Articolo da Altrenotizie.org
Dopo una battaglia legale lunga sette anni, Novartis incassa una sonora bocciatura da parte della Corte Suprema Indiana. L’industria farmaceutica locale potrà produrre il Glivec come medicinale generico per la cura del cancro. Il tentativo di blindare un business succulento con il brevetto del farmaco, la solita spirale che strangola i paesi in difficoltà, è naufragato in nome di un diritto che non è negoziabile a nessuna latitudine del pianeta: la salute e la cura per ogni persona.
Da un punto di vista prettamente normativo la difesa della proprietà intellettuale, su cui il colosso elvetico ha costruito la battaglia legale, è stata smontata dai dati clinici secondo i quali la molecola del farmaco in questione non ha nulla di innovativo ed è già nota. Quindi non c’è invenzione o scoperta che tenga per rivendicare il dazio del “brevetto”.
Già in passato l’India aveva bocciato un’altra causa intentata da una casa farmaceutica, in quel caso la Bayer per un farmaco mirato alla cura del cancro del fegato e dei reni: il Nexavar. Per capire con un po’ di numeri di cosa parliamo basti pensare che la Bayer vendeva a 5.600 dollari 120 compresse del medicinale, mentre il prezzo della versione generica indiana è di 175 dollari. L’obiettivo del governo era di raggiungere più malati possibili e di rendere le cure più sostenibili per il Paese.
L’India, con questi importanti successi legali, apre ad una battaglia mondiale che mira a difendere i diritti dei malati, di non utilizzare le condizioni - spesso – di svantaggio economico e sociale di molti paesi per strangolare governi ed economia, approfittando di malattie devastanti o di vere e proprie epidemie come accade con l’HIV.
Una perdita secca per gli affari della Novartis a vantaggio dell’industria locale Rambaxy e un ribaltamento di una delle forme più odiose del neocolonialismo contemporaneo che nel business dei farmaci e della salute riscuote una delle forme più violente, sebbene sotto traccia, di tirannide economica e di compromissione morale dei diritti umani.
L’India si candida a diventare farmacia dei paesi poveri e le vittorie riscosse sanciscono l’inizio - forse - di un nuovo equilibrio globale di rapporti, dove il portafoglio dei colossi occidentali del farmaco fa meno paura e dove un malato del Sud del mondo può non morire di cancro o di HIV, per citare i due principali flagelli, solo perché figlio di un paese povero.
L’Europa incassa oltre che una sconfitta una severa lezione. Benché siano nati in questa parte del mondo i diritti umani, è altrove, a quanto pare, che si è imparato a difenderli.
Fonte: Altrenotizie.org
Autore: Rosa Ana De Santis
Licenza: Creative Commons (non specificata la versione)
Articolo tratto
interamente da Altrenotizie.org
martedì 2 aprile 2013
4 commenti:
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speranza...
RispondiEliminaOgni tanto una buona notizia ...
RispondiEliminacome sempre in tutte le cose ci sono i lati positivi e quelli negativi.
RispondiEliminaE' giusto che un farmaco salvavita possa essere accessibile a tutte le tasche.
Non credo sia corretto che un brevetto di un farmaco debba durare 20 anni,questo è assurdo,in tutto questo tempo tante persone che non si possono curare ,nel frattempo muoiono.
D'altra parte i costi che girano attorno alla scoperta della molecola,alla sua sperimentazione e costituzione,costa.
Si dovrebbero rivedere le leggi che regolano il mercato del farmaco e ridurre i tempi della durata del brevetto.
D'altra parte le ditte farmaceutiche sono aiutate dagli Stati.....
Buona serata
Qualche volta fanno cose giuste in India!
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