Articolo da Sbilanciamoci.info
Dalla Volkswagen a Stellantis, la profonda crisi dell’auto europea ci interroga sul destino di quello che è stato sino ad oggi l’asse portante dell’industria del Vecchio continente. I dazi e i propositi di allentare i vincoli ambientali non ne freneranno la caduta.
La scadenza del 2035
I costruttori hanno sostanzialmente accettato la scadenza al 2035 nella UE per la cessazione della produzione e vendita delle vetture ad energie fossili e stanno facendo grandi investimenti per farvi fronte. Ma qua e là si levano voci forti ed importanti, in relazione anche al lavorio più o meno occulto della lobby dei petrolieri, oltre che da parte dei politici del centrodestra con in testa la nostra Meloni, nonché dalla lobby dei produttori di componenti, che cercano in tutti i modi di porre ostacoli a tale scadenza. E può darsi che qualcosa riusciranno ad ottenere.
Eppure la data del 2035 non arriva troppo presto, come sostengono i detrattori della norma, ma semmai un poco tardi di fronte alla drammatica accelerazione della crisi climatica. E che si possa fare anche molto meglio è dimostrato dal caso della Norvegia, paese che dal 2025 venderà soltanto auto elettriche. A Oslo l’aria è pulita. Nel resto di Europa comunque il mutamento è contrastato dagli alti prezzi delle vetture, dalla carenza di colonnine di ricarica e dai tempi di ricarica troppo lunghi, dall’autonomia di percorrenza ancora insufficiente e dal debole sostegno dei governi.
L’industria europea dell’auto
Che ci sia una profonda crisi strutturale dell’auto europea è difficile negarlo.
I sintomi sono tanti. La Volkswagen minaccia di chiudere tre stabilimenti in Germania e di ridurre la paga degli operai del 10%, mentre i sindacati scioperano contro; intanto anche la Mercedes annuncia provvedimenti “lacrime e sangue”. Stellantis è in difficoltà con il governo italiano per il fatto che la produzione di auto in Italia appare ormai ridotta ai minimi termini. Intanto in Francia alcune linee produttive vengono spostate verso paesi a costi più bassi come la Turchia e il Marocco. La quota di mercato dei produttori tedeschi in Cina è crollata negli ultimi anni, mentre i produttori del paese asiatico producono EV a prezzi molto più bassi, con migliore qualità e in volumi enormi e stanno ora attaccando il mercato europeo e invadendo quelli in crescita dei paesi del Sud del mondo.
In Europa le vendite di auto non sono tornate ai livelli pre-Covid, risultando più basse di circa il 20%, mentre quella dei veicoli EV non decolla. Tutti i principali produttori europei, esclusa la Renault, hanno annunciato una riduzione dei profitti per il 2024.
I produttori europei sono in grave ritardo anche sulle batterie e sul software (qualcuno parla delle vetture come di “software sulle ruote” o di “telefonino sulle ruote”), elementi che costituiscono ormai il 75% del costo di un’auto. In questo quadro i produttori europei hanno alzato i prezzi mentre i cinesi li abbassavano.
Il più importante produttore europeo di batterie, la Northvolt, è fallito di recente. Un dirigente cinese del settore ha così commentato prima ancora che la società svedese arrivasse alla bancarotta: “…hanno una progettazione sbagliata, …un processo produttivo sbagliato… e hanno i macchinari e gli impianti sbagliati. Come possono andare avanti? …” (FT reporters, 2024). Questo commento evidenzia la dimensione del fallimento delle imprese europee del settore. Paradossalmente la società che doveva fare concorrenza ai cinesi sarà forse salvata dagli stessi cinesi. E un altro operatore aggiunge: “La profondità della crisi dell’industria dell’auto europea è quasi senza limiti…” (FT reporters, 2024). Infine Luca De Meo, AD della Renault, annuncia: “…Noi non siamo in grado di competere… senza il sostegno delle imprese cinesi che controllano le materie prime, i prodotti chimici per il settore, la raffinazione e più in generale la loro capacità e la loro competenza…”.
