domenica 22 maggio 2016

Legambiente presenta Ecosistema rischio 2016


Articolo da Viviconstile 

7 milioni di cittadini si trovano ogni giorno in zone esposte al pericolo di frane o alluvioni. In ben 1.074 comuni (il 77% del totale) sono presenti abitazioni in aree a rischio. Nel 31% sono presenti addirittura interi quartieri e nel 51% dei casi sorgono impianti industriali. Nel 18% dei Comuni intervistati, nelle aree golenali o a rischio frana sono presenti strutture sensibili come scuole o ospedali e nel 25% strutture commerciali. L’urbanizzazione delle aree a rischio non è solo un fenomeno del passato: nel 10% dei Comuni intervistati sono stati realizzati edifici in aree a rischio anche nell’ultimo decennio. Solo il 4% delle amministrazioni ha intrapreso interventi di delocalizzazione di edifici abitativi e l’1% di insediamenti industriali. In ritardo anche le attività finalizzate all’informazione dei cittadini sul rischio e i comportamenti da adottare in caso di emergenza: L’84% dei Comuni ha un piano di emergenza che prende in considerazione il rischio idrogeologico ma solo il 46% lo ha aggiornato e solo il 30% dei Comuni intervistati ha svolto attività di informazione e di esercitazione rivolte ai cittadini.

Numeri e dati aggiornati sul rischio idrogeologico in Italia sono stati illustrati oggi a Roma da Legambiente, nel corso di un convegno per la presentazione del dossier Ecosistema Rischio 2016, l’indagine sulle attività nelle amministrazioni comunali per la mitigazione del rischio idrogeologico, realizzata sulla base delle risposte fornite dalle amministrazioni locali al questionario inviato ai Comuni in cui sono state perimetrale aree a rischio idrogeