giovedì 20 giugno 2019

Gaming disorder, la dipendenza da videogames


Articolo da OggiScienza

A maggio, a Ginevra, si è svolta la 72a Assemblea Mondiale della Salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, con lo scopo di aggiornare l’International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems (ICD-11), il testo di riferimento per l’identificazione di malattie e tendenze sulla salute a livello globale. Uno degli aspetti più interessanti e controversi emersi dall’assemblea è stata l’introduzione del Gaming disorder (dipendenza da videogame) nell’ICD-11, all’interno della sezione relativa ai disturbi del comportamento legati alle dipendenze, riconoscendolo, quindi, come una vera e propria malattia.

La dipendenza da videogiochi viene definita come “una serie di comportamenti persistenti o ricorrenti legati al gioco, sia online che offline, manifestati da: un mancato controllo sul gioco; una sempre maggiore priorità data al gioco, al punto che questo diventa più importante delle attività quotidiane e sugli interessi della vita; una continua escalation del gaming nonostante conseguenze negative personali, familiari, sociali, educazionali, occupazionali o in altre aree importanti”. Affinché possa essere diagnosticato un caso di gaming disorder i comportamenti descritti devono presentarsi per una durata di 12 mesi, anche in maniera discontinua.

Questa decisione dell’OMS ha suscitato un acceso dibattito all’interno della comunità scientifica e la stessa industria videoludica ha mosso delle critiche verso questa definizione. Per capire meglio le implicazioni del riconoscimento del gaming disorder come malattia e le problematicità della sua definizione abbiamo intervistato Viola Nicolucci, psicologa e psicoterapeuta che si occupa da diversi anni del rapporto tra psicologia e nuovi media. La dottoressa Nicolucci fa anche parte di Checkpoint, organizzazione no-profit che si occupa di fornire risorse sulla salute mentale attraverso il videogioco, dirette sia ai giocatori che agli sviluppatori.

Quali sono le criticità della definizione di Gaming Disorder inserita nell’ICD-11?

Innanzitutto il percorso che ha portato al suo inserimento nell’ICD-11. Nella tarda primavera del 2018 l’OMS ha reso ufficiale la proposta di inserimento in questo manuale diagnostico, producendo molta confusione nei media e negli specialisti del settore che credevano che l’entrata in vigore fosse immediata. Si è creata, invece, una situazione inedita, in cui l’OMS ha inserito un nuovo disturbo nell’ICD-11 prima di avere delle evidenze concrete, suggerendo alla comunità scientifica di fare ulteriori studi per avere maggiori conferme. I problemi qui sono diversi. Da un lato, il periodo di un anno dato dall’OMS è veramente breve per avere dei riscontri attendibili nel campo della ricerca. Dall’altro, questa situazione può influenzare negativamente la qualità degli studi, che tendono a diventare di tipo confermatorio, andando a cercare conferma di un’ipotesi e mancando, così, di un’esplorazione più ampia del problema.

Sempre nel 2018 un gruppo di ricercatori internazionali, di cui fa parte anche l’italiano Adriano Schimmenti (uno dei maggiori esperti italiani nell’ambito delle dipendenze comportamentali n.d.r), ha presentato una lettera aperta all’OMS in cui si esprimono dei dubbi riguardo al riconoscimento della dipendenza da videogiochi, in quanto fenomeno poco studiato e di cui non si hanno dati chiari e definitivi. Un altro problema è come il gaming disorder è stato descritto dall’OMS, presentando più una descrizione che una sintomatologia chiara. Mancano, quindi, degli strumenti di valutazione e quelli che sono stati utilizzati finora nella ricerca riprendono quelli utilizzati per l’internet gaming disorder, diverso, quindi, dal gaming disorder, che già presenta basi scientifiche molto esili.

In che senso?

Nel 2013 l’American Psychiatric Association ha inserito l’internet gaming disorder nel manuale Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders 5 (DSM-5), nella sezione delle condizioni che necessitano di maggiori studi. Nella definizione di questo disturbo si sono tenuti in considerazione tutti quei giochi sociali online molto popolari sui social network, come Farmville, escludendo totalmente il gaming offline. La sintomatologia descrive nove sintomi e basta rispettarne cinque affinché sia diagnosticato l’internet gaming disorder.


Questa definizione è stata criticata da studiosi come Christopher Ferguson, esperto dei media della Stetson University. Proprio Ferguson, alla Conference of Psychological Sciences di marzo a cui ho partecipato, ha dimostrato quanto fosse fragile la sintomatologia descritta nel DSM-5 attraverso un piccolo gioco a cui ha sottoposto alcuni colleghi. È emerso come chi abbia delle passioni o degli hobby, come ad esempio lo sport, soddisfi facilmente i cinque sintomi dell’internet gaming disorder, ma nessuno si sognerebbe di proporre la definizione di una dipendenza da calcio, o da libri. Questi sintomi, inoltre, sono stati adattati da una ricerca condotta in Cina ma che non viene citata nel DSM-5.  La mancanza di una definizione univoca, la scarsa base scientifica sulla quale sono stati formulati i sintomi e l’assenza di protocolli di trattamento per l’internet gaming disorder, quindi, sono problemi che si riflettono anche sul gaming disorder, che prende spunto da quella definizione applicandola anche al gaming offline.


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Fonte: OggiScienza


Autore: 
Stefano Tamai

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Articolo tratto interamente da
 OggiScienza




2 commenti:

  1. È un problema molto serio oggigiorno, serio e che va affrontato con determinazione. Ne ho parlato pochissimo tempo fa anch'io con una mia poesia.

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