domenica 27 dicembre 2020

Covid-19: l'impatto psicologico della pandemia sulle persone



Articolo da Valigia Blu

Uno degli effetti di questo lungo periodo di emergenza è l’entrata nel lessico quotidiano di termini che hanno a che fare con la salute psicologica, l’espressione delle emozioni, i disturbi mentali. La preoccupazione per l’impatto psicologico della pandemia e delle emergenze da essa scaturite (sanitaria, economica, educativa, sociale) ha portato nella prima ondata a dare vita a iniziative talvolta estemporanee di comunicazione, di ricerca o di intervento che non si sono ripetute con la stessa assiduità nella seconda ondata.

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Non è neppure mancato il linguaggio consueto fatto di allarmi e stigma che, se da un lato strumentalizzava il disagio psicologico allo scopo di raccogliere attenzioni pubbliche o politiche, dall’altro continuava a contrastarne la legittimità, rendendo sempre più invisibile chi già da prima della pandemia affronta condizioni neuropsicologiche o psichiatriche. Questo meccanismo ha messo anche nell’ombra il lavoro eccezionale dei – troppo pochi - servizi di psicologia del nostro sistema sanitario nazionale che hanno saputo adattarsi ai nuovi bisogni di cura.

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«Sia nella prima che nella seconda ondata abbiamo attivato percorsi orientati ai pazienti COVID-19, ai familiari e agli operatori», ha raccontato a Valigia Blu Elena Vegni, Professore Ordinario di Psicologia Clinica presso il Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università degli Studi di Milano e direttrice dell’Unità Operativa Complessa di Psicologia Clinica dell’ASST Santi Paolo e Carlo di Milano.

«Compito essenziale degli psicologi in ospedale è anche curare chi cura», ha aggiunto Giulia Lamiani, ricercatrice in Psicologia Clinica del Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università degli Studi di Milano e consulente dell’Unità Operativa Complessa di Psicologia Clinica dell’ASST Santi Paolo e Carlo di Milano. Entrambe le strutture dell’ASST sono diventate ospedali COVID-19.

Vegni e Lamiani hanno anche partecipato al gruppo di lavoro multidisciplinare che ha definito le indicazioni e le checklist per assicurare una modalità strutturata di comunicazione tra operatori sanitari e familiari dei pazienti in isolamento, seguendo il principio “che il tempo dedicato alla comunicazione deve essere inteso come un momento di cura”.

Con loro abbiamo ripercorso l’esperienza clinica e di ricerca per fare anche il punto sull’impatto psicologico della pandemia di SARS-CoV-2 sulle persone che si sono ammalate di COVID-19, sui loro familiari, sugli operatori sanitari e sulla popolazione generale.

«Nella prima ondata, la scelta degli interventi da attuare, ad esempio l’introduzione dei dispositivi digitali nei reparti, era derivata da una percezione clinica e aveva coinvolto i pazienti in ospedale, i loro familiari e gli operatori sanitari (medici, infermieri, OSS). Tra le due ondate sono stati condotti i controlli medici e psicologici per i pazienti dimessi e sono state aperte le altre attività ambulatoriali che erano sospese da marzo. La seconda ondata è stata più intensa perché sono stati riattivati i percorsi per i pazienti COVID-19, per i familiari e per gli operatori oltre al mantenimento delle attività per i pazienti con altre condizioni. Questa seconda ondata è stata più complessa in termini logistici, basti pensare ai cambi di vestizione per recarsi dai pazienti COVID-19 a quelli non COVID-19 (cardiologici, oncologici, ecc.)», riassume la professoressa Vegni . «Ma gli interventi ora si basano sull’esperienza di lavoro».

I pazienti COVID-19 e le sequele psicologiche

In una recente revisione delle manifestazioni psichiatriche e neuropsichiatriche associate alle gravi infezioni da coronavirus che ha preso in considerazione la SARS esordita nel 2002, la MERS del 2012 e l’attuale COVID-19, Jonathan Rogers e collaboratori concludono che “se l'infezione da SARS-CoV-2 segue un decorso simile a quello da SARS-CoV o da MERS-CoV, la maggior parte dei pazienti dovrebbe guarire senza soffrire di malattie mentali. SARS-CoV-2 causa delirium in una percentuale significativa di pazienti nella fase acuta”. Secondo gli autori, tuttavia, i medici devono essere consapevoli del rischio che a lungo termine le persone che si sono ammalate di COVID-19 possano manifestare depressione, ansia, affaticamento, disturbo post-traumatico da stress e sindromi neuropsichiatriche più rare.

