venerdì 3 gennaio 2025

Voci di resistenza: i cortometraggi di From Ground Zero


"From Ground Zero" è un progetto cinematografico di grande rilevanza che raccoglie 22 cortometraggi realizzati da registi palestinesi, lanciato dal regista Rashid Masharawi. Questo progetto è nato in risposta agli eventi drammatici seguiti agli attacchi del 7 ottobre 2023, un periodo caratterizzato da intensa tensione e conflitto a Gaza.

L'iniziativa è stata concepita come una forma di espressione artistica e testimonianza della realtà vissuta dai palestinesi. Ogni cortometraggio è stato ideato, scritto e diretto da giovani autori palestinesi, offrendo una varietà di voci e prospettive sulla vita a Gaza. L'idea di un film collettivo permette di esplorare temi complessi come la resistenza, la speranza e la lotta quotidiana per la libertà.

"From Ground Zero" ha già attirato l'attenzione internazionale, essendo stato candidato agli Oscar 2025 come miglior film internazionale. Questa nomination rappresenta non solo un riconoscimento artistico, ma anche un importante grido d'aiuto che mette in luce le difficoltà affrontate dalla popolazione di Gaza.

Trailer: https://youtu.be/tA8L7GhC380?si=GPdJ3vwp70WbJSC9


Cultura non è avere il cervello...


"Cultura non è avere il cervello pieno di date, nomi o cifre, è la qualità del giudizio, l'esigenza logica, l'appetito per la prova, la nozione della complessità delle cose e della difficoltà dei problemi, è l'abitudine del dubbio, il discernimento nella diffidenza, modestia di opinione, pazienza di ignorare, certezza che non avremo mai tutta la verità, è avere la mente ferma senza averla rigida, è essere armati contro la vaghezza e anche contro la falsa precisione, è rifiutare tutti i fanatismi e anche quelli che si basano su la ragione, è sospettare dei dogmatismi ufficiali ma senza alcun beneficio per i ciarlatani, è venerare il genio ma senza farlo un idolo, è sempre preferire ciò che è a ciò che uno preferirebbe che fosse."

Jean Rostand


L'invasione israeliana del nord di Gaza è un "precursore" dell'annessione, avvertono gli esperti delle Nazioni Unite



Articolo da Truthout

Questo articolo è stato tradotto automaticamente. La traduzione rende il senso dell’articolo, tuttavia consigliamo di leggere il testo originale su Truthout

Le autorità militari israeliane hanno affermato che intendono impedire ai palestinesi di fare ritorno nel nord di Gaza.

Un gruppo di esperti delle Nazioni Unite esorta le potenze internazionali a intervenire nell'attacco genocida di Israele, avvertendo che l'assedio totale e la pulizia etnica del nord di Gaza sono probabilmente una dimostrazione dell'intenzione di Israele di annettere la Striscia di Gaza.

In una dichiarazione rilasciata questa settimana, il gruppo di esperti ha affermato che il genocidio di Israele non è solo un attacco ai palestinesi e al loro diritto alla vita, ma anche un attacco ai fondamenti stessi delle norme umanitarie internazionali.

“Piuttosto che rispettare [il diritto umanitario internazionale], Israele ha apertamente sfidato il diritto internazionale più e più volte, infliggendo la massima sofferenza ai civili nei territori palestinesi occupati e oltre”, hanno affermato gli esperti.

Hanno continuato dicendo che Israele ha commesso numerosi atti genocidi e crimini contro l'umanità, tra cui l'incessante attacco ai civili, il trasferimento forzato di massa, l'uso della fame come arma di guerra e molto altro. Gli attacchi al nord di Gaza negli ultimi tre mesi sono stati particolarmente atroci, con Israele che ha "gravemente violato" i suoi obblighi in quanto potenza occupante a Gaza.

"Gli attacchi indiscriminati, compresi quelli ai rifugi per gli sfollati e all'ospedale Kamal Adwan e nelle sue vicinanze, e l'intensificazione delle condizioni di assedio nel nord di Gaza negli ultimi tre mesi sono contrari al dovere legale di Israele di garantire la protezione della popolazione civile", ha affermato il gruppo.

"Siamo turbati dal fatto che questo assedio, unito all'aumento degli ordini di evacuazione, sembri avere l'obiettivo di sfollare in modo permanente la popolazione locale, come precursore dell'annessione di Gaza, in ulteriore violazione del diritto internazionale", hanno spiegato.

La dichiarazione è stata firmata da 12 esperti delle Nazioni Unite, tra cui la relatrice speciale per i territori palestinesi occupati Francesca Albanese e il relatore speciale sul diritto al cibo Michael Fakhri, che si sono espressi apertamente sulla questione dei diritti dei palestinesi.

Da ottobre, le forze israeliane sembrano aver avviato una campagna per ottenere la totale pulizia etnica del nord di Gaza, un piano per il quale accademici e funzionari militari israeliani hanno fatto circolare per mesi.

Israele ha portato a termine questo obiettivo attraverso uccisioni indiscriminate nella regione, ordinando evacuazioni di massa e prendendo di mira coloro che cercavano di fuggire, bloccando quasi completamente gli aiuti umanitari nella regione e distruggendo qualsiasi cosa sostenesse la vita nella regione, compresi gli ospedali.

Gli analisti hanno affermato che, attraverso il suo genocidio e le sue mosse legislative, Israele si sta posizionando per annettere e reinsediare Gaza. Le forze israeliane hanno affermato che ai palestinesi del nord di Gaza non sarà consentito di tornare alle loro case, nonostante sia un crimine di guerra impedirglielo; mentre riducevano in macerie le infrastrutture civili in tutta Gaza, le forze israeliane hanno anche costruito infrastrutture come avamposti e corridoi militari, creando linee e confini all'interno del territorio.

