Articolo da Open Migration
Nella zona di Latina, i Sikh sono ufficialmente
circa 11 mila, ma è molto probabile che siano più del doppio. Vengono in
gran parte dal Punjab, gravati dal debito che hanno contratto per
arrivare in Italia. La verdura che raccolgono finisce in un mercato
infiltrato dalla criminalità. Per sopportare la fatica a volte fanno uso
di droghe, anche se la loro religione lo proibisce. Sono pagati 4 euro e
mezzo l'ora, e se scioperano o denunciano rischiano di perdere il
lavoro. Daniela Sala è andata a parlare con loro.
Da sette
anni Kumar* si sveglia ogni mattina all’alba, prende la sua bici e
pedala per 40 minuti dalla sua casa a Pontinia, in provincia di Latina,
fino all’azienda agricola in cui lavora da anni, una delle 10 mila in
quest’area. Ogni giorno raccoglie le verdure di stagione, lava
l’insalata, carica e scarica le cassette. Se gli chiedi quanto dura la
giornata di lavoro, dice “sai quando inizia, ma non sai quando finisce”.
Dal lunedì al sabato lavora tra le 9 e le 12 ore, la domenica fa mezza
giornata. La paga è di 4 euro e mezzo l’ora. Come tutti i lavoratori con
cui abbiamo parlato in questa zona, si riferisce al suo datore di
lavoro chiamandolo “padrone”: “spesso ci urla addosso”, dice, “e se gli
devi rivolgere la parola devi fare un passo indietro e abbassare la
testa”.
Kumar ha 27 anni e viene dal Punjab, una regione del nord dell’India. Al polso indossa un cerchio di metallo: è il kara, uno dei simboli della religione Sikh. Suo padre ha lavorato per 25 anni in Medio Oriente. Quando Kumar – che è il maggiore di quattro figli – ha compiuto 18 anni, suo padre ha deciso che toccava a lui emigrare per sostenere la famiglia. I suoi genitori hanno impegnato la casa per ottenere un prestito da 13 mila euro e pagare le spese per il visto e per il viaggio fino all’Italia.
Nel febbraio del 2010, un’auto lo ha prelevato al suo arrivo a Fiumicino. Un’ora dopo si è ritrovato in provincia di Latina, nell’Agro Pontino, dove si è unito alla comunità Sikh che si è stabilita qui da oltre trent’anni.
La
comunità Sikh di Latina è la seconda per dimensioni in Italia, dopo
quella dell’Emilia Romagna. I cittadini di nazionalità indiana
regolarmente censiti nella provincia di Latina sono 10.734,
ma secondo una stima di Cgil basata sulla quantità di persone che
accedono a vari tipi di servizi (Caf, scuole di italiano, ecc), i Sikh
che vivono effettivamente qui sarebbero più del doppio: circa 25 mila.
La maggior parte, pur avendo un permesso di soggiorno per motivi di
lavoro – stagionale o di lungo periodo – avrebbe la residenza altrove,
in Italia o nel Lazio.
Secondo i dati di Metes, un istituto di ricerca finanziato dalla Cgil, in provincia di Latina ci sono 10.409 aziende agricole, che impiegano 10.849 lavoratori a tempo determinato. Gli assunti a tempo indeterminato sono invece 942. La maggior parte dei lavoratori sono rumeni e indiani. Anche se è vero che si tratta per lo più di aziende a gestione familiare, secondo Pino Cappucci, segretario regionale della Flai-Cgil, i numeri non fotografano la realtà: “il numero effettivo di lavoratori indiani è senza dubbio più alto”, afferma. Ma a causa delle “evasioni contrattuali”, questa realtà non troverebbe riscontro nei numeri.
L’insalata,
i pomodori e le zucchine che Kumar raccoglie da sette anni, finiscono
al Mof, il mercato di Fondi, uno dei poli ortofrutticoli più grandi
d’Europa, che rifornisce i mercati e le catene della grande
distribuzione in Italia e all’estero. Secondo il quinto rapporto “Agromafie”,
di Eurispes e Coldiretti, nel 2016 le organizzazioni criminali hanno
guadagnato 21,8 miliardi di euro dallo sfruttamento del mercato
agroalimentare. E le infiltrazioni mafiose e camorriste riguarderebbero
anche il mercato di Fondi. Secondo quanto riporta un articolo del Fatto Quotidiano,
nel novembre 2016 un’indagine della Dda, la direzione distrettuale
antimafia, avrebbe scoperto all’interno del Mof “l’esistenza di una
spartizione degli affari da parte delle organizzazioni malavitose
operanti in zona e di una monopolizzazione del settore dei trasporti su
gomma del clan dei casalesi”.
