Articolo da Zeroviolenza
Marco Bersani, Zeroviolenza
12 ottobre 2015
Sabato scorso 250mila persone provenienti da tutta Europa hanno dato vita a Berlino a una grande manifestazione aprendo così la settimana di mobilitazione europea ed internazionale contro il TTIP, il Partenariato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti, che Usa e Ue stanno negoziando dal luglio 2013.
12 ottobre 2015
Sabato scorso 250mila persone provenienti da tutta Europa hanno dato vita a Berlino a una grande manifestazione aprendo così la settimana di mobilitazione europea ed internazionale contro il TTIP, il Partenariato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti, che Usa e Ue stanno negoziando dal luglio 2013.
Nei prossimi giorni centinaia di iniziative si svolgeranno in tutte
le città d'Europa, mentre sono oltre 3,2 milioni le firme di cittadini
consegnate alla Commissione Europea.
Si apre una fase decisiva per quello che si profila come il più grande trattato di libero scambio del pianeta, nonché il nuovo quadro legislativo globale, cui tutti, volenti o nolenti, dovranno conformarsi.
La pressione delle multinazionali e dei governi spinge perché si arrivi ad una bozza di accordo prima che negli Stati Uniti inizi la campagna elettorale delle presidenziali (previste nel novembre 2016), e la recente approvazione dell’omologo negoziato sul versante Pacifico (TPP) ha galvanizzato le truppe di quanti vogliono trasformare lo stato di diritto in stato di mercato e realizzare l’utopia delle multinazionali: unico faro della vita economica, politica e sociale devono essere i profitti, cui vanno sacrificati tutti i diritti del lavoro e sociali, i servizi pubblici, i beni comuni e la democrazia.
Il TTIP è solo l'ultimo di una serie di processi messi in moto dagli anni '90 del secolo scorso, quando la caduta del muro di Berlino e la nascita dell'Organizzazione Mondiale del Commercio diedero un forte impulso alla globalizzazione neoliberale e resero stringente l'esigenza da parte delle grandi multinazionali e dei governi dei Paesi più ricchi del pianeta di costruire un accordo globale per la liberalizzazione assoluta degli investimenti in tutti i settori economici, consentendo alle multinazionali di dispiegare la loro azione a piacimento sull'intero pianeta, senza lasciare a governi e popolazioni alcuno strumento per condizionarne lo strapotere.
Nacquero così in successione: il negoziato per l'Accordo Multilaterale sugli Investimenti (MAI) e l'Accordo Generale sul Commercio dei Servizi all'interno del WTO (World Trade Organization), come pure, a livello europeo, la direttiva Bolkestein; tutti tentativi falliti, grazie alla forte mobilitazione dei movimenti sociali globali, capaci di mettere in stallo l'intero sistema di grandi eventi per produrre grandi accordi. Da allora il quadro si è modificato e, nel tentativo di far rientrare dalla finestra quello che era stato buttato fuori dalla porta, governi e multinazionali hanno iniziato a produrre una miriade di accordi bilaterali o su piccola scala regionale.
Ed ora, approfittando della crisi economico-finanziaria globale, ritentano la scala più ampia: il TTIP, infatti, per la dimensione geopolitica -due continenti- ed economica -quasi il 60% del Pil mondiale- vuole diventare l'accordo quadro, cui tutto il pianeta, volente o nolente, dovrà conformarsi.
Il negoziato, che, nelle intenzioni di Usa e Ue, avrebbe dovuto concludersi nella più assoluta segretezza nel dicembre 2014, è in realtà ancora lontano dalla meta: il prossimo round, fissato nei giorni 19-23 ottobre a Miami, parte da un empasse su quasi tutti i tavoli di lavoro (dall'Isds, ovvero lo strumento di risoluzione delle controversie tra imprese e Stati, che darebbe alle prime un potere assoluto, ai capitoli sull'agricoltura; dai servizi pubblici alle normative sugli appalti), mentre di qua e di là dall'Atlantico cresce ogni giorno di più la mobilitazione sociale per il ritiro senza se e senza ma del trattato.
Si apre una fase decisiva per quello che si profila come il più grande trattato di libero scambio del pianeta, nonché il nuovo quadro legislativo globale, cui tutti, volenti o nolenti, dovranno conformarsi.
La pressione delle multinazionali e dei governi spinge perché si arrivi ad una bozza di accordo prima che negli Stati Uniti inizi la campagna elettorale delle presidenziali (previste nel novembre 2016), e la recente approvazione dell’omologo negoziato sul versante Pacifico (TPP) ha galvanizzato le truppe di quanti vogliono trasformare lo stato di diritto in stato di mercato e realizzare l’utopia delle multinazionali: unico faro della vita economica, politica e sociale devono essere i profitti, cui vanno sacrificati tutti i diritti del lavoro e sociali, i servizi pubblici, i beni comuni e la democrazia.
Il TTIP è solo l'ultimo di una serie di processi messi in moto dagli anni '90 del secolo scorso, quando la caduta del muro di Berlino e la nascita dell'Organizzazione Mondiale del Commercio diedero un forte impulso alla globalizzazione neoliberale e resero stringente l'esigenza da parte delle grandi multinazionali e dei governi dei Paesi più ricchi del pianeta di costruire un accordo globale per la liberalizzazione assoluta degli investimenti in tutti i settori economici, consentendo alle multinazionali di dispiegare la loro azione a piacimento sull'intero pianeta, senza lasciare a governi e popolazioni alcuno strumento per condizionarne lo strapotere.
Nacquero così in successione: il negoziato per l'Accordo Multilaterale sugli Investimenti (MAI) e l'Accordo Generale sul Commercio dei Servizi all'interno del WTO (World Trade Organization), come pure, a livello europeo, la direttiva Bolkestein; tutti tentativi falliti, grazie alla forte mobilitazione dei movimenti sociali globali, capaci di mettere in stallo l'intero sistema di grandi eventi per produrre grandi accordi. Da allora il quadro si è modificato e, nel tentativo di far rientrare dalla finestra quello che era stato buttato fuori dalla porta, governi e multinazionali hanno iniziato a produrre una miriade di accordi bilaterali o su piccola scala regionale.
Ed ora, approfittando della crisi economico-finanziaria globale, ritentano la scala più ampia: il TTIP, infatti, per la dimensione geopolitica -due continenti- ed economica -quasi il 60% del Pil mondiale- vuole diventare l'accordo quadro, cui tutto il pianeta, volente o nolente, dovrà conformarsi.
Il negoziato, che, nelle intenzioni di Usa e Ue, avrebbe dovuto concludersi nella più assoluta segretezza nel dicembre 2014, è in realtà ancora lontano dalla meta: il prossimo round, fissato nei giorni 19-23 ottobre a Miami, parte da un empasse su quasi tutti i tavoli di lavoro (dall'Isds, ovvero lo strumento di risoluzione delle controversie tra imprese e Stati, che darebbe alle prime un potere assoluto, ai capitoli sull'agricoltura; dai servizi pubblici alle normative sugli appalti), mentre di qua e di là dall'Atlantico cresce ogni giorno di più la mobilitazione sociale per il ritiro senza se e senza ma del trattato.
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Articolo tratto interamente da Zeroviolenza
Fonte: Zeroviolenza
Autore: Marco Bersani
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