Alcuni dei gruppi di coloni e politici israeliani più schietti hanno anche annunciato apertamente la loro intenzione di colonizzare Gaza. Il ministro della sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir ha affermato che Israele dovrebbe svuotare Gaza di tutti i palestinesi e ha partecipato a numerosi eventi che chiedevano il reinsediamento di Gaza, insieme ad altri ministri come il ministro delle finanze Bezalel Smotrich.


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Fonte: Truthout

Autore: 

Articolo tratto interamente da Truthout



Esiste qualcosa di più grande...



"Esiste qualcosa di più grande e più puro rispetto a ciò che la bocca pronuncia. Il silenzio illumina l’anima, sussurra ai cuori e li unisce. Il silenzio ci porta lontano da noi stessi, ci fa veleggiare nel firmamento dello spirito, ci avvicina la cielo; ci fa sentire che il corpo è nulla più che una prigione, e questo mondo è un luogo d’esilio." 

 Khalil Gibran


C'era una volta in America: recensione del film

MANHATTAN BRIDGE TOWER IN BROOKLYN, NEW YORK CITY, FRAMED THROUGH NEARBY BUILDINGS. BROOKLYN REMAINS ONE OF AMERICA'S... - NARA - 555898


C'era una volta in America (Once Upon a Time in America) è un film del 1984 diretto da Sergio Leone.


Attenzione: il seguente articolo contiene spoiler del film!


Trama 

New York, 1933. Epoca del proibizionismo. Quattro spietati sicari di origine italiana, inviati da ignoti mandanti, cercano rabbiosamente il gangster David "Noodles" Aaronson, dopo aver assassinato Eve, la sua compagna. "Fat" Moe Gelly, proprietario del bar dove Noodles risiede, viene pestato a sangue nel piano superiore del suo locale, finché non indica un teatro cinese con annessa fumeria d'oppio. Noodles si trova lì per dimenticare la morte dei suoi tre amici e compari, "Patsy" (Patrick Goldberg), "Cockeye" (Philip Stein) e "Max" (Maximilian Bercovicz). In un flashback lo si vede assistere all'incendio di un camion carico di casse di whisky e alla morte degli amici; sull'asfalto giacciono i loro corpi, uno dei quali - quello di Max - è completamente carbonizzato.

Due dei quattro scagnozzi irrompono nel teatro cinese, ma Noodles fugge in tempo da un'uscita secondaria. Recatosi al locale di Fat Moe, uccide il terzo sgherro, ma non soccorre l'amico così da scagionarlo agli occhi dei sicari; quindi prende una chiave riposta in un orologio a pendolo e si reca in una stazione ferroviaria, dove apre una cassetta di sicurezza, al cui interno c'è una valigia che contiene solo vecchi giornali. Confuso e rassegnato, decide di salire sul primo treno in partenza, diretto a Buffalo, scappando per sempre da New York per rifarsi una nuova vita.

1968. Noodles, oramai ultrasessantenne, torna a New York e incontra Moe che continua a gestire il bar. I due discutono di una strana lettera, apparentemente speditagli da un rabbino locale, in cui lo si invita a trattare il trasferimento delle salme dei suoi tre amici, avvenuto già otto mesi prima, a spese di un ignoto benefattore nel sontuoso cimitero di Riverdale. Noodles suppone che la missiva costituisca il messaggio di un vecchio nemico che gli fa così intendere di averlo rintracciato, nonostante egli viva altrove sotto falso nome. Moe lo ospita per la notte nell'appartamento adiacente al locale. Noodles, ora solo, vaga per il locale e guardando attraverso una feritoia che dà su un magazzino, vede affiorare alla mente antichi ricordi. 

1918. Un adolescente Noodles spia la bella Deborah Gelly, sorella di Moe, mentre si esercita aspirando a diventare una ballerina. Sarà il grande amore della sua vita. Noodles è un ragazzo di strada del quartiere ebraico del Lower East Side di New York e vive di espedienti. Imbattutosi fortuitamente in un suo coetaneo, lo smaliziato Max Bercovicz che si è appena trasferito dal Bronx, i due costituiscono con gli amici Patsy, Cockeye e Dominic una propria gang indipendente, iniziativa per la quale si inimicano il piccolo boss locale Bugsy.

Il giorno della pasqua ebraica (Pessach), mentre tutta la comunità è in preghiera in sinagoga, Noodles incontra Deborah nel bar dei Gelly. La fanciulla non approva il suo stile di vita e perciò, seppur a malincuore, non vuole concedersi a lui. Proprio nel bel mezzo del dialogo, Noodles viene richiamato fuori da Max e abbandona Deborah. Una volta in strada, i due ragazzi vengono malmenati e derubati da Bugsy e dai suoi compari. Noodles, sanguinante, cerca rifugio bussando alla porta di Deborah, la quale però, nel rimarcare il proprio disappunto, lo abbandona fuori al proprio destino.

Noodles e soci, nonostante le intimidazioni, continuano le loro attività in proprio, fino a mettere a punto un espediente per recuperare le casse di whisky gettate in mare dai contrabbandieri italo-americani, eludendo così le motovedette della polizia fluviale. Ottengono ingenti guadagni e inaugurano un fondo comune, custodito in una valigia depositata presso una cassetta di sicurezza di una stazione.

