“We want freedom”. È il grido di un migrante raccolto in un reportage del Tg2 sulle condizioni di vita all’interno dei centri di raccolta ed espulsione in Turchia.
Su dove verranno poi portate queste persone, Angelo Figorilli e Fabrizio Silani, autori del servizio, non riescono a ottenere notizie chiare. «In realtà non sappiamo più nulla», dice Begum Basdas, coordinatrice di Amnesty International in Turchia, a Figorilli. L’accordo firmato circa due mesi fa fra Unione europea e Turchia prevede che i migranti ritenuti irregolari dalla Grecia vengano riportati ad Ankara. Questo mentre la polizia turca blocca il flusso di persone in fuga dalle spiagge turche alle vicine isole greche.
«Il più grande problema è la trasparenza. Cercare di capire che cosa succede a chi è stato ripreso è impossibile», continua Basdas denunciando la totale opacità su quanto accade nei centri. Il vero errore compiuto dall’Europa «è stato considerare la Turchia un paese sicuro».
Provvedimenti che non funzionano, previsioni mancate, richieste non rispettate e tensioni politiche caratterizzano finora i risultati dell’accordo tra Bruxelles e Ankara.
E mentre ci si concentra sugli aspetti legali, pochi si interrogano sulle condizioni dei migranti, scrive Defne Gonenc su Open Democracy.
Turchia: soprusi e diritti negati
Il funzionamento dei campi turchi per i migranti ha sollevato diversi interrogativi e preoccupazioni sul rispetto dei diritti umani. È di pochi giorni fa la notizia che nel centro di Gaziantep, mostrato alla cancelliera tedesca Angela Merkel come esempio di accoglienza, un addetto alle pulizie ha abusato sessualmente per tre mesi di 30 minori siriani. Varie sono state inoltre le testimonianze di coloro che, una volta rispediti in Turchia e arrestati, non hanno potuto usufruire di avvocati e cure mediche.Testimonianze di soprusi e diritti negati che si sommano ad altre notizie: l’uccisione di migranti che cercano di oltrepassare il confine siriano, come racconta Human Rights Watch. «Secondo l’Ong tra marzo e aprile almeno 5 persone tra le quali un bambino sono state uccise mentre tentavano di raggiungere la Turchia – spiega su Radio Bullets, Giulia Sabella –. Altre 14 persone sono state ferite».
Un contesto reso ancora più complicato dalle manifestazioni di protesta contro i rifugiati siriani, come recentemente avvenuto a Izmir.
Sebbene la Turchia abbia ratificato nel 1951 la Convenzione di Ginevra sui rifugiati e il protocollo del 1967, ci sono limitazioni sostanziali: lo status di rifugiato è concesso solo agli europei e, dal 2014, viene riconosciuta una protezione temporanea ai siriani. Questo significa che i migranti di altre nazionalità non vedono riconosciute neanche quelle poche tutele offerte ai siriani.
“La Grecia è diventata una grande prigione”
Strutture sovraffollate, servizi igienici e di base carenti, cibo scadente, gestione inaccurata e superficiale. È questa la situazione che Human Rights Watch ha potuto constatare personalmente nei tre hotspot di Lesbo, Samo e Chio in un sopralluogo tra il 9 e 15 maggio. Il 13 maggio nel centro di Samo c’è stata una rissa che ha coinvolto almeno 200 persone.La Grecia è diventata una grande prigione, dove sono rinchiuse 50mila persone come in un deposito. E le autorità non si stanno preoccupando della loro condizione di vulnerabilità, né della loro protezione», racconta a Internazionale Eleni Velivasaki, un’avvocata che lavora per Pro Asyl e segue la situazione nel carcere di Moria e nelle altre isole greche.
Le donne e i bambini sono costretti a vivere in aree contigue con gli uomini e frequenti sono stati i casi di violenza sessuale in tutti e tre gli hotspot. «Gli uomini si ubriacano e provano a entrare nelle nostre tende ogni sera», dice a Human Rights Watch una giovane eritrea di 19 anni che vive nel centro di Moria.
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Fonte: Valigia Blu
Autore: Marco Nurra, Angelo Romano, Andrea Zitelli
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Articolo tratto interamente da Valigia Blu
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