domenica 22 settembre 2019

Muoversi liberamente nella città del futuro


Articolo da Rete della Conoscenza

Gli ultimi due rapporti dell’IPCC dell’ONU e la mobilitazione di Fridays for Future hanno rilanciato l’allarme sulla catastrofe climatica a cui andiamo incontro, ma le scelte delle classi politiche mondiali sono tutt’altro che adeguate a salvare il nostro futuro. L’obiettivo dell’UE al 2030 consiste nella riduzione del 40% di emissioni climalteranti – obiettivo insufficiente – tramite l’approvazione da parte di ogni Stato membro di un Piano nazionale Energia e Clima che programmi dettagliatamente una serie di misure settoriali per la riduzione delle emissioni. Tra i settori interessati, quello dei trasporti è uno dei più importanti, poiché circa un quinto delle emissioni di gas serra europee deriva dal trasporto su strada. Il pericolo del cambiamento climatico deve essere l’occasione per immaginare un nuovo modello di città, caratterizzata da zero emissioni climalteranti e da maggiore benessere per i cittadini. La mobilità in una società interconnessa, oggi ma ancor più in futuro, è un diritto fondamentale per accedere alla cultura, al lavoro, determina le possibilità di autodeterminazione. Potersi muovere nel territorio e fuori dal proprio territorio, senza necessariamente abbandonare la propria terra, è un diritto che può essere garantito con l’utilizzo del progresso tecnico al servizio di tutte e tutti. Nella città del futuro che vogliamo, ciascuno può avere accesso libero e gratuito ad un trasporto pubblico ecologico e capace di connettere le aree urbane e i territori, eliminando i confini tra aree interne e metropoli, tra centri e periferie.

L’Italia è immobile, diamo una spinta alla storia.

In Italia ci sono più di 37,2 milioni di automobili private in circolazione (Pendolaria 2018) e il 58,6% dei trasporti totali avviene in automobile, ma gli ultimi Governi non hanno adottato un piano per la transizione alla mobilità sostenibile. La rivendicazione di una politica industriale sulla produzione e diffusione dell’auto elettrica viene troppo spesso utilizzata per nascondere il problema centrale del nostro stile di vita: siamo troppo dipendenti dai veicoli privati. L’Italia dovrebbe stabilire per legge la messa al bando dei veicoli diesel entro il 2025, ma pensare di sostituire tutto lo stock attuale con automobili elettriche avrebbe un impatto dannoso sull’ambiente, per via del consumo di risorse necessarie alla produzione e carica elettrica. Seppure riteniamo importante lo sviluppo della mobilità privata elettrica, per tutelare i lavoratori del settore dell’automotive e rilanciare la riconversione delle industrie inquinanti, pensiamo che lo Stato debba concentrarsi soprattutto sull’investimento nella mobilità elettrica pubblica. Dovremmo affrontare un cambio di paradigma sul diritto alla mobilità, investendo sul trasporto pubblico, rendendolo capace di soddisfare i bisogni di ogni cittadino con risparmio di risorse e tutelando l’ambiente. Tuttavia nel nostro Paese persino la mobilità su ferro continua ad essere arretrata, sia rispetto all’efficienza del servizio che all’impatto ambientale del trasporto ferroviario. Solo il 68,7% della rete ferroviaria italiana nel 2017 era elettrificata, con casi di grave arretratezza come in Molise, dove 205km su 265km totali di ferrovia funzionano ancora con motori diesel. Serve un piano industriale che risponda alle rivendicazioni dei lavoratori, con investimenti sulla produzione di veicoli ecosostenibili per il trasporto pubblico, come nel caso di Industria Italiana Autobus.

Il costo dei carburanti sempre più elevato, in un Paese attraversato da sempre maggiori disuguaglianze, ha portato ad un aumento dei pendolari. I cittadini che usufruiscono quotidianamente del trasporto ferroviario regionale sono 2,8 milioni nel 2017, segnando un aumento di passeggeri del 6,8% rispetto al 2010, a fronte di un aumento dell’offerta del 0,2% nello stesso periodo. I passeggeri che ogni giorno utilizzano la metropolitana – presente in sole 7 città italiane – sono 2,7 milioni, ma più della metà (1,7 milioni) riguardano la sola metro di Milano. Eppure il 42% della popolazione italiana vive nelle città metropolitane e gli studi demografici sono unanimi nel prevedere in futuro una ulteriore concentrazione della popolazione nelle città. La dimensione dei collegamenti metropolitani, tramviari e ferroviari suburbani dell’Italia è nettamente inferiore a quella di Paesi come Francia e Germania. Nei territori in cui sono stati fatti investimenti sulla qualità del servizio su rotaia – treno, tram e metro – i passeggeri sono aumentati notevolmente (ex: triplicati in Alto Adige tra 2011 e 2017). Questi dati dimostrano che i cittadini sarebbero disposti a cambiare abitudini, ma non ci viene garantito un servizio di qualità per unire maggiore benessere ad un modello più ecologico di mobilità.

L’età media dei treni in tutta Italia è di 16,8 anni, mentre al Sud è di oltre 19 anni contro i 12 anni del Nord. Al Sud gli investimenti in nuovi treni non sono sufficienti a rinnovare una flotta sempre più antiquata. I dati annuali tra 2009 e 2017 sul numero di passeggeri che utilizza il treno dimostrano come in alcune Regioni, prevalentemente al Nord, i passeggeri siano quasi raddoppiati (in Emilia-Romagna da 106.500 a 205.000) mentre in altre Regioni, soprattutto al Sud, siano drasticamente diminuiti (in Sicilia da 50.300 a 37.600). Nella sola Lombardia ci sono più corse ferroviarie giornaliere che in tutte le Regioni del Sud Italia.

Anche nei territori in cui gli investimenti sul trasporto ferroviario sono stati relativamente maggiori, la qualità del servizio non è comunque adeguata alla domanda: è il caso della Lombardia, in cui i pendolari lamentano sempre maggiori disagi e disservizi, come nel caso della frequentatissima tratta Milano-Bergamo via Treviglio.

Redistribuire la ricchezza per il diritto alla mobilità sostenibile

La spesa media delle Regioni per il servizio di trasporto ferroviario è dello 0,45% del bilancio annuale. In seguito ai tagli dello Stato centrale sui finanziamenti alle Regioni per il trasporto pubblico locale, alcune Regioni hanno compensato con maggiori fondi regionali, mentre altre hanno permesso la riduzione delle risorse destinate al servizio.


Tra il 2009 e il 2014 le risorse dello Stato centrale per il trasporto ferroviario sono calate del 20,4% mostrando il totale disinteresse della nostra classe politica per un piano di transizione ecologica della mobilità. Il Governo Conte con la Legge di Stabilità 2019 ha tagliato di 56 milioni il finanziamento statale per il trasporto pubblico regionale: una scelta inaccettabile che sacrifica sull’altare dell’austerità il progresso del trasporto pubblico italiano e la riduzione delle emissioni climalteranti.

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Fonte: Rete della Conoscenza


Autore: redazione Rete della Conoscenza


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Articolo tratto interamente da
 Rete della Conoscenza 



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