Bugsy, furioso per lo sgarbo, tenta di eliminare la gang una volta per tutte e a farne le spese è il giovanissimo Dominic, ucciso con un colpo di pistola alle spalle. Noodles si vendica uccidendo Bugsy, ma viene colto in flagrante da due poliziotti; nel tentativo di difendersi dall'arresto accoltella uno degli agenti di polizia, per cui viene condannato a scontare una pena detentiva di dodici anni.

1968. Noodles si reca a Riverdale, nella monumentale cappella fatta erigere dallo sconosciuto benefattore. All'interno legge il proprio nome su una targa commemorativa e trova una chiave, che riconosce essere identica a quella della cassetta di sicurezza usata tanti anni prima. Una volta sul luogo, trova una valigia con una cospicua somma e un messaggio: "Pagamento anticipato per il tuo prossimo lavoro".

 1930. Noodles esce di prigione e trova ad attenderlo Max – che stenta a riconoscere – il quale lo informa che nel frattempo la banda ha ingrandito le proprie attività, trasformando l'esercizio di Fat Moe in un bar dove si distribuiscono clandestinamente alcolici in piena epoca proibizionista. Noodles scopre che i suoi tre amici hanno iniziato a compiere dei lavori importanti al soldo di organizzazioni molto potenti di cui Max vuole garantirsi la protezione. Un lavoro consiste in una rapina a una gioielleria di Detroit per conto di un potente boss italo-americano di nome Frankie Monaldi e del suo referente Joe. Il colpo assume risvolti grotteschi: Noodles, provocato da una commessa di nome Carol, arriva a violentarla sebbene ella dimostri compiacenza.

Al momento della consegna della refurtiva, Max e i suoi compari si sbarazzano di Joe e della sua banda, perché Max si era segretamente accordato con Monaldi per eliminare la concorrenza di Detroit. Noodles, visibilmente contrariato e sdegnato per la violenza dell'agguato, redarguisce Max per averlo tenuto all'oscuro e lo accusa di voler tradire la linea indipendente stabilita anni prima. È l'inizio di una graduale frattura, che porta Noodles a diffidare sempre più delle ambizioni del suo amico, palesemente avido di denaro e potere.

1968. Nel bar di Fat Moe, Noodles apprende da un notiziario televisivo che il senatore Christopher Bailey[N 1] è scampato miracolosamente a un attentato dinamitardo. Il politico risulta infatti coinvolto in una controversa indagine per corruzione, durante la quale sono già stati assassinati altri testimoni. Nel servizio appare una vecchia conoscenza, il sindacalista James Conway O'Donnell.

1932. In questo periodo imperversano le lotte del movimento operaio: la banda riceve un incarico da Sharkey, un politico vicino al Sindacato Trasporti. Chicken Joe – uno sgherro al servizio di un certo Crowing, direttore di una fabbrica occupata – ha preso in ostaggio O'Donnell per costringerlo a porre termine a uno sciopero. Noodles e la sua gang intervengono sequestrando Crowing per obbligare Chicken Joe allo scambio dei due ostaggi. Quest'ultimo però non demorde e in seguito ordina la gambizzazione di O'Donnell, che si scopre essere amico di Monaldi. La risposta di Max e Noodles è un'imboscata ai danni del boss, che risparmia solo l'impietrito Crowing. Per garantire il successo dell'operazione, la banda arriva a ricattare il capo della polizia Vincent Aiello, scambiando i braccialetti ai neonati nella nursery in cui si trova il nuovo nato del poliziotto.

Diviene così sempre più chiara la commistione tra la malavita, il sindacato, la politica e le forze dell'ordine, tanto che, nell'imminenza della fine del proibizionismo, Sharkey propone nuovi affari a Noodles e soci: Max, sempre più ambizioso, accetterebbe di buon grado, mentre Noodles manifesta ancora una volta tutta la propria disapprovazione. Max viene invitato a liberarsi dell'amico, considerato ormai una palla al piede, ma l'uomo rifiuta.

Per conquistare Deborah, Noodles organizza una splendida serata in un ristorante sul mare prenotato esclusivamente per loro due, durante la quale le chiede di sposarlo. Lei, pur ricambiandolo, declina nuovamente la proposta per l'annoso motivo del suo stile di vita, che comporterebbe soprattutto la rinuncia alle proprie aspirazioni artistiche. Deborah è in procinto di partire per Hollywood. Noodles, profondamente deluso, si offre di riaccompagnarla a casa per poi violentarla brutalmente in automobile, senza che l'autista intervenga. Così facendo, Noodles la perderà definitivamente.

Carol, la commessa della gioielleria di Detroit, diviene la donna di Max e Noodles ripiega con Eve, una ragazza conosciuta la notte in cui ha violentato Deborah. Viene annunciata ufficialmente la data della fine del proibizionismo. Max, in un crescendo di ambizione, confida a Noodles il piano per rapinare la Federal Reserve Bank di New York, con lo scopo di garantirsi definitivamente ricchezza e potere. Giudicando il piano un'ennesima follia, Noodles medita di sventarlo e informa telefonicamente la polizia di un imminente trasporto di alcolici (ancora proibiti) a cui partecipano i suoi amici. L'esito sarà la sparatoria mortale vista all'inizio del film.

