Articolo da CheFuturo!
Non si potrà mai capire l’esigenza di una Carta dei diritti di Internet se non si comprendono i rischi che la rete corre ogni giorno. E noi con lei. Questi rischi sono l’esclusione di larghe fasce di popolazione dal suo utilizzo – il suo capitale sociale -, il controllo delle sue comunicazioni da parte di soggetti non autorizzati, attacchi, sabotaggi, sovraccarico e malfunzionamenti, ma anche la frammentazione delle reti geografiche che la compongono e l’osbolescenza delle tecnologie e dei protocolli che la fanno funzionare.
In una parola, il “rischio” di Internet è l’assenza di una governance della rete in grado di affrontare questi problemi, ogni giorno.
Per dirla con il giurista Stefano Rodotà:
«governare la rete significa salvaguardare il più grande spazio
pubblico che l’umanità abbia mai conosciuto». Uno spazio che ha permesso
la più massiccia redistribuzione del potere dall’alto verso il basso,
cioè verso i cittadini.
La rete è già governata. Ed è governata da un complesso sistema di attori che va dagli ingegneri dell’IEETF, a quelli del W3C, che stabiliscono gli standard del web, fino all’Internet Society che si occupa del suo utilizzo ed evoluzione, per finire coi governi nazionali che ne stabiliscono le forme d’uso, insieme a ITU e WTO, per non parlare delle scelte dei carrier
telefonici nazionali le cui decisioni tecniche decidono la qualità e i
limiti del servizio per l’utente finale della rete. Chiaro no? Quindi la
“governance” non riguarda le scelte che fanno i governi circa l’uso
della rete per i propri cittadini, ma l’insieme di procedure negoziate
tra gli attori che ne gestiscono manutenzione ed evoluzione.
Per essere più chiari, la Governance di
Internet riguarda esattamente «lo sviluppo e l’applicazione da parte dei
governi, del settore privato e della società civile, nei loro
rispettivi ruoli, di principi, norme, regole, procedure decisionali e
programmi condivisi che influenzano l’evoluzione e l’uso di Internet».
L’Internet Bill of Rights, o Carta dei diritti di Internet, serve
proprio a questo, a stabilire regole condivise di funzionamento della
rete con la partecipazione di tutti gli “stakeholder”, cioè i portatori
d’interesse: singoli, associazioni, imprese, governi, entità
sovranazionali.
DA TUNISI ALLE PRIMAVERE ARABE, IL LUNGO CAMMINO “INTERNET BILL OF RIGHTS”
Partiamo dall’inizio. Quando si
cominiciò a parlare di una “Costituzione per la rete”, ispirata ai
principi delle grandi costituzioni moderne, eravamo a Tunisi.
L’anno era il 2005 e dopo una serie di incontri a Ginevra, la
diplomazia internazionale aveva deciso di portare in Nord Africa la
discussione sui Millenium Goals, gli obiettivi
del Millennio, per sviluppare il potenziale dell’umanità usando le
nuove tecnologie della comunicazione. Non era un caso, visto che la
Tunisia era governata da un raìs filoccidentale che teneva sotto il
tacco l’opposizione interna ed aveva dichiarato guerra a giornalisti,
avvocati, difensori dei diritti civili.
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Fonte: CheFuturo!
Autore: Arturo Di Corinto
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Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported.
Articolo tratto interamente da CheFuturo!
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