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martedì 11 novembre 2025

Il diritto di sapere: educazione sessuale e affettiva a scuola



Articolo da Doppiozero 

Circa cinque anni fa, in una seconda media di Torino, chiesi a studenti e studentesse di scrivermi su un biglietto (se preferivano anche in forma anonima), quali fossero le tematiche, al di fuori della didattica, che premesse loro affrontare.

La maggior parte di loro scrisse sul biglietto “sessualità”. Molti scrissero bullismo, alcuni orientamento per le scuole superiori, altri disturbi alimentari, videogiochi e web.

Uno di loro scrisse “mafia”.

Era una classe numerosa e rumorosa; a tratti complessa.

Se proporre loro lezioni “tradizionali” era un’impresa, dimostrarono grande maturità e serietà di fronte a questa domanda.

Lessi i biglietti, feci un veloce grafico alla lavagna e fu evidente che il tema sessualità andasse per la maggiore.

Prese la parola un ragazzo e senza alcuna inibizione, nel silenzio che si era fatto di tomba, disse: “Vogliamo sapere! A casa nessuno ci parla di queste cose! Guardi che siamo seri, le assicuriamo che siamo capaci di affrontare questi argomenti senza ridere”.

Questa esternazione mi divertì, ma d’altra parte mi resi conto dell’urgenza che la classe tradiva e che si manifestava nella loro improvvisa serietà, come se volessero a tutti i costi dimostrarmi di meritarsi delle delucidazioni.

Mi confrontai il giorno seguente con la coordinatrice di classe e riportai le istanze dei ragazzi. Chiesi se fosse possibile organizzare un incontro di educazione sessuo-affettiva con persone esperte nel trattare questo tema poiché mi sembrava scorretto gestire l’argomento in autonomia (anche se col senno di poi penso che sarebbe stato meglio farlo).

Ricevetti imbarazzo, farfugliamenti, “in terza poi faranno l’apparato riproduttore”, “è difficile invitare esterni con il covid” ecc.

La cosa cadde lì, finì la mia supplenza, mi domandai se le domande dei ragazzi e delle ragazze avessero mai trovato risposte esaurienti.

A inizio settembre è uscito Senza legge. Perché l’educazione sessuo-affettiva a scuola è una questione politica, un saggio molto interessante, edito da Tlon.

Il libro è scritto da cinque autrici che, per motivi diversi, si sono occupate di questo tema. Celeste Costantino, deputata nella XVII Legislatura, lavorò ad una proposta di legge per introdurre l’educazione sentimentale nelle scuole, Alessia Crocini è attivista per i diritti LGBTQIA+ e si batte per il riconoscimento delle famiglie arcobaleno, Giulia Minoli (Presidente della Fondazione Una Nessuna Centomila) e Lella Paladino sono impegnate nella prevenzione della violenza di genere e Monica Pasquino cura formazioni per docenti, famiglie e percorsi in classe.

Il saggio si costruisce attorno alla mancanza di una legge che renda obbligatoria l’educazione sessuo-affettiva a scuola (legge che in diversi paesi europei è in vigore dagli anni ’50).

Infatti, nella scuola italiana, vi è sempre stata una sorta di “libertà di coscienza” demandata all’autonomia scolastica, che non ha mai permesso di assumere una posizione univoca su un tema così importante. Le linee guida sono sempre state volontarie e opzionali.

La riflessione proposta nel libro tocca anche questioni pratiche come l’investimento economico che l’educazione affettiva, affrontata seriamente e in modo endemico, comporterebbe, così come il problema della formazione. Per affrontare un tema così complesso, che muta ed evolve con il tempo (pensiamo ad esempio al fatto che ad oggi la vita virtuale per studenti e studentesse abbia lo stesso peso di quella reale), occorre una formazione mirata.

L’educazione sessuo-affettiva merita di essere definita in maniera chiara e di essere innalzata a sapere accademico, in modo da poter essere definitivamente liberata da manipolazioni ideologiche.

