Si potrebbe ritenere una persona meno che umana senza, al contempo, avere un’idea di che cosa sia umanə?

No, è necessario che vi sia un’essenza, un insieme di qualità che si crede rappresentino l’umanə e che permette, di converso, di additare come inumano tutto ciò che vi si discosta.

Ma questo kit per definire l’umanità spuntando le caratteristiche che più si crede gli appartengano, rivela anche altro; e cioè che le persone credono umanə ciò che è buono, intelligente, empatico e giusto e in queste caratteristiche si rispecchiano.

Di pari passo, rifiutano però di scorgere in se stesse qualità meno nobili come la vigliaccheria, l’arroganza, l’infedeltà e la cattiveria, ad esempio.

Un’ideologia, questa, che descrive l’umanità come apice morale ed evolutivo della storia terrestre e che confina ad altro da sé chiunque, seppur biologicamente umanə, con le proprie mancanze o diversità potrebbe far vacillare l’immagine virtuosa che ci si è costruiti.

Dagli schiavə dell’antica Grecia – ritenuti oggetti, meri corpi privi di ragione e sentimenti – ai conquistatori europei alla volta dell’America – che a loro volta ritennero di dover sterminare persone nativə, considerati un ché meno che umanə da sopprimere o cacciare – alla caccia alle donne considerate streghe e alle persecuzioni contro poverə in rivolta, ogni tempo ha avuto a che fare con dei gruppi sociali che, al potere, deumanizzavano altre persone servendosi di una logica essenzialista.


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Fonte: Filosofemme

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Articolo tratto interamente da 
Filosofemme


2 commenti:

  1. "Il capro espiatorio" di Girard.
    "Stigma" di Goffmann.
    Ne parlano da un secolo, con scarsi risultati. La deumanizzazione (o disumanizzazione) del "diverso" rimane un meccanismo antropologico insormontabile. Affonda le radici nell'origine della Specie, quando dovevamo "istintualmente" distinguere i "nostri" dai "nemici" - basandoci sul cervello rettiliano, la parte più antica del nostro cervello, che reagisce più per automatismi emotivi che secondo logica, ragione e quindi "umanità" in senso lato.
    Ci sono poi persone più o meno predisposte a questo tipo di esclusioni moralmente disoneste, ma in linea di massima ormai "ciò che è UMANO" è "ciò che è COMUNE", cioè ciò in cui la "maggioranza" degli esseri umani si riconosce. Mentre a sancire l'umanità degli individui dovrebbero essere - perché nei fatti "sono" - ben altri criteri.
    -Anna

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