1968. Noodles riceve un invito a un ricevimento presso la residenza del senatore Bailey a Long Island. Per cautelarsi, fa visita dapprima a un'ormai anziana Carol in una casa di riposo, e da lei apprende dell'amicizia di Deborah con il politico (probabilmente suo amante) e della sua brillante carriera teatrale. Racconta anche che Max, durante quella sparatoria con la polizia, esplose per primo alcuni colpi di pistola, quasi a volersi proprio far uccidere. Noodles raggiunge quindi Deborah a Broadway e le fa visita in camerino.[N 2] Alquanto scossa, Deborah gli racconta delle vicissitudini di Bailey, un immigrato dal passato sconosciuto che, dopo aver sposato una donna molto ricca e aver avuto un figlio da essa, ebbe modo, grazie alla sua eredità, di accumulare fortuna e divenire un ricco finanziere. Entrato in politica da cinque anni, è però ora coinvolto in un'intricatissima inchiesta giudiziaria. La visita inaspettata di David, figlio del senatore, straordinariamente somigliante a Max da giovane, chiarisce il sospetto di Noodles sull'identità di Bailey, ovvero il suo vecchio amico fattosi credere morto nel 1933.

 Noodles, nonostante le suppliche di Deborah a desistere, viene ricevuto in privato da Bailey/Max, che lo mette al corrente del fatto che nel 1932 il suo tentativo di salvare gli amici denunciandoli era stato ampiamente previsto da lui e dalla malavita; Max si era infatti organizzato con la parte corrotta della polizia per far trovare un cadavere già sfigurato e fuggire.[N 3] Il senatore illustra poi la tragica situazione in cui riversa, delle minacce di morte dei suoi ex alleati che vogliono impedirgli di comparire al processo. L'uomo prega Noodles di ucciderlo con un colpo di pistola, per avere una morte onorevole e potersi sdebitare dell'antico sgarbo ("Ho rubato la tua vita e l'ho vissuta al tuo posto, t'ho preso tutto, i tuoi soldi, la tua donna. Cosa aspetti a sparare?"). Noodles, però, ricordando i momenti della sua infanzia e la sua antica fedeltà a valori quali amicizia e amore, declina, spiazzandolo e negando qualsiasi addebito, chiamandolo sempre "mister Bailey", fingendo così di non riconoscere in lui Max e augurandogli il meglio per il processo che lo aspetta.

Noodles esce dal cancello della villa Bailey, di fronte al quale staziona un camion della nettezza urbana, che mentre lui sta incamminandosi lungo la strada per andarsene si mette in moto. Noodles si volta e vede da lontano un uomo che sembra essere Max[N 4] uscire dal cancello e mettersi ad avanzare verso il mezzo appena partito: l'individuo che ha notato sembra sparire misteriosamente dietro di esso, forse lanciatosi nelle lame compattatrici. Noodles osserva il camion allontanarsi fino a scomparire nel buio, quando a un tratto spunta un corteo di auto d'epoca con a bordo dei giovani festanti sulle note di God Bless America di Irving Berlin.

1933. Si ritorna alla scena nel teatro cinese. Noodles giace sul letto sorridendo, inebriato dall'oppio. 

Curiosità sul film

La sceneggiatura del film è frutto di un lavoro lunghissimo che copre un arco di tempo di circa 12-13 anni.[6] Fin dall'uscita di Giù la testa, infatti, il regista iniziò a progettare di realizzare un gangster movie ambientato nell'America dei primi del Novecento. Gli ostacoli furono innumerevoli, e su tutti il più importante fu che lo stesso regista non aveva in mente una trama precisa per poter scrivere in modo continuativo la sua sceneggiatura.

Le riprese iniziarono il 14 giugno 1982 per terminare il 22 aprile 1983. Il regista usa per la prima e unica volta nella sua carriera il formato 1,85:1, sostituendo il 2,35:1, che aveva caratterizzato i precedenti lavori, con i celebri primi piani. Durante i dieci mesi di riprese, la lavorazione proseguì senza grandi difficoltà se non quelle legate ai grandi spostamenti dell'intera troupe per raggiungere i vari luoghi.

Per la composizione della colonna sonora, il regista Sergio Leone non ha mai avuto dubbi, scegliendo immediatamente il suo collaboratore di lunga data Ennio Morricone, con cui aveva lavorato per tutti i suoi western che lo avevano reso celebre in tutto il mondo. La musica del film era stata commissionata da Leone con così largo anticipo che veniva ascoltata, seppur non nella versione orchestrata, sul set durante le riprese.

La mia opinione

Questo film narra la storia di un gruppo di amici d'infanzia che si muovono nel mondo del crimine organizzato a New York. La trama è complessa e si sviluppa su diversi decenni, affrontando temi come l'amicizia, il tradimento e il rimpianto. Le interpretazioni degli attori, in particolare di Robert De Niro e James Woods, sono notevoli e rendono i personaggi complessi e indimenticabili. In conclusione, "C'era una volta in America" è un film che lascia un segno profondo e merita di essere visto e rivisto per coglierne appieno la bellezza e la profondità. Capolavoro!

Voto: 9

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Photo credit Danny Lyon, Public domain, via Wikimedia Commons


Concediti ogni giorno una cosa bella...

"Concediti ogni giorno una cosa bella. Anche piccola. Leggi una poesia. Ascolta una canzone che ti piace. Ridi con un amico. Osserva il cielo appena prima che il sole precipiti verso la notte. Guarda un classico del cinema. Mangiati una fetta di torta al limone. Scegli tu. Basta che sia un modo semplice per ricordare a te stesso che il mondo è pieno di meraviglie. Anche nei momenti della vita in cui non siamo in grado di apprezzarle, a volte aiuta ricordarsi che esistono cose belle, per quando saremo pronti."

