di Eva Milan
"Sono più di 1070 i giornalisti uccisi in zone di guerra dal 1992 in tutto il mondo. Il triste primato spetta all'Iraq, con 162 morti dal 1992, seguito dalla Siria con 67 giornalisti uccisi dal 2011." [Committee to Protect Journalists, www.cpj.org/killed/ ]
Dalla morte di Ilaria Alpi in Somalia, passando per quella di Maria Grazia Cutuli in Afghanistan, di Raffaele Ciriello a Ramallah, Antonio Russo in Cecenia, fino alle scomparse più recenti di giornalisti in Ucraina, tra cui l'italiano Andrea Rocchelli, e poi Simone Camilli a Gaza e James Foley in Iraq, l'anniversario della morte di Enzo Baldoni sembra segnare un forte collegamento simbolico tra i conflitti in corso, la loro evoluzione, le connessioni profonde con le loro complessità geopolitiche e umane, oltre ogni racconto mediatico.
Enzo Baldoni non era un reporter professionista. Si definiva lui stesso sarcasticamente un avventuriero, un «turista» delle guerre; fu di fatto testimone umanitario e un volontario della Croce Rossa. Baldoni non offriva analisi geopolitiche, non forniva informazioni dettagliate né background storici degli avvenimenti di cui era testimone, non trascriveva dati e resoconti. Nonostante la sua chiara posizione contro la guerra, non era nemmeno un attivista politico.
Enzo raccontava la guerra a modo suo, con ironia e intima testimonianza del quotidiano, un quotidiano fatto di persone, volti, scambi di battute, pacche sulle spalle, legami nati nel momento in cui piove una bomba a pochi metri da un buffet, da quello scampato pericolo, e allora giù risate liberatorie e abbracci.
In questo modo Baldoni ha raccontato le bombe su un semi-deserto hotel Palestine di Baghdad, l'albergo dei giornalisti preso di mira dagli americani, tra un delizioso barbecue e l'altro; ha raccontato i volti cupi dei mujaheddin di Falluja e le previsioni sulla strage che sarebbe avvenuta di lì a pochi mesi, denunciata poi da Giuliana Sgrena poco tempo prima del suo rapimento; ha raccontato le strade di Baghdad in cerca di normalità e delle bombe americane sulle ambulanze; ha raccontato le vittime invisibili degli occupanti e del «fuoco amico» negli ospedali della Croce Rossa; ha raccontato il volto umano dei soldati americani, ragazzotti simpatici, convinti di essere lì a salvare il mondo o di svolgere un lavoro come un altro; ha raccontato della crescente ostilità della popolazione verso gli occupanti e poi l'assedio di Najaf, fino al suo ultimo viaggio proprio qui, nella città assediata, tra il terrore di essere preso di mira dai carrarmati Bradley e la salvezza della staffetta invisibile che guidava a destinazione il suo improvvisato convoglio di aiuti ... Ed è proprio leggendo quegli ultimi momenti nel suo blog che si ha quasi la sensazione che tutti i segnali fossero là, a mettere in guardia da quel che stava per accadere, quasi a supplicare di rinunciare all'operazione: i problemi tecnici che bloccarono il convoglio della Croce Rossa, poi i mezzi di fortuna offerti dalla Mezzaluna Rossa e un nuovo guasto a uno dei carri... fino alla sua separazione con il convoglio e l'agguato che fece perdere le sue tracce.
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Fonte: Megachip.info
Autore: Eva Milan
Come si dimenticano in fretta tanti poveri innocenti ...
RispondiEliminaCaro Cavaliere, è un mestiere molto pericoloso, e mi pare che lo diventi sempre più. Buona serata caro amico.
RispondiEliminaTomaso