Articolo da CUB - Confederazione Unitaria di Base
DIMINUISCONO GLI ASSUNTI A TEMPO INDETERMINATO.
Sul lavoro è difficile vendere fumo; per l’Istat è occupato chi, nella settimana di rilevamento, ha svolto almeno un’ora di lavoro in attività che preveda un corrispettivo monetario o in natura. Ciò già fa capire la sostanziosa differenza tra occupati e posti di lavoro effettivi.
Secondo l’ultima rilevazione Istat a novembre 2017 risultavano «occupati» 23milioni e 183mila persone, più dei 23,179 milioni di aprile 2008 e più degli occupati nel 1977.
Dobbiamo fare capriole di gioia?
Di certo no perché:
Cresce solo il lavoro precario. L’aumento riguarda esclusivamente i dipendenti a termine, mentre calano i permanenti e rimangono stabili gli indipendenti.
Su 497.000 nuovi occupati dipendenti nel periodo novembre 2016-novembre 2017, 450.000 sono a termine. Un 18,3% in più di lavoro precario che fa apparire modesta la crescita di soli 48mila posti a tempo indeterminato, pari a un aumento dello 0,3% nell'arco di un anno. Dal 2015 al 2017, le assunzioni a tempo indeterminato sono calate da circa 2 milioni a 1,02 milioni, mentre quelle a tempo determinato sono cresciute da 3,4 milioni a circa 4 milioni.
Cresce solo il lavoro dequalificato. I settori più in crescita sono «noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese» (+2,5%), «attività immobiliari» (+2,1%) e «attività dei servizi di alloggio e di ristorazione» (+1,4%). Tra i paesi Ocse, l’Italia è l’unico paese – malgrado resti la seconda forza industriale dell’Europa – dove la ripresa non ha favorito la crescita di professioni ad alte qualifiche.
Le ore lavorate crescono meno dell’occupazione. Il totale delle ore lavorate nel II trimestre 2017 è inferiore del 5,8% rispetto al I trimestre del 2008; in volume nei primi 6 mesi del 2008, i lavoratori italiani hanno prestato un totale di 22,8 miliardi di ore, nei sei mesi del 2017 , invece, 21,7miliardi.
Il settore manifatturiero. Creava il 17,7% del pil nel 2007, oggi contribuisce al pil per un 16% e resta ancora inferiore di circa il 13% rispetto al 2007. Negli anni ‘50 e ’60 tutti i comparti manifatturieri erano coinvolti nelle esportazioni. Non così oggi: I settori a più alto valore aggiunto e di frontiera tecnologica quali biotecnologie, nanotecnologie, industrie del corpo umano, telecomunicazioni, digitale, neuroscienze, trasporto avanzato, informatica 4.0 non ci coinvolgono perché in Italia non esistono e se esistono svolgono solo un ruolo subordinato.
Gli investimenti. Sono attestati al 19% del Pil, pari al 75% di quelli pre-crisi e nettamente inferiori alla media europee. Le imprese più che investire in capitale fisico ed in innovazione preferiscono riduzione dei costi e lavoro flessibile, generando un indebolimento competitivo dell’economia italiana.
Pil. E’ inferiore del 7% rispetto al I trimestre 2008, mentre in Spagna il recupero è quasi completo e Francia e Germania, hanno già recuperato i livelli di attività pre-crisi nel 2011.
Smettiamola quindi di prenderci in giro!
Continua la lettura su CUB - Confederazione Unitaria di Base
Fonte: CUB - Confederazione Unitaria di Base
Autore: CUB - Confederazione Unitaria di Base
Licenza:
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported.
Articolo tratto interamente da CUB - Confederazione Unitaria di Base
Per me che vado ancora a scuola questa notizia mi dà i brividi...
RispondiEliminaBuon weekend :-)
Sereno fine settimana anche a te.
EliminaLo sto vivendo sulla mia pelle.
RispondiEliminaBuon fine settimana.
Serena domenica.
Elimina