Matt Haig



La musica, un ostacolo o un'ossessione



Articolo da gAZeta

Questo articolo è stato tradotto automaticamente. La traduzione rende il senso dell’articolo, tuttavia consigliamo di leggere il testo originale su gAZeta

Per quanto riguarda la musica, ciò che può nutrire l'anima, c'è chi la considera un ostacolo e altri un'ossessione per evadere la realtà, ma la verità è che è sempre presente in una forma o nell'altra.

Ma cosa fa nel nostro cervello? Cosa lo causa? Ebbene, per questo abbiamo innanzitutto come presupposto che il cervello umano è governato dalle onde cerebrali e la musica, dopo tutto, è costituita da onde sonore, quindi, in base a ciò, potremmo concludere, a prima vista, che le connessioni tra questo e il cervello sarebbe evidente.

Dopo aver approfondito l'argomento, vengo a dirvi che la musica può influenzare soprattutto il cervello, soprattutto l'area limbica, a causa delle frequenze, perché è capace di modificare i nostri comportamenti, i nostri sentimenti e può persino guarirci o affondarci.

La musica ha un grande potere sul nostro corpo e questo mi ha portato alla domanda successiva: sarebbe possibile un trattamento con la musica? Beh, in realtà esiste, si chiama musicoterapia, ma è principalmente per problemi cerebrali, malattie mentali se vuoi.

La musica può generare dopamina, una delle molecole della felicità, e allo stesso tempo può accelerare il battito cardiaco, quindi può aiutarci con l'esercizio, il che è un vantaggio, se ci pensi un attimo, perché se ascolti alla musica adatta, puoi diventare più efficiente.

Quindi, questo mi ha portato alla domanda successiva: può essere considerato ergonomico. Per questo mi permetto di spiegare il termine "ergonomico". L'ergonomia è lo studio dell'adattabilità che ha spazio per migliorare l'efficienza e il comfort della persona in questione. D'altronde ritengo che questo si potrebbe vedere dal punto di vista dell'ergonomia ambientale, cioè dal punto dei decibel e degli spazi.

Analizziamo, in uno spazio come un fast food, suonare musica techno può andare bene, ma se la suoni ad un volume molto alto, mi sono accorto che può rendere l'atmosfera poco confortevole. Lo stesso vale per le feste, ma anche quelle in cui la musica non è ad alto volume diventano scomode.

Per fare questo, ho indagato quanti decibel sono appropriati per una festa e sono rimasto sorpreso, poiché a seconda della nazionalità questo può cambiare, nei luoghi europei, per qualche strano motivo, non sono così modesti e consentono decibel alti; mentre in alcuni luoghi dell'America, soprattutto dell'America Latina, i decibel utilizzati devono essere inferiori a 100, possono accettare anche un massimo di 40 decibel.

Ma, tornando alla domanda iniziale, il cervello è stimolato dalle onde, che possono motivare alcune parti a compiere un’azione e possono anche fungere da stimolante durante l’esercizio o lo svolgimento di un compito.

La musica può essere un grande incentivo o un buon compagno per chi preferisce la solitudine. Devo avvertire che anche i testi possono influenzare i comportamenti delle persone e questo può essere negativo, anche se potrebbe non sembrare.

Ma ne parleremo un altro giorno, per ora do la mia conclusione: la musica rasserena l'animo, accompagna le persone sole, può essere ergonomica, ma può anche provocare disperazione o può stimolare a essere migliori, insomma , è un'ossessione o un ostacolo?

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Fonte: gAZeta

Autore: Ana Reyes-Castro

Articolo tratto interamente da gAZeta


Il popolo cubano in marcia contro l'embargo



Articolo da NuovAtlantide.org

Il 20 dicembre 2024 il lungomare dell’Avana si è trasformato in un oceano di voci, bandiere e determinazione. Il popolo cubano ha risposto all’appello del Primo Segretario del Partito Comunista di Cuba e Presidente della Repubblica, Miguel Díaz-Canel Bermúdez, dimostrando ancora una volta la sua indomita volontà di resistere al blocco economico, commerciale e finanziario.

Questa marcia combattente non è solo una manifestazione di protesta: è un simbolo di resistenza, un’espressione di dignità collettiva e un atto di sovranità in difesa di un progetto politico e sociale che ha posto il popolo al centro del proprio cammino. L’Avana, con la presenza del Generale d’Esercito Raúl Castro Ruz e delle principali autorità del paese, ha ribadito che il blocco non ha solo un costo economico, ma è un attacco alla dignità e ai diritti fondamentali di milioni di persone.

Il Blocco: Un Crimine Contro l’Umanità

L’assedio economico contro Cuba, che dura ormai da oltre sei decenni, rappresenta una delle più gravi violazioni dei diritti umani della nostra epoca. Le restrizioni, intensificate negli ultimi anni con il permanere di Cuba nella lista unilaterale e illegittima degli Stati sponsor del terrorismo, soffocano l’economia cubana, soffocano l’accesso a beni essenziali e impediscono lo sviluppo del paese.

Dietro ogni embargo c’è un crimine sociale: ospedali privi di medicina essenziali, scuole che devono far fronte a carenze materiali, famiglie separate da restrizioni sui viaggi. Eppure, nonostante questa guerra economica, Cuba continua a mantenere alti i suoi standard di educazione, salute e solidarietà internazionale

Il blocco non ha solo una dimensione economica, ma anche politica e sociale. Impone un isolamento forzato, impedendo la partecipazione attiva di Cuba in molteplici spazi internazionali, ostacolando lo sviluppo tecnologico ed economico dell’ isola.