L’educazione sessuo-affettiva si fa campo di conflitto politico, sociale e simbolico. Lo sguardo delle autrici è individuale e collettivo, teorico e pragmatico allo stesso tempo.

Ero circa a metà del libro quando, come per una strana beffa, è arrivata la notizia di cui, in questi giorni, tanto si discute. La commissione Cultura della Camera ha dato il via libera a un emendamento che proibisce l’educazione sessuale e affettiva anche nelle scuole secondarie di primo grado. L’emendamento modifica un disegno di legge del governo sul consenso informato nelle scuole, il cosiddetto “DDL Valditara”, che già prevedeva il divieto quasi totale di educazione affettiva nelle scuole dell’infanzia e in quelle primarie.

L’emendamento nasce da un allarme sociale: la diffusione dell’ideologia gender, una teoria di cui non si conoscono i fondatori e di cui non esiste alcun manifesto, secondo la quale però la comunità LGBTQIA+ si introdurrebbe con astuzia nelle scuole, tramite le lezioni di educazione affettiva, per convertire bambini e bambine innocenti all’omosessualità e alla transessualità (famose per essere malattie contagiose).

Le versioni più estreme parlano persino di un complotto per arrestare la natalità.

Questa teoria infondata, ma cavalcata dall’attuale governo, si è dimostrata un potente dispositivo di controllo culturale; una narrazione volta a depotenziare e delegittimare chi lavora per promuovere diritti e consapevolezza nei contesti educativi. L’educazione sessuale e affettiva è infatti ritenuta una minaccia da contenere; i progetti educativi che trattano il tema del genere, dell’affettività, del consenso, del contrasto alla violenza di genere, della prevenzione di malattie sessualmente trasmissibili e di gravidanze indesiderate suonano come minacce all’integrità della nazione.

Può sembrare distopico, ma si propongono, per contro, lezioni sulla fertilità.

Ciò che sta accadendo a livello politico rende Senza legge ancor più necessario per elaborare delle riflessioni.

Uno dei grandi temi è quello della violenza di genere.

Il tragico femminicidio di Giulia Cecchettin, avvenuto nel novembre 2023, scosse profondamente l’opinione pubblica e costrinse l’Italia a confrontarsi con la realtà del fenomeno.

“Partiamo da Giulia. Una ragazza giovane e brava, una ragazza tranquilla, coscienziosa, che si sta per laureare. Quando le vittime sono donne c’è sempre la tendenza a chiedersi: cosa avrà fatto per meritarsi tutto questo? Con Giulia questa domanda non si riesce nemmeno a pensarla. […] E allora lo sguardo va su Filippo Turetta, su cui naturalmente si scatena l’ira che si deve a un assassino. E tuttavia, nello stesso tempo, emerge anche lì uno spiazzamento. Nemmeno Filippo ha i connotati che si è soliti attribuire a un mostro”.

Diventò improvvisamente (e finalmente) chiaro che Giulia Cecchettin e Filippo Turetta potevano essere i figli di chiunque.

Le famiglie italiane si allarmarono, non c’era uno straniero o un bruto a cui attribuire la colpa. Anche per la gogna dell’opinione pubblica e dei salotti televisivi questa volta non c’era una donna che “se l’era cercata”.

Il centro antiviolenza a cui è affidato il 1522 esplose di chiamate provenienti da genitori preoccupati.

E poi la sorella di Giulia, Elena, nominò con lucidità la parola “patriarcato”, creando un effetto dirompente.

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Fonte: Doppiozero

Autore: 
Anita Romanello

Licenza: This is work is licensed under Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 4.0 International

Articolo tratto interamente da Doppiozero


2 commenti:

  1. L'educazione sessuale dovrebbe partire in famiglia, ma come spiegato nell'articolo, in molti nuclei rimane ancora un tabù.
    E allora come possiamo pretendere di lasciare il compito alla scuola?
    Per me sarebbe opportuno parlarne a casa quanto a scuola. Cioè l'una non esclude l'altra. Ma è un'utopia.

    RispondiElimina

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