giovedì 7 novembre 2024

Scuola: record di precari



Articolo da L'Ordine Nuovo

L’ennesimo record di supplenze e l’attesa messianica del fatidico concorso docenti 2024 stanno mettendo in chiarissima luce la natura estremamente classista che caratterizza, ormai da trent’anni, il mondo delle assunzioni nella scuola. Il sistema di reclutamento dei docenti sembra somigliare sempre di più a un meccanismo per produrre precariato e fatturati per i privati, mentre, sempre di più, solo chi ha denaro da investire può permettersi di andare avanti nelle graduatorie.

Per l’anno scolastico 2024/2025, il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha ricevuto l’autorizzazione ad assumere un totale di 56.500 insegnanti e altro personale. A fronte di questo, però, quest’anno sono state assegnate circa 234.000 supplenze, una quantità persino maggiore rispetto agli anni precedenti, ovvero più del 25% del corpo docente in Italia. La volontà politica di scaricare i tagli della finanza pubblica sulla qualità dell’istruzione e sulla vita dei lavoratori pubblici è evidente da questi numeri. Si tratta di un trend che va avanti, naturalmente, da diversi anni e ha tra i suoi responsabili i diversi governi succedutisi. Se i supplenti delle cattedre comuni – cioè i docenti di italiano, latino, matematica e così via – tra il 2016 e oggi sono infatti passati da 60 mila a 105 mila unità, quelli nell’ambito del sostegno sono quasi quadruplicati, passando da 36 mila a 130 mila. Questi numeri rendono le procedure concorsuali tanto fondamentali per i precari in cerca di stabilizzazione, quanto lunghe e difficili da gestire le procedure stesse, soprattutto con le nuove modalità di svolgimento delle prove. Trattandosi poi di concorsi non abilitanti, coloro che pur avendo ottenuto un buon punteggio al prossimo concorso non rientreranno nei posti messi a bando, avranno una eventuale possibilità di essere chiamati sul posto soltanto in caso di rinuncia all’immissione in ruolo dei candidati vincitori. Non è un caso che i precari, nelle loro manifestazioni, chiedano che non ci siano più nuovi concorsi finché ci sono persone risultate idonee ai precedenti, che hanno appunto superato lo stesso concorso e sono ancora in attesa di essere stabilizzate. Nel frattempo, al fine di incrementare il punteggio e scalare le graduatorie provinciali di supplenza (GPS), gli insegnanti precari devono entrare in una competizione serrata tra loro a colpi di migliaia di euro regalati alle università private per conseguire specializzazioni la cui unica utilità, spesso, è solo fare fatturare gli atenei telematici. Questi corsi, ai quali sembra ormai quasi impossibile sottrarsi, assumono sempre di più l’aspetto di prodotti commerciali slegati da ogni funzione formativa e propagandati con spot e slogan avvincenti.

Detto ciò, i candidati vincitori del prossimo concorso in possesso dell’abilitazione saranno assunti a tempo indeterminato e dovranno svolgere un periodo di formazione e prova in servizio della durata di un anno. Chi vince il concorso senza possedere l’abilitazione dovrebbe invece iniziare un anno a tempo determinato in cui, oltre a lavorare, dovrà conseguire l’abilitazione all’insegnamento tramite un corso universitario da 30/36 CFU (crediti formativi universitari). Il corso prevede lo studio di materie come pedagogia, psicologia e metodologia didattica, oltre che delle ore di tirocinio. Questa abilitazione sarà totalmente a carico degli aspiranti insegnanti vincitori del concorso con un costo di 2.000 euro e a essa, una volta conseguita, seguirà l’anno di prova. Chi vince il concorso, in sostanza, vince un anno di supplenza e il diritto ad abilitarmi a proprio carico, aumentando di un anno il vincolo dall’istituzione scolastica presso cui assumono l’incarico. 

Come se non bastasse, la riforma dell’ex ministro all’Istruzione del governo Draghi, Patrizio Bianchi, che entrerà in vigore dal 2025, prevede il requisito del conseguimento di 60 crediti formativi per poter accedere ai prossimi concorsi per l’immissione in ruolo e alle graduatorie; mentre i corsi abilitanti, anche quelli gestiti dalle università pubbliche, saranno a pagamento. Si tratta dell’ennesima mercificazione della formazione che scarica la spesa dei corsi sullo studente (anche quando questo è già un lavoratore della scuola pubblica). Dei 60 CFU obbligatori, 35 CFU coprono le discipline di riferimento, le discipline socio/psico/antropologiche e pedagogiche, linguistiche, digitali e di legislazione scolastica; 20 CFU riguardano un periodo di tirocinio diviso tra tirocinio diretto di 15 CFU e tirocinio indiretto di 5 CFU. Quest’ultimo consiste in una serie di attività propedeutiche al primo, come la stesura di verbali, che verranno svolte in aula. Infine, sono previsti 5 CFU di metodologie didattiche e dell’inclusione. Come se non bastasse, sono state effettuate modifiche alla selezione degli esami di vari settori disciplinari per l’acquisizione dei crediti “di cattedra”, ovvero quelli della classe di concorso, che permettono di rivestire il ruolo di insegnante per specifiche materie. Ciò comporta che chi non ha sostenuto, in questi ultimi anni di studio, esami propedeutici previsti dall’ultima riforma – perché la precedente ne prevedeva altri – dovrà sostenerli in una situazione di emergenza: o messi alle strette dalle scadenze molto brevi per il conseguimento del titolo di laurea, o a pagamento come esami extra. Una mole di lavoro non indifferente, dopo aver trascorso cinque anni o più sui libri.


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Fonte: L'Ordine Nuovo

Autore: 
Domenico Cortese

Licenza: Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 3.0 Italia.

Articolo tratto interamente da 
L'Ordine Nuovo


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