I mali della Volkswagen (Nilsonn ed altri, 2024), la società leader in Europa, sono oggi legati da una parte alla transizione all’elettrico, dall’altra alla sua situazione in Cina, dove l’azienda ha collocato ben 39 impianti produttivi ricavandone una fetta consistente dei suoi ricavi e ancor più dei profitti ma dove vede ora un ridimensionamento consistente: in pochi anni la casa automobilistica tedesca è passata da una vendita di 4 milioni di vetture in Cina ad una di 2,5 milioni. A ciò va aggiunto infine l’importante calo del mercato in Europa, nonché il livello troppo elevato dei costi nel Vecchio Continente, anche a causa della lentezza e titubanza dei suoi processi decisionali.
La Volkswagen aveva a suo tempo individuato una strategia corretta avendo varato, già nel 2016, un grande piano di passaggio all’elettrico e al software, ma nei primi anni ha avuto grandi difficoltà nel portarlo avanti. Un altro colpo all’azienda è derivato dalla decisione del governo tedesco di annullare gli incentivi all’acquisto dei veicoli. La società è però solida, con 35 miliardi di euro in cassa (Nilsson, Storbeck, Inagaki, 2024). Ma non è solo la Volkswagen a soffrire in Germania.
Più in generale l’auto tedesca godeva di una grande rendita di posizione legata alle sue prodezze tecniche, che permettevano di ottenere sul mercato prezzi unitari molto elevati e vendite in crescita costante. Il motto della Audi, motto che andava bene per tutta l’auto tedesca, era Vorsprung durch Technik, ovvero “il vantaggio attraverso la tecnologia” (Richter, 2024). L’industria dell’auto era diventata sinonimo dell’economia tedesca perché rappresentava perfettamente il modello di business del paese. Adesso però quel patrimonio meccanico diventa sempre meno importante, di fronte all’avanzata del peso delle batterie, del software, della vettura autonoma.
Intanto negli Stati Uniti la minaccia di Trump di imporre dei dazi del 25% sulle importazioni di auto dal Canada e dal Messico porrebbe in gravi difficoltà i produttori di auto; i tre big statunitensi importano da tali paesi tra il 25% e il 40% delle vetture vendute sul marcato Usa e nei guai si troverebbero anche le aziende giapponesi e la stessa Volkswagen (Inagaki e altri, 2024).
Stellantis; la crisi italiana
E’ noto che molti decenni fa il gruppo Fiat era arrivato a produrre sino a 1.700.000 vetture in un anno. Poi è arrivato il declino e la produzione è calata costantemente; dopo una qualche rimonta nel 2023, nei primi nove mesi del 2024 la produzione di auto italiane appare in sensibile riduzione, riduzione che si aggira intorno al 32% rispetto al corrispondente periodo del 2023. Il dato finale, compresi i veicoli leggeri, non dovrebbe discostarsi molto dalle 550.000 unità. Le fabbriche italiane si reggono da molti anni sulla cassa integrazione e altre agevolazioni da parte del governo, ma il numero dei dipendenti non cessa di diminuire di anno in anno.
In totale nel mondo nei primi nove mesi del 2024 la casa automobilistica che fu degli Agnelli ha venduto il 15% di vetture in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (-700.000 unità).
Tra i problemi del gruppo ci sono una gamma di prodotti invecchiati, prezzi elevati, totale assenza dall’Asia, che oggi rappresenta circa il 60% del mercato mondiale dell’auto, il montare della concorrenza cinese, nonché la debolezza della sua strategia nel settore dell’auto elettrica – che risale per alcuni versi alle scelte del “genio” Marchionne – mentre appare anche poco presente nel prossimo imminente salto tecnologico, quello dell’auto a guida autonoma.
Fonte: Sbilanciamoci.info
Autore: Vincenzo Comito
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Articolo tratto interamente da Sbilanciamoci.info
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