Privacy e cookie policy

venerdì 21 novembre 2025

Sudan: cronaca di un inferno quotidiano



Articolo da La Fionda

Se la corruzione degli oligarchi ucraini e il genocidio della Palestina sembrano oggi coinvolgere emotivamente una fetta crescente di opinione pubblica – verrebbe da dire che non è mai troppo tardi – non si può certo dire lo stesso dell’immane tragedia umanitaria che da anni fa del Sudan l’ennesimo angolo di inferno in Terra. Situazione complicata, per la verità, che si prova qui a raccontare a partire da un breve excursus storico.

All’inizio del nuovo millennio Omar al-Bashir è al governo già da una decade, da quando, alla testa di un colpo di Stato militare, rovescia il governo eletto di Sadiq al-Mahdi. Il suo è un sistema autoritario in un Paese segnato da profonde differenze etniche e culturali. Guerriglie e violenze, pertanto, sono la stretta attualità di quei giorni. Il neonato Consiglio di Comando Rivoluzionario per la Salvezza Nazionale – di fatto una giunta militare che concentra il potere nelle mani delle forze armate – insieme all’influenza ideologica di Hassan al-Turabi, l’ideologo del radicalismo religioso e del Fronte Islamico Nazionale, trasforma il regime in una dittatura a carattere islamista con una solida centralizzazione del potere. In quel lustro, dal 1991 al 1996, il Sudan ospita anche Osama bin Laden.

Il sodalizio tra al-Bashir e al-Turabi si spezza già alla fine degli anni Novanta: il primo teme la crescente popolarità del secondo che, come spesso accade in questi contesti, finisce incarcerato. Con l’epurazione dell’alleato divenuto scomodo, al-Bashir rimane il leader incontrastato di un Paese pronto ad esplodere. Inflazione alle stelle, pane che manca, così come medicinali e carburante, alimentano proteste popolari che nel Darfur diventano particolarmente agguerrite.

Il perché l’epicentro del malcontento sia proprio il Darfur è presto detto. Oltre alla drammatica situazione economica generale, la popolazione africana non araba della regione percepisce con buone ragioni di essere trattata come cittadina di seconda classe. Gruppi etnici come i Fur, i Masalit e gli Zaghawa sono esclusi dalle cariche di governo, quasi impossibilitati a ricoprire incarichi nell’esercito, privati del sostegno statale in materia di scuole, ospedali e infrastrutture. A tutto ciò si aggiunge la questione dell’acqua. Il Darfur è una regione arida e nei conflitti tra pastori nomadi arabi e agricoltori sedentari africani il governo di Khartoum finisce sempre per penalizzare questi ultimi.

Non sorprende, dunque, che le comunità autoctone si organizzino in movimenti di ribellione: nascono il Sudan Liberation Army e il Justice and Equality Movement, quest’ultimo vicino ad al-Turabi. Entrambi rivendicano i diritti negati dal regime di al-Bashir. Marginalizzazione politica, discriminazione etnica, conflitti per le risorse, assenza di mediazione tradizionale e diritti calpestati sfociano nell’attacco alla base governativa di El-Fasher. È la scintilla che fa esplodere la guerra.

L’esercito regolare risponde con una brutale repressione, appoggiandosi a milizie regionali occasionali che, dieci anni più tardi, confluiranno nelle RSF, le Rapid Support Forces. Mohamed Hamdan Dagalo, detto “Hemedti”, diventa il leader di una forza paramilitare leale all’establishment che si affianca all’esercito regolare, il SAF (Sudan Armed Forces). Fino al 2019, la presenza di al-Bashir funge da collante tra due anime destinate a divergere. Alle RSF spetta il controllo delle miniere d’oro e delle rotte commerciali, al SAF quello dell’apparato statale e delle frontiere.

La crisi economica, il malgoverno e la corruzione endemica spingono la popolazione stremata a scendere in piazza. Inoltre, dal 2011, con l’indipendenza del Sud Sudan, alle casse dello Stato viene sottratta la quasi totalità del petrolio, causando un ammanco enorme. Nel dicembre 2018, ad Atbara, la protesta per il prezzo del pane triplicato diventa simbolo del cambiamento imminente. Dalle rimostranze di piazza nasce il Consiglio Militare di Transizione guidato dal generale Abdel Fattah al-Burhan, con Hemedti come vice, che raccoglie effettivi sia delle RSF sia del SAF.

L’esercito, dunque, volta le spalle ad al-Bashir che viene arrestato con l’accusa di ostacolare la stabilità del Paese. Ma, nonostante la caduta del dittatore, le proteste non si placano e le due anime del CMT cominciano a mostrare insofferenza reciproca. La popolazione chiede un governo civile; al-Burhan vuole inglobare le RSF nel SAF entro due anni; Hemedti esige almeno una decade di autonomia, convinto di poter fare all-in sul Paese in quel periodo di transizione. Ambizioni inconciliabili.

Khartoum, centro dell’egemonia politica del Sudan, è teatro della frattura insanabile. Nel 2023 le RSF organizzano un’adunata militare non concordata intorno alla capitale con l’esercito che interpreta la mossa come un tentativo di colpo di Stato. Forte del controllo sulle risorse del sottosuolo, Hemedti punta alla capitale per estromettere al-Burhan dal potere. Inevitabilmente Khartoum diviene il campo di battaglia, la genesi della guerra civile sudanese.

I due eserciti fortificano le rispettive posizioni con il SAF nelle basi tradizionali e le RSF nelle regioni controllate, e il conflitto si estende a macchia d’olio al resto del Paese, intrappolando milioni di civili sotto il fuoco incrociato. Inizia la carneficina, una guerra di logoramento tra artiglieria pesante, mezzi blindati e droni. La carestia, secondo la definizione di FAO e FSNAU, colpisce oltre il 20% della popolazione con insicurezza alimentare grave, il 30% dei bambini sotto i 5 anni soffre di malnutrizione acuta e il tasso di mortalità supera le 2 persone ogni 10.000 al giorno per fame e malattie correlate.

Continua la lettura su La Fionda

Fonte: La Fionda

Autore: 


Licenza: Licenza Creative Commons
Quest' opera è distribuita con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 3.0 Italia


Articolo tratto interamente da 
La Fionda


Nessun commento:

Posta un commento

I commenti sono in moderazione e sono pubblicati prima possibile. Si prega di non inserire collegamenti attivi, altrimenti saranno eliminati. L'opinione dei lettori è l'anima dei blog e ringrazio tutti per la partecipazione. Vi ricordo, prima di lasciare qualche commento, di leggere attentamente la privacy policy. Ricordatevi che lasciando un commento nel modulo, il vostro username resterà inserito nella pagina web e sarà cliccabile, inoltre potrà portare al vostro profilo a seconda della impostazione che si è scelta.