Articolo da Eddyburg.it
Qualche giorno fa un gruppo di miserabili baracche (ghetto, lo chiamavano) abusive occupate da molti anni da lavoratori stagionali a Rignano Garganico (vicino a Foggia), è stato distrutto dal fuoco con tutte le poche miserabili cose degli occupanti. Per loro sembra che la Regine Puglia avesse in programma una qualche diversa sistemazione che comunque è arrivata tardi. Quello di Rignano è solo uno delle centinaia di rifugi precari per lavoratori che si spostano da un luogo all’altro per la raccolta di prodotti agricoli, con miserabili paghe, esposti al ricatto dei “caporali”. Non ci sono dati statistici sul numero di lavoratori extracomunitari, ma anche comunitari, che vengono o vivono nel nostro paese, alcuni regolari, altri clandestini, e sulle loro abitazioni, talvolta rifugi precari, talvolta case sovraffollate, affittate a prezzi esosi. Gli italiani hanno bisogno di questi lavoratori ma li detestano se addirittura non li odiano, e manca una politica che renda meno disumana la situazione di questo nostro “prossimo”.
Si tratta di persone che abbandonano i loro paesi e le loro famiglie a causa dell’impoverimento delle loro terre, talvolta per colpa dei mutamenti climatici, che fuggono dalla miseria, talvolta dai conflitti o dalle persecuzioni etniche, o dalla mancanza di lavoro per la chiusura di fabbriche o miniere. Poveri che premono ai confini dei paesi nei quali sperano di avere occupazione e che li respingono e costringono a vivere in ghetti, appunto come quello di Rignano. Storie di miseri che hanno segnato tutto il Novecento e questo secolo e che sono sommerse, non hanno voce.
Una qualche mobilitazione di intellettuali in loro difesa si ebbe ottanta anni fa negli Stati Uniti, durante la grande crisi iniziata nel 1929. Negli anni venti del Novecento si era verificata una grande tragedia ecologica; le terre, una volta fertili, degli stati centrali, Oklahoma, Arkansas, Texas, del grande paese, erano state sottoposte a eccessivo sfruttamento; tempeste di vento asportavano la poca terra fertile ancora rimasta, i piccoli agricoltori non potevano più pagare i debiti e le banche si appropriavano della loro terre per destinarle a colture intensive. Milioni di famiglie furono gettate nella miseria e costrette ad emigrare ad ovest verso la fertile California, dove speravano di trovare lavoro. Qui i grandi proprietari terrieri si servivano di “caporali”, proprio come da noi oggi, per reclutare operai disposti a lavorare alle paghe più basse, senza sicurezza, in ricoveri di fortuna.
Nel 1933 gli americani elessero alla presidenza degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt (1882-1945), un anziano signore colpito in giovane età dalla poliomielite, ridotto a muoversi in carrozzella, ma determinato a far uscire il suo paese dalla crisi con un nuovo patto sociale, il “New Deal”. Per affrontare il problema dei migranti Roosevelt, poche settimane dopo l’insediamento, nominò Rexford Tugwell (1891-1979), professore di economia alla Columbia University, una eccezionale figura di difensore dei diritti civili, a capo della “Rural Resettlement Administration”, l’agenzia federale col compito di creare dei villaggi di accoglienza dei lavoratori immigrati in California e di aiutarli a ottenere lavoro sfuggendo al ricatto dei proprietari terrieri e dei loro sgherri.
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Articolo tratto interamente da Eddyburg.it
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Proprio l'estate scorsa ho riletto (volutamente) Furore di Steinbeck e ho rivisto il fil omonimo.
RispondiEliminaSembra che la stroria si riavvolga su se stessa, cambiano i luoghi e le facce, ma la sostanza rimane immutata.
Ah, la memoria...
Un caro saluto
Si dovrebbe prendere esempio dalla politica di Rooservelt, che in un momento di crisi aveva saputo far rialzare un paese in ginocchio.
RispondiEliminaNon si riesce a venirne fuori. Noi non abbiamo un Rooservelt.
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