Lo
sfruttamento dei braccianti nell’Agro Pontino si nasconde quasi sempre
sotto una superficie di legalità: “non si tratta tanto di lavoro nero,
quanto piuttosto di lavoro ‘grigio’”, afferma Cappucci. I lavoratori
indiani senza permesso e senza un contratto sarebbero infatti una
minoranza: formalmente molti hanno un contratto stagionale, ma la paga e
gli orari di lavoro previsti dalla normativa nazionale (9 euro lordi e
non più di sei ore al giorno) non vengono quasi mai rispettati. E così
molti lavorano di fatto per 4 euro all’ora o meno.
Questa apparente legalità riguarda anche i meccanismi di ingresso in Italia: la maggior parte dei lavoratori indiani è arrivata con un permesso di lavoro stagionale, che quasi sempre però è stato pagato migliaia di euro. L’attuale normativa sull’immigrazione, la legge Bossi-Fini, regola l’ingresso dei lavoratori stranieri secondo un sistema di quote, i cosiddetti decreti-flussi. In pratica, uno straniero che vuole lavorare in Italia per poter immigrare regolarmente dovrebbe – dal suo paese di origine – trovare un datore di lavoro italiano pronto ad assumerlo. E, viceversa, questo significa che il datore di lavoro italiano dovrebbe impegnarsi ad assumere un lavoratore che teoricamente non ha mai visto.
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Fonte: Open Migration
Autore: Daniela Sala
Licenza:
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale.
Articolo tratto interamente da Open Migration
Kumar ha 27 anni e viene dal Punjab, una regione del nord dell’India. Al polso indossa un cerchio di metallo: è il kara, uno dei simboli della religione Sikh. Suo padre ha lavorato per 25 anni in Medio Oriente. Quando Kumar – che è il maggiore di quattro figli – ha compiuto 18 anni, suo padre ha deciso che toccava a lui emigrare per sostenere la famiglia. I suoi genitori hanno impegnato la casa per ottenere un prestito da 13 mila euro e pagare le spese per il visto e per il viaggio fino all’Italia.
Nel febbraio del 2010, un’auto lo ha prelevato al suo arrivo a Fiumicino. Un’ora dopo si è ritrovato in provincia di Latina, nell’Agro Pontino, dove si è unito alla comunità Sikh che si è stabilita qui da oltre trent’anni.
Le dimensioni del fenomeno e i dati della Cgil
Secondo i dati di Metes, un istituto di ricerca finanziato dalla Cgil, in provincia di Latina ci sono 10.409 aziende agricole, che impiegano 10.849 lavoratori a tempo determinato. Gli assunti a tempo indeterminato sono invece 942. La maggior parte dei lavoratori sono rumeni e indiani. Anche se è vero che si tratta per lo più di aziende a gestione familiare, secondo Pino Cappucci, segretario regionale della Flai-Cgil, i numeri non fotografano la realtà: “il numero effettivo di lavoratori indiani è senza dubbio più alto”, afferma. Ma a causa delle “evasioni contrattuali”, questa realtà non troverebbe riscontro nei numeri.
Il mercato agricolo di Fondi e le infiltrazioni mafiose
I meccanismi di ingresso e di rinnovo del permesso
Questa apparente legalità riguarda anche i meccanismi di ingresso in Italia: la maggior parte dei lavoratori indiani è arrivata con un permesso di lavoro stagionale, che quasi sempre però è stato pagato migliaia di euro. L’attuale normativa sull’immigrazione, la legge Bossi-Fini, regola l’ingresso dei lavoratori stranieri secondo un sistema di quote, i cosiddetti decreti-flussi. In pratica, uno straniero che vuole lavorare in Italia per poter immigrare regolarmente dovrebbe – dal suo paese di origine – trovare un datore di lavoro italiano pronto ad assumerlo. E, viceversa, questo significa che il datore di lavoro italiano dovrebbe impegnarsi ad assumere un lavoratore che teoricamente non ha mai visto.
Continua la lettura su Open Migration
Fonte: Open Migration
Autore: Daniela Sala
Licenza:
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale.
Articolo tratto interamente da Open Migration
L'andare a fare la spesa al mercatino locale e il non trovarci quasi niente in questo periodo dell'anno e consumare quindi quello che avevo preventivamente congelato, non è solo per una questione di salute: non meno importante è guardare le mani di chi ha prodotto quelle verdure e soprattutto pagare il giusto prezzo al suo lavoro.
RispondiEliminaGrazi eper questo articolo, tristemente interessante.
Caporalato e sfruttamento dei lavoratori, purtroppo non sono notizie nuove.
EliminaFai sempre dell'ottima ricerca, ho letto con attenzione il post e sono poi andato sul sito originario che non conoscevo. Grazie.
RispondiEliminaA miei figli ricordo sempre il rispetto per un prodotto "giusto".
Troppo sfruttamendo ancora nel mondo.
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