Articolo da Altrenotizie
La netta vittoria di Zohran Mamdani nelle elezioni per la carica di sindaco di New York ha un significato politico enorme nel quadro della deriva autoritaria trumpiana in atto negli Stati Uniti. Ci sono infatti pochi dubbi che l’affermazione nel cuore del potere finanziario mondiale di un candidato auto-definitosi “democratico socialista” abbia implicazioni potenzialmente enormi. Allo stesso tempo, il fatto che la campagna e l’elezione di Mamdani siano rimaste e rimarranno confinate nel perimetro del Partito Democratico esclude del tutto la possibilità di incanalare l’entusiasmo generato dal 34enne di origine indiano-ugandese in una forza di reale cambiamento del sistema oligarchico americano.
La valenza politica del successo di Mamdani è almeno duplice. Fino a pochi mesi fa membro semi-sconosciuto dell’assemblea legislativa dello stato di New York per il “borough” del Queens, quest’ultimo era diventato virtualmente da un giorno all’altro uno dei favoriti alla nomination democratica grazie a un’organizzazione di volontari rapidamente ingrossatasi proprio grazie al richiamo, soprattutto tra i più giovani, dell’etichetta di “socialista”, che i suoi detrattori avevano invece subito utilizzato in senso dispregiativo. Mamdani, nelle primarie dello scorso giugno, aveva così liquidato quello che sembrava il logico candidato democratico alla guida del municipio della più popolosa città americana, l’ex governatore dello stato, Andrew Cuomo.
La sconfitta era stata molto netta e aveva causato un vero e proprio terremoto ai vertici di entrambi i partiti, oltre che dei grandi interessi economico-finanziari che posseggono di fatto New York. In una città dominata appunto dai super-ricchi, che ospita il numero più alto di miliardari al mondo e con la più importante comunità ebraica d’America, un “socialista” musulmano che denuncia regolarmente il regime israeliano per il genocidio palestinese metteva un’ipoteca decisiva sulla competizione per diventare il prossimo sindaco. Mamdani, dopo le primarie, è sempre stato in cima ai sondaggi e il risultato del voto di martedì non ha risentito della campagna multimilionaria, nonché spesso apertamente razzista, di cui è stato bersaglio. Anzi, se mai, gli attacchi ricevuti hanno rafforzato suo il messaggio contro il privilegio e a favore di una città vivibile e sostenibile anche per lavoratori e classe media.
L’interesse suscitato da Mamdani è apparso evidente anche dal dato dell’affluenza, mai così alta dal 1969. Più di due milioni di elettori si sono recati alle urne e il candidato democratico (50,4%) ha ottenuto più voti della somma di quelli degli altri due sfidanti: Cuomo (41,6%), che dopo la batosta nelle primarie aveva deciso di correre come “indipendente”, e il repubblicano Curtis Sliwa (7,1%). Il 17% degli aventi diritto ha votato per la prima volta in assoluto in queste elezioni e per capire in che direzione si sono espressi si può citare un sondaggio commissionato a settembre dal New York Times, che evidenziava come tra gli elettori più giovani Mamdani fosse in vantaggio 73% a 10% su Cuomo.
Mamdani ha condotto inoltre la campagna elettorale praticamente contro i leader del suo partito. Una parte di essi si era rifiutata di esprimere ufficialmente il proprio appoggio. Il caso più clamoroso è stato quello del leader dei democratici al Senato, Chuck Schumer, identificato d’altronde da sempre con gli interessi di Wall Street. Altri invece hanno manifestato un tiepido sostegno, come il numero uno del partito alla Camera, Hakeem Jeffries, se non altro per cavalcare l’ondata di popolarità di Mamdani tra gli elettori democratici. L’obiettivo dei poteri forti del partito è stato comunque e continuerà a essere il tentativo di influenzare l’agenda e le decisioni del sindaco-eletto, così da neutralizzare di fatto le iniziative più “radicali”, ovvero le promesse che hanno acceso l’entusiasmo dei newyorchesi.
È chiaro che il pericolo principale arriva proprio da questa dinamica, inevitabile per un politico che si propone di generare un qualche cambiamento dall’interno del sistema e dello stesso Partito Democratico. Nei giorni precedenti il voto, Mamdani aveva presenziato a un evento con la governatrice democratica dello stato di New York, Kathy Hochul, e in quell’occasione si era potuto toccare con mano la minaccia rappresentata dall’establishment del partito a un programma anche solo moderatamente progressista. La governatrice era stata accolta in maniera non esattamente calorosa dai sostenitori di Mamdani presenti al comizio e solo l’intervento del candidato sindaco aveva calmato gli animi. La presenza della Hochul, politicamente riconducibile alla destra del partito, era stata puro opportunismo. Basti pensare che una delle proposte più spinte di Mamdani, per lo meno per gli standard americani, è l’imposizione di una tassa sui super ricchi residenti a New York e per essere implementata dovrebbe ottenere l’approvazione delle istituzioni dello stato. La governatrice si è però sempre dichiarata contraria a iniziative di questo genere.
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Fonte: Altrenotizie
Autore: Michele Paris
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Articolo tratto interamente da Altrenotizie.org
Photo credit Bryan Berlin, CC BY-SA 4.0, da Wikimedia Commons







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