La Resistenza del Popolo Cubano

Questa marcia, svoltasi nel cuore del Malecón avanero di fronte all’Ambasciata degli Stati Uniti, non è stata solo un grido di protesta, ma anche un atto di affermazione politica e identitaria. Con slogan come “Abbasso il blocco!”, “Cuba non è terrorista!”, migliaia di uomini, donne, giovani e anziani hanno camminato insieme, testimoniando il loro patriottismo eroico.

Díaz-Canel ha sottolineato l’importanza storica di questa mobilitazione, dichiarando che il popolo cubano, con il suo coraggio e la sua fermezza, sta dimostrando al mondo che non cederà mai ai ricatti dell’imperialismo.


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Autore: 
Maddalena Celano - riproposto da Gian Franco Ferraris

Licenza: Copyleft 


Articolo tratto interamente da 
NuovAtlantide.org



La libertà di espressione a rischio in tutto il mondo



Articolo da La Città invisibile, rivista del laboratorio politico perUnaltracittà – Firenze

Dal 2 al 26 dicembre 2024, l’organizzazione nonprofit indipendente Committee to Protect Journalists ha denunciato le seguenti violazioni: l’esercito israeliano ha ucciso 5 giornalistə attaccando il loro veicolo (nonostante le evidenti scritte “Press”) appena fuori dall’ospedale Al-Awda, situato nel centro del campo profughi urbano di Nuseirat; 2 giornalistə sono decedutə (e altrə 7 sono rimaste feritə) durante un blitz armato messo in atto da alcune bande criminali contro l’ospedale generale di Port-au-Prince, la capitale di Haiti; 2 giornalistə curdə hanno perso la vita nel nord della Siria in un attacco contro il loro mezzo di trasporto riconducibile all’azione di un drone turco; 7 giornalistə di nazionalità turca sono statə arrestatə per aver partecipato a una protesta in seguito alla morte dellə suddettə colleghə curdə; l’editore del giornale privato The Dawn è stato trattenuto dai Servizi di Sicurezza Nazionale del Sud Sudan senza un’accusa nei suoi confronti; diversə giornalistə del canale serbo N1 hanno subìto violenze fisiche e verbali mentre mentre documentavano l’evoluzione di una manifestazione; le autorità del Guatemala hanno diffuso il mandato di arresto nei confronti di un giornalista che si trova in condizione di esilio da un paio di anni. 

È innanzitutto essenziale premettere che chi fa giornalismo d’inchiesta non sta mai nel posto sbagliato: il giornalismo non è un reato e chi fa giornalismo non dev’essere mai oggetto di scambio. 

Queste  parole sono riprese dall’analisi compiuta da Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, il quale prosegue osservando nello specifico dell’Iran che «Le autorità iraniane hanno due pessime abitudini». La prima è «quella di considerare “minaccia alla sicurezza nazionale” ogni tentativo di comprendere cosa stia accadendo nel paese, di raccontarne le voci – soprattutto quelle libere – e di denunciare le violazioni dei diritti umani», mentre la seconda è «quella di arrestare cittadini occidentali e tenerli in ostaggio, a volte senza accusa e a volte con accuse palesemente false come ad esempio lo spionaggio per potenze nemiche, per ottenere qualcosa in cambio».  E rimanendo in questo ambito, sappiamo che il caso di Cecilia Sala ha avuto una fortissima risonanza mediatica a causa della diffusione della Nota della Farnesina e delle parole di Mario Calabresi, il direttore dell’impresa editoriale per la quale Sala realizza il podcast Stories. Tralasciando le possibili ricostruzioni delle cause che hanno determinato questo accadimento, il caso della giornalista italiana fa emergere la situazione drammatica della libertà d’espressione in un regime oppressivo che detesta le donne, a maggior ragione se rivendicano autonomia, dignità e libertà. 

Per non tornare troppo indietro nel tempo, basta rammentare l’approfondimento svolto dal Center for Human Rights in Iran all’inizio del 2023 riguardo ai tentativi di avvelenamento, reiterati e deliberati, di centinaia di studentesse iraniane. Gli attacchi consistevano nella volatilizzazione di composti chimici al fine di diffondere vapori tossici negli spazi di diverse scuole femminili, e ad essi è riconducibile il decesso di Fatemeh Rezaie, una ragazza di 11 anni che studiava presso una scuola di Qom – importante città a sud-ovest di Teheran. Indagini svolte da attivistə  suggeriscono che questi atti violenti e intimidatori siano stati eseguiti da movimenti estremisti religiosi che, contrari all’accesso delle donne all’istruzione, vorrebbero chiudere le scuole femminili. Se le autorità iraniane non sono riuscite ad individuare i responsabili degli attacchi, i ministeri della Salute e dell’Istruzione della Repubblica islamica non hanno tardato a dichiarare uno stop all’erogazione dei servizi alle studentesse non osservanti del codice di abbigliamento previsto dalla legge. Codice ribadito a chiare lettere a metà dicembre 2024, quando è stata promulgata (anche se non ancora entrata in vigore) la nuova «Legge per la protezione della famiglia tramite la promozione della cultura della castità e dell’hijab», in virtù del cui Articolo 37 è possibile imporre la pena di morte alle donne e alle ragazze che si mostrano senza velo e promuovono forme di attivismo pacifico contro le discriminazioni a cui sono sottoposte; se questa è l’extrema ratio prevista dal codice penale islamico, le pene più leggere prevedono multe fino all’equivalente di 11000€ e condanne fino a dieci anni di reclusione. 