In una lettera alla rivista Psychological Medicine, il gruppo di lavoro sulla neurologia e la neuropsichiatria della COVID-19 che aggiorna, attraverso il blog dedicato, tutte le nuove pubblicazioni sul tema, chiarisce che, al momento, è difficile accertare una relazione causale tra la gravità della COVID-19 e lo sviluppo del disturbo post-traumatico. In questa fase è necessario identificare i potenziali fattori di rischio, per individuare i pazienti più vulnerabili e intervenire tempestivamente. Secondo James Badenoch e gli altri autori della lettera, finora, sono stati ipotizzati diversi meccanismi per spiegare come insorga il disturbo post-traumatico nei pazienti con COVID-19: “I fattori biologici e ambientali possono svolgere un ruolo, anche nei casi di COVID-19 lieve o moderata”. Inoltre, diversi studi stanno dimostrando “che il disturbo post-traumatico da stress può essere una complicazione del delirium” che ha un’alta prevalenza nei pazienti COVID-19, non solo in quelli ricoverati in terapia intensiva. Sarà, quindi, da studiare se “il delirium è associato a una maggiore probabilità di trauma psicologico a lungo termine nel contesto specifico della COVID-19”.

La professoressa Vegni conferma che «i pazienti che escono dall’esperienza medica Covid continuano i controlli psicologici, e talvolta anche in seguito ad un ricovero non complicato, non solo dopo aver affrontato le condizioni più gravi, presentano una sintomatologia di tipo post-traumatico». Nella prima ondata le modalità stesse del ricovero e il distacco dai familiari «sono stati avvertiti come irrealtà», che ha riguardato anche «l’elaborazione di lutti complicati: persone ricoverate alle quali moriva un congiunto ammalato».

«Noi c’eravamo» ricorda Vegni, con le persone che guarivano e con le tante che non ce l’hanno fatta: «Le persone non sono morte da sole, potevano contare sullo sguardo di un soggetto vicariante». Nella seconda ondata, continua, «c’è stata una sorta di normalizzazione: come se fosse dato per scontato che chi muore di COVID-19 muore drammaticamente senza i propri familiari. Si incontra di più la rabbia, la rassegnazione anticipatoria».

Sia nella prima che nella seconda ondata è apparso chiaro quanto l’attività in presenza, nelle camere di degenza, diventasse «mandatoria o addirittura psicologicamente irrinunciabile perché il paziente si confronta con la paura di morire e il totale isolamento. C’è bisogno di una presenza, anche se questa modalità di interazione è complicata e faticosa perché si è bardati. Il paziente altrimenti rimane da solo per tutto il giorno e per tanti giorni, in alcuni casi con il casco in testa, e questo è destruente». Anche il passaggio di documenti all’interno della stanza di degenza per autorizzare una procedura medica avviene con tutte le cautele e le distanze, a rendere ancora più incombente la sensazione di pericolo.


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Fonte: Valigia Blu

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Articolo tratto interamente da Valigia Blu


10 commenti:

  1. sicuramente l'effetto è stato devastante sia per chi l'ha avuto sia per chi si salverà dal contagio

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  2. È ora di finirla, entro maggio visto che ci sono i vaccini penso che sia assolutamente doveroso e possibile un ritorno ad una quasi normalità e con settembre ottenere la vita di prima sempre che Speranza complice silenzioso di Ranieri Guerra e ducetto indispettito dalla nostra voglia di vivere, non cerchi di tenerci sotto chiave con le scuse e le decisioni più assurde e disparate. Ma a quel punto dovrà scattare un'autentica sommossa popolare.

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    1. Lo stress che ha generato questo virus, può portare problemi anche a lungo termine. Speriamo che il vaccino ci faccia uscire da questo incubo, altre cure sperimentali sono in corso.

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  3. Una malattia così grave è normale che produca danni.
    Ciao Vincenzo.

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  4. I hope that next year will come back to normal 😘😍 All the best !!

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  5. Credo che a lungo porteremo addosso i segni invisibili di questa tragedia.

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