giovedì 12 dicembre 2024

Si continua a morire nel Mediterraneo



Articolo da Associazione Diritti e Frontiere – ADIF

1. Mentre continuano a sommarsi i procedimenti penali che nelle condanne confondono anche i naufraghi tra i presunti scafisti, da ultimo a Crotone, e si sovrappongono ai procedimenti in corso nei confronti di agenti istituzionali, non si arresta la serie di stragi che sta caratterizzando il calo degli arrivi dalla Tunisia. Dopo il Memorandum stipulato lo scorso anno con l’Unione europea, con una procedura affatto trasparente, sotto il patrocinio della Meloni e della Von der Leyen, e soprattutto dopo il rifinanziamento e la fornitura di motovedette garantiti alla guardia costiera tunisina, da Bruxelles e dal governo italiano, con la istituzione di una zona più ampia di ricerca e salvataggio (SAR) riservata alle autorità marittime e militari di quel paese ,si sono verificati più morti e dispersi che negli anni precedenti, da rapportare al numero più ridotto di persone che sono riuscite a lasciare le coste tunisine rispetto al 2023.

La propaganda di governo, ed i giornali che la diffondono, tendono ad accentrare tutte le responsabilità delle vite umane che si perdono nel Mediteraneo centrale sui “trafficanti”, termine che spesso viene scambiato con quello ben diverso di “scafisti”, come se le misure di deterrenza continuamente inasprite a colpi di decreto legge potessero diminuire la conta delle vittime. Mentre coloro che non sono riusciti a completare la traversata, perchè riportati a terra dopo essere stati intercettati in acque internazionali, soprattutto se si tratta di migranti subsahariani in transito, finiscono per strada in territorio tunisino o sono deportati al limite del deserto, ai confini con Libia ed Algeria. In un numero più ristretto di casi si prospetta la possibilità di un rimpatrio volontario assistito dall’OIM, che può costituire l’unica alternativa possibie di sopravvivenza, ma con il fallimento completo del progetto migratorio. E in molti casi, come nel caso della Nigeria, non si può neppure parlare di “paese di origine sicuro”. Tutto questo avviene malgrado le Nazioni Unite avessero confermato già a maggio di quest’anno che la Tunisia non può essere definita come un luogo sicuro (place of safety). Dunque i naufraghi soccorsi in acque internazionali non vi dovrebbero essere ricondotti, nè si dovrebbero sostenere a livello operativo le attività di intercettazione in alto mare delle motovedette tunisine, a scapito delle attività di soccorso umanitario che potrebbero essere operate dalle ONG con la garanzia dello sbarco in un vero place of safety (POS).

2. Stupri, violenze, rapimenti ed estrema precarietà: sono questi gli abusi subiti dalle persone in transito dalla Tunisia per raggiungere l’Europa”, Nel suo rapporto di ottobre “Torture Roads, mappatura delle violazioni subite dalle persone in movimento in Tunisia”, l‘Organizzazione mondiale contro la tortura (OMCT) ha constatato “l’emergere di una serie di nuove pratiche allarmanti”“Nel periodo novembre 2023-aprile 2024 si è registrato un aumento preoccupante dei casi di violenza sessuale subiti da persone in movimento in Tunisia, commessi con la complicità di agenti delle forze di sicurezza tunisine, o direttamente indotti dalla politica di sfollamento forzato e di deportazione delle persone vulnerabili persone”.

Molti giornalisti e avvocati, come Sonia Dhamani, che difendevano i diritti delle persone migranti contro le politiche suprematiste di Saied sono stati arrestati e condannati a pesanti pene detentive da una magistratura che, dopo la riforma costituzionale del 2022, è alle dipendenze del governo. E già basterebbe soltanto questa circostanza, ben nota ai governi occidentali, per escludere la Tunisia dall’elenco dei paesi terzi o dei paesi di origine “sicuri”.

3. Con il Decreto n. 2024-181 del 5 aprile 2024 sulla organizzazione di ricerca e soccorso marittimo tunisino, con la successiva formalizzazione di una zona SAR (di ricerca e salvataggio), è stato istituito il “Centro nazionale di coordinamento per le operazioni di ricerca e soccorso marittimo” che si avvale di tre centri di ricerca e soccorso secondari sotto il National Coastal Surveillance Service e quattro centri di ricerca e soccorso secondari sotto la direzione generale della Guardia Nazionale. Ma non sembra che in questo modo si sia garantita, oltre alla deterrenza, maggiore sicurezza alle persone che cercano comunque di attraversare il Mediterraneo.

