Articolo da Comune-info
di Maria Rita D’Orsogna*
Nestlé should be worried, because common sense and democracy are on our side”
Aurora del Val, Cascade Locks, direttore di Local Water Alliance
Sono sempre belle le storie di comunità che si organizzano e che combattono battaglie più grandi di loro e della speranza di vincerle. Ed è ancora più bello che qualche volta ci riescano. Questa storia si svolge in Oregon. In una piccola città di mille anime che si chiama Cascade Locks. Un posto tranquillo, un piccolo paradiso terrestre a sessanta chilometri da Portland, la capitale dell’Oregon e con visuali mozzafiato su monti e fiumi. E che fiumi. Non per niente si chiama Cascade Locks. Cascade sta per cascata e Locks sta a indicare una serie di barriere costruite sui fiumi tanti anni fa per migliorarne la navigazione. Il fiume principale si chiama Columbia River, è lungo quasi duemila chilometri e spinge circa sette milioni di litri d’acqua al secondo, dalle Rocky Mountains fino al Pacifico. Il fiume e i suoi tributari sono alimentati dalle nevi sul Mount Hood e dalle abbondanti pioggie della zona.
Nel 2007 entra in scena la Nestlé, la ditta alimentare svizzera che produce un po’ di tutto e che in Italia è proprietaria dei marchi Acqua Panna e San Pellegrino. Il suo progetto? Imbottigliare e commercializzare l’acqua di uno degli affluenti del Columbia River che passa proprio per Cascade Locks, e che si chiama Oxbow Springs. La Nestlé voleva accaparrarsi più di cinquecento milioni di litri l’anno di quest’acqua e venderla in 1,6 milioni di bottigliette di plastica l’anno, sotto il nome di Arrowhead, consumata in massa qui negli Usa. Cosa poteva dire la Nestlé? Un po’ come i petrolieri: che avrebbero portato lavoro e soldi, che non sarebbe cambiato niente, che avrebbero costruito un impianto da cinquanta milioni di dollari per imbottigliare l’acqua, portando lavoro a cinquanta persone. Avevano anche il sindaco dalla loro parte e tutto il consiglio cittadino, ammaliati dalle promesse acquatiche della Nestlé, e dal fatto che la città non era proprio ricca e che nuovi di posti di lavoro sarebbero stati utili.
Ma né la Nestlé né i politici avevano fatto i conti con i residenti o con gli ambientalisti che in questo caso sono la stessa cosa. La gente, a Cascade Locks, si è arrabbiata e ha agito in modo costruttivo. Un gruppo iniziale di donne (sempre le donne!) ha dato l’allarme, ha studiato i progetti, e ha poi spiegato a tutti quello che sarebbe successo. E cioè che sarebbe aumentata la mole di plastica prodotta, che in città sarebbero passati duecento camion al giorno. Che l’acqua è di tutti e non della Nestlé, e, in questi tempi di cambiamenti climatici, chi può dire se e quando verrà la siccità? Se e quando l’acqua diventerà cosi preziosa che sembrerà un delitto cederla alla Nestlé per profitto? E infatti, nonostante tutta quest’acqua, nel 2015 venne dichiarata una emergenza siccità proprio a Cascade Locks.
Gli attivisti hanno iniziato a tappezzare la città di cartelli, a protestare, a chiedere trasparenza. Hanno messo su un blog che si chiama semplicemente Keep Nestle Out. Hanno regalato acqua a chi veniva a visitare la citta. Hanno girato dei video di sensibilizzazione, poi diffusi su internet, in cui ci si è opposti alla privatizzazione dell’acqua. La gente si è sentita tradita dal proprio governo, svendutosi alla Nestlé, e del fatto che avrebbero tolto loro l’acqua per poi rivendergliela in bottiglia. Tutti si sono sentiti coinvolti: residenti, agricoltori, turisti e le vicine tribù di indiani che ritengono quell’acqua sacra. La notizia si è diffusa presto, specie fra altre città prese di mira dalle multinazionali dell’imbottigliamento. Il mantra degli attivisti è stato: se facciamo venire la Nestlé, come faremo mai a dire di no alle altre? E come possiamo chiedere ai nostri contadini di usare meno acqua quando la imbottigliamo per mandarla chissà dove e per il profitto di una ditta svizzera?
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Questa sì che è una bella notizia!
RispondiEliminaBuon fine settimana
Carmen
Bella storia!
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