La prigione di Evin è il “celebre” istituto penitenziario a nord della capitale dove, oltre a Cecilia Sala, sono incarcerate decine di donne accusate di essersi opposte alle imposizioni del governo di Teheran. Nell’ambito dell’approfondimento annuale BBC 100 Women, un tributo verso alcune tra le più influenti figure femminili di tutto il mondo, la BBC ha indicato diverse donne detenute nel carcere di Evin come fonti d’ispirazione del 2024. Molte si trovano ancora oggi in stato di reclusione per aver preso parte, insieme ad altre decine di migliaia di persone, alle proteste del movimento Zan, Zendegi, Azadi (Donna, Vita, Libertà) dopo la morte della ventiduenne curda Mahsa Amini a settembre 2022, quando la giovane fu vittima di percosse a seguito dell’arresto da parte della Polizia morale per non aver indossato correttamente l’hijab. A due anni di distanza dal tragico evento, Ansa riporta che secondo i rapporti dell’agenzia per i diritti umani iraniani Hrana, durante le proteste circa 500 persone, in larga parte manifestanti, hanno perso la vita negli scontri; 9 sono state impiccate a causa della loro pena di morte, mentre circa 20000 furono arrestate. 

A questo proposito, riprendendo i concetti espressi dalle parole di Noury, è opportuno ricordare la fine delle speranze per la grazia (giuridica) di Niloofar Hamedi e Elaheh Mohammadi, le due giovani giornaliste iraniane che nel 2022 erano state condannate a scontare, rispettivamente, 13 e 12 anni di detenzione per aver denunciato il decesso, e aver raccontato il funerale, di Mahsa Amini; Hamedi e Mohammadi sono state scagionate dall’accusa di aver agito in collaborazione con il governo statunitense contro la sicurezza nazionale della Repubblica islamica dell’Iran, ma la loro pena non è estinta: è stata solamente ridotta a 5 anni di carcere. 

Allargando l’0rizzonte delle precedenti riflessioni, si riscontra che i casi di Sala, Hamedi e Mohammadi non sono isolati. Anzi. Non si fa qui riferimento al tema specifico delle violenze riservate alle giornaliste, che può essere approfondito attraverso il paper intitolato The Chilling: global trends in online violence against women journalists – di cui in questa sede mi limito ad estrarre un passaggio da me tradotto: «Per minare la fiducia del pubblico nel giornalismo critico e nei fatti in generale, i canali della disinformazione operano attraverso abusi misogini, molestie e minacce contro le giornaliste» – bensì alla tematica più generale della libertà di parola, trattata di recente da Irene Khan, Relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla promozione e la protezione del diritto alla libertà di opinione e di espressione. A fine agosto 2024, Khan ha redatto un rapporto intitolato Global Threats to Freedom of Expression Arising from the Conflict in Gaza. Premesso che sarebbe più opportuno parlare di “attacco genocida” piuttosto che di “conflitto” (così si sono espressə altrə espertə delle Nazioni Unite), e che il denso lavoro di Irene Khan si articola attraverso 114 punti, di seguito ne verrà proposta una selezione che ho personalmente tradotto.

Introduzione

1. Il conflitto a Gaza ha scatenato una crisi globale della libertà di parola. Raramente un conflitto ha messo alla prova la libertà di opinione e di espressione in modo così ampio e così distante dai propri confini. 


4. In tutto il mondo sono scoppiate grandi manifestazioni di solidarietà con il popolo palestinese e contro il genocidio e l’occupazione. Sebbene in gran parte pacifiche, le proteste hanno subìto repressioni durissime in diversi paesi. Altri attori privati, come università, istituzioni culturali, enti finanziatori, persino organi di informazione, hanno adottato pratiche inquietanti come l’intimidazione, l’isolamento e il silenziamento delle voci diverse dalla proprie. 

Norme giuridiche internazionali

9. Al nòcciolo di tutti i diritti umani c’è il diritto alla non-discriminazione. Esso ha due implicazioni importanti per il diritto alla libertà di opinione ed espressione; in primo luogo, tuttə hanno il medesimo diritto di esercitare la rispettiva libertà di opinione ed espressione; oltre a ciò, l’identico godimento della libertà di parola implica che questa non possa essere usata come licenza per incitare alla discriminazione, all’ostilità e alla violenza contro altre persone.


10. Consacrata dall’Articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, così come nel Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici e in importanti strumenti nazionali, la libertà di opinione ed espressione garantisce il diritto di formulare opinioni senza interferenze e di cercare, accogliere e dispensare informazioni e idee di ogni tipo: vere o false, offensive o illuminate, indipendentemente dalle frontiere o dalla scelta dei media. L’Articolo 19 protegge, tra le altre cose: la libertà dei media; i discorsi a proposito degli affari politici e pubblici; la critica di funzionari governativi e delle istituzioni; l’espressione culturale e artistica.

Giornalistə sotto attacco


16. Il diritto alla libertà di opinione ed espressione costituisce la base giuridica internazionale per il godimento senza censure e senza ostacoli delle notizie prodotte dai media, e per il diritto di tuttə lə giornalistə di lavorare in sicurezza e senza timori.


A.   Territorio Palestinese occupato

19. Al 13 agosto 2024, 113 giornalistə e operatorə media palestinesi sono statə uccisə, e moltə altrə sono rimastə feritə, rendendo l’attacco militare di Israele iniziato a ottobre 2023 il conflitto col più alto tasso di mortalità di giornalistə degli ultimi tre decenni. 
[Il dato aggiornato al 20 dicembre 2024 parla di 141 giornalistə decedutə a Gaza, ndr].