Esperti delle Nazioni Unite in un recente rapporto dell’OHCHR (Alto commissariato per i diritti umani) hanno dichiarato: “Abbiamo ricevuto rapporti scioccanti che descrivono in dettaglio manovre pericolose durante l’intercettazione di migranti, rifugiati e richiedenti asilo in mare; violenza fisica, comprese percosse, minacce di uso di armi da fuoco; rimozione di motori e carburante; e il ribaltamento delle barche”, Sono tutti elementi di prova che non saranno certo considerati dalla magistratura tunisina, sempre più alle dipendenze del governo di Saied, che si permette di arrestare persino gli oppositori politici e gli avvocati che difendono i diritti umani di tutti gli oppositori e delle persone migranti in transito. Ma la giurisprudenza italiana già a settembre del 2023, con una pronuncia del Tribunale di Firenze, ha rinviato un caso arrivato al suo esame, per questione pregiudiiale, alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, affermando che “L’analisi complessiva degli eventi successivi al 28 ottobre 2022 – data di ultimo aggiornamento della scheda paese riguardante la Tunisia – denota come siano avvenuti nell’ultimo anno eventi che hanno riguardato aspetti critici già qualificati come tali dalla stessa scheda ministeriale, e che hanno reso la situazione tunisina – proprio con riguardo a tali aspetti – ancora più critica sia sotto il profilo del tasso di democraticità del paese che èfunzionale, inter alia, alla permanenza di un “un sistema di ricorsi effettivi contro le violazioni” dei diritti e libertà stabiliti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950, ratificata ai sensi dellalegge 4 agosto 1955, n. 848, nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, aperto alla firma il 19 dicembre 1966, ratificato ai sensi della legge 25 ottobre 1977, n. 881, e nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 10 dicembre 1984, in particolare dei diritti ai quali non si può derogare a norma dell’articolo 15, paragrafo 2, della predetta Convenzione europea”.

Con il più recente decreto legge n.145/2024, convertito nella legge n.187/2024, la Tunisia continua a far parte dell’elenco dei paesi di origine sicuri, malgrado la norma di legge non faccia più riferimento alle schede paese e tenda ad escludere una valutazione discrezionale del giudice sulla “sicurezza” della Tunisia, per i migranti in transito, e per i suoi stessi cittadini. Ma al di là dei motivi individuali che possono essere fatti valere nelle procedure di asilo, e nei relativi ricorsi con istanza di sospensiva delle decisioni di rigetto, eistono fondate ragioni di carattere generale che dovrebbero escludere la legittimità del supporto fornito alla Guardia costiera tunisina, che riconduce i naufraghi un paese nel quale, giorno dopo giorno, si riducono gli spazi di riconoscimento dei diritti e delle libertà fondamentali, e si intensifica una vera e propria persecuzione nei confronti delle persone di nazionalità straniera che vi si trovano in transito.

4. La Tunisia non garantisce porti sicuri di sbarco, come hanno già affermato i giudici italiani, e non può essere qualificata come un “paese sicuro“, nè per i suoi cittadini, nè per le persone migranti che cercano di raggiungere le coste del Mediterraneo nella speranza di fuggire verso l’Europa. Persone che nella maggior parte dei casi provengono da paesi in situazioni di conflitto e di degrado che dovrebbero comportare già in Tunisia, ma a maggior ragione in Europa, il riconoscimento di uno status di protezione. Ma la Tunisia non è nè un paese terzo, nè un paese di origine “sicuro”. Le vittime in mare sono un numero incalcolabile.

I morti ed i dispersi in mare sono molti di più di quelli che sono “contabilizzati” dall’OIM e dagli Stati costieri, come si è visto in questi ultimi giorni, con l’ennesima strage nel Mediterraneo centrale, sulla rotta da Sfax verso Lampedusa, ma già in zona SAR italiana, una rotta che si è riaperta non appena le condizioni del mare lo hanno permesso. In questo ultino caso, il soccorso portato da una nave del soccorso civile ad una bambina di soli 11 anni, da giorni alla deriva in alto mare, attaccata a due salvagenti ha permesso di ricostruire almeno uno degli altri naufragi avvenuti poco prima sulla stessa rotta, sembrerebbe già all’interno della zona di ricerca e soccorso (SAR) italiana. Infatti, come segnalato da AlarmPhone tra il 2 e il 4 dicembre, sarebbero state diverse le imbarcazioni che si trovavano ad affrointare il mare in burrasca, e di cui non si ha più notizia. Imbarcazioni che nessuno è andato a cercare, dopo le prime segnalazioni inviate alle autorità marittime. Se una piccola nave del soccorso civile non avesse salvato la vita di questa bambina non si saprebbe nulla del naufragio dell’imbarcazione sulla quale si trovava. E nulla si saprebbe di 45 vite che sono andate perdute nella zoma di ricerca e salvataggio (SAR) italiana, per quanto riferiscono le fonti di stampa, in assenza di comunicati ufficiali. Di certo, le temperature dell’acqua, le condizioni meteo e le circostanze dei soccorsi riferite dai media confermano che il soccorso dell’ unica sopravvissita, e dunque il naufragio, siano avvenuti all’interno della zona di ricerca e salvataggio (SAR) italiana. Le prime cronache giornalistiche secondo cui la ragazzina ” avrebbe trascorso circa due giorni in acqua” appaiono poco credibili. Forse per due giorni avrà navigato sul barchino di lamiera con il quale era fuggita dalla Tunisia con un fratello, ma di sicuro il naufragio non potrà essere avvenuto troppo tempo prima del momento in cui è stata soccorsa in acqua, in acque che rientrano nella zona SAR italiana. Vedremo se l’inchiesta aperta dalla magistratura farà luce anche su questi aspetti.

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Fonte: Associazione Diritti e Frontiere – ADIF

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Articolo tratto interamente da 
Associazione Diritti e Frontiere – ADIF


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