sabato 14 maggio 2016

La schiavitù operaia in Italia vale due euro l’ora


Articolo da Internazionale

Il letto di Giovanna Curcio è ancora disfatto, come l’aveva lasciato la mattina del 5 luglio 2006. Nessuno l’ha rammendato, come se lei fosse appena andata via e dovesse rientrare da un momento all’altro. Solo, nessuno vive più in quella casa. I genitori e le due sorelle si sono trasferiti dal centro storico di Casalbuono, un paesino del salernitano oltre il quale si scavalla in Basilicata, in una contrada di montagna. “Facciamo fatica a parlare di quello che è accaduto, dopo la tragedia non ce l’abbiamo fatta a rimanere in paese”, spiega il padre Pasquale.

Nonostante non avesse ancora compiuto sedici anni, Giovanna Curcio era impiegata in un materassificio clandestino allestito in un garage seminterrato di un palazzo nella vicina Montesano sulla Marcellana. Le colleghe di lavoro hanno raccontato al processo che non aveva una mansione precisa, ma era chiamata dal proprietario Biagio Maceri quando ce n’era bisogno. Mediamente, in un mese le capitava di lavorare tra i dieci e i quindici giorni, per nove ore al giorno e un euro e cinquanta all’ora, cinquanta centesimi in meno rispetto alle altre lavoratrici a causa della minore esperienza.
Il 5 luglio del 2006 Giovanna Curcio era arrivata puntuale al lavoro alle 8 di mattina. Quando scoppiò l’incendio era alla macchina da cucire insieme ad Annamaria Mercadante, alla quale era molto legata nonostante la differenza d’età: adolescente l’una, 49 anni l’altra. A cucire cuscini e materassi c’erano pure altre due operaie: Anna Maria Panico e Loredana Monaco.

Quest’ultima aveva appena scaricato e accatastato le une sulle altre le lastre di poliuretano espanso, avvolte nella plastica, che il titolare Biagio Maceri aveva portato con un furgoncino. Fu lei ad accorgersi delle prime fiamme, scatenate forse dal corto circuito di una ciabatta elettrica che sarà trovata carbonizzata. Neppure il processo sarà in grado di stabilire con precisione cosa abbia scatenato il rogo, ma le perizie accerteranno che nello scantinato di Montesano sarebbe bastato “un fiammifero per far saltare tutto”.

Malgrado la scritta “ignifugo” sopravvissuta su uno dei reperti prelevati, nella fabbrichetta clandestina era accatastato alla rinfusa materiale altamente infiammabile, senza che fosse rispettata alcuna regola di sicurezza. Un’ex operaia ha raccontato ai magistrati che lì dentro “non ci si poteva muovere con agilità”. Un’altra che “a volte i materassi arrivavano al soffitto ed erano custoditi ovunque vi fosse posto”, tanto che “a volte per muoversi era necessario spostarli”.

Omertà diffusa

Le fiamme divamparono, improvvise, verso le 10,30 del mattino: Anna Maria Panico e Loredana Monaco riuscirono a scappare, così pure Biagio Maceri che si trovava in compagnia di un amico. Giovanna Curcio rimase invece dentro, intrappolata dai materassi accatastati o forse tornata indietro per aiutare Annamaria Mercadante, come sostiene suo padre. Loredana Monaco ha raccontato ai giudici di aver sentito quest’ultima dire “andiamo a prendere l’acqua”. Vollero provare a spegnere il fuoco o la loro fu una mossa disperata per provare a salvarsi?
Le loro ex colleghe ricordano ancora le urla strazianti provenienti dall’interno, senza che nessuno potesse intervenire. Il perito nominato dal tribunale, la professoressa Paola Cassandro dell’università di Napoli, stabilirà che la morte è avvenuta in non più di 5-6 minuti, per effetto del monossido di carbonio combinato con il benzene e soprattutto con l’acido cianidrico sprigionatosi dalla combustione del poliuretano, un gas “utilizzato, per la sua rapidità ed efficacia, nelle camere a gas” naziste.  

Le fiamme furono domate solo alle cinque del pomeriggio. I vigili del fuoco riuscirono soltanto a evitare che esplodessero, con conseguenze devastanti, le dieci bombole di gas (sei da 15 chilogrammi, piene, e altre quattro da 10 chilogrammi, vuote), messe in fila davanti alla porta d’ingresso, accanto a fusti vuoti di colla e diluenti. Quando riuscirono a entrare nel garage completamente distrutto, alle 16,50, trovarono Giovanna e Annamaria esanimi nel piccolo bagno con una finestrella in alto di 30 centimetri per 30, ustionate ma solo dopo il decesso, come accerterà l’autopsia.

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Fonte: Internazionale


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Articolo tratto interamente da Internazionale



5 commenti:

  1. Non ci sono parole! E' impensabile come ancora oggi possano esistere condizioni di lavoro così disumane!

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  2. merce avariata, questo è il lavoro al sud...e non ci sarà alcun giudice che darà giustizia a queste persone.Che siano dannati tutti coloro che sfruttano le povere persone.Ci indigniamo quando sentiamo di cinesi o indiani, ma qui non è diverso.Le donne ed i bambini non hanno alcun diritto.Il sud è una polveriera per il governo e quando si renderanno conto sarà troppo tardi per tutti.

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  3. Ho letto tutto l'articolo, povera ragazza...ma che vergogna e chissà quante altre situazioni simili esistono ancora e non solo al sud!

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  4. Un po' è anche colpa nostra che cerchiamo le cose che costano meno e non diamo vero valore al lavoro delle persone.

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  5. Queste cose Cavaliere mio, mi fanno veramente incavolare..e pensare che ce ne sarebbero purtroppo molte per far perdere la pazienza ad un santo( non sono io..!) Ma l'inettitudine, la mancanza di qualsiasi forma di prevenzione e solo il gusto di sfruttare il prossimo , questa è una delle cose che mi fa veramente inviperire...
    Purtroppo di questi esempi l' Italia ne è piena e noi li leggiamo con la massima naturalezza , qujsta è la cosa ancora più oscena!
    Un abbraccio serale!

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