18. In base al diritto umanitario internazionale, chi fa giornalismo gode delle stesse protezioni dei civili. L’uccisione deliberata di chi pratica giornalismo è un crimine di guerra.


20. Le indagini riguardo a un incidente a Gaza in cui sono stati uccisi due giornalisti, e un altro nel Libano e in cui sono rimastə feritə diversə colleghə, hanno portato alla conclusione che l’esercito israeliano sapeva, o avrebbe dovuto sapere, che stava attaccando giornalistə. 


21. L’incapacità di Israele di indagare, perseguire e punire i gravi crimini commessi contro chi pratica giornalismo non solo nega giustizia alle famiglie delle vittime, ma incoraggia chi è colpevole a continuare. 


22. Le infrastrutture dei media sono considerate oggetti civili ai sensi del diritto internazionale, e pertanto sono protette dagli attacchi militari; tuttavia, si è verificata una pressoché totale distruzione delle infrastrutture dei media a Gaza. Secondo il Palestinian Journalists’ Syndicate,  a partire da ottobre 2023 circa 70 strutture media, tra cui stazioni radio locali, agenzie di stampa, torri di trasmissione e istituti di formazione per giornalistə, sono state parzialmente o completamente distrutte a Gaza. 


23. Nonostante le ripetute richieste, Israele ha rifiutato di concedere libero accesso ai media stranieri a Gaza. Ciò riduce la diversità dei media e influisce sulla libertà di accedere alle informazioni; di conseguenza, giornalistə locali portano il fardello di riferire cosa sta accadendo nella Striscia di Gaza. Al netto del peso psicologico della morte di colleghə, amichə, famiglie e della distruzione delle loro case, uffici e infrastrutture essenziali, hanno continuato a lavorare coraggiosamente, mettendo a rischio le loro vite per portare a termine la loro missione, sopportando le infinite difficoltà inflitte a tutti i civili a Gaza.


B. Libertà dei media altrove


27. Nell’aprile 2024 il Parlamento israeliano ha varato la «Legge sui media stranieri», la quale conferisce ampi poteri all’esecutivo per escludere i media stranieri e imporre altre restrizioni senza previa revisione giudiziaria. La Relatrice speciale ha comunicato al governo di Israele che vietare un’agenzia di stampa costituisce una restrizione non necessaria e sproporzionata della libertà di parola, ed è perciò un gesto incompatibile con gli standard internazionali sui diritti umani. L’azione non colpisce solo la libertà di espressione dellə giornalistə, ma anche il diritto del pubblico di accedere alle informazioni da diverse fonti; pertanto, dovrebbe essere riesaminata e abrogata. Nel maggio 2024 il governo israeliano ha utilizzato la suddetta legge per bandire temporaneamente Al-Jazeera, citando preoccupazioni di sicurezza nazionale legate all’incitamento e al sostegno delle fazioni palestinesi. Il divieto è stato reso permanente a seguito di un emendamento della legge.

28. Lo spazio per la libertà dei media nelle regioni del Medio Oriente è stato a lungo limitato. Dopo l’inizio del conflitto a Gaza, alcuni governi hanno reagito duramente contro lə giornalistə che hanno coperto la questioni palestinesi e israeliane. Ad esempio, la Giordiania ha applicato la sua «Legge sui reati informatici» per detenere e interrogare centinaia di individui, fra cui giornalistə, per il loro utilizzo dei social media. L’autorità egiziana di regolamentazione dei media ha bandito il portale Mada Masr per 6 mesi a causa della pubblicazione di «notizie false», e ha interrogato il suo editore a seguito della pubblicazione di un dossier che trattava lo spostamento dei civili residenti a Gaza in Egitto.


30. Il Los Angeles Times ha vietato a 38 dipendenti di occuparsi di Israele e Palestina dopo che avevano firmato un documento di condanna per l’uccisione di giornalistə a Gaza; è stato impedito a 20 giornalistə del Sydney Morning Herald e del The Age di partecipare a «qualsiasi produzione relativa al conflitto» dopo che quest’ultimə avevano sottoscritto una lettera aperta in cui si criticava il modo in cui i media australiani hanno trattato l’attacco militare israeliano a Gaza. La BBC ha avviato un’indagine su 6 giornalistə del servizio arabo per sospetta faziosità; sebbene nessunə di loro abbia violato le politiche editoriali della BBC, sono statə sanzionatə. 

Repressione della protesta e del dissenso


A. Manifestazioni pubbliche

34. Diversi governi europei hanno imposto specifiche restrizioni, nella misura di divieti generali, alle manifestazioni a sostegno del popolo palestinese, giustificando le proprie azioni con motivazioni di «rischio per l’ordine pubblico e la sicurezza», così da «contrastare il sostegno al terrorismo» e «prevenire l’antisemitismo». Tali ragioni sono arbitrarie visto che equiparano ingiustamente la difesa palestinese, all’antisemitismo (o al sostegno al terrorismo); e sono pure discriminatorie, dato che nessuna manifestazione pro Israele ha incontrato particolari restrizioni.





È bene quando una persona contraddice le nostre aspettative...


"È bene quando una persona contraddice le nostre aspettative, quando è diversa dall’immagine che ce ne siamo fatta. Appartenere a un tipo significa la fine dell’uomo, la sua condanna. Se non si sa, invece, come catalogarlo, se sfugge a una definizione, è già in gran parte un uomo vivo, libero da se stesso, con un granello in sé di assoluto."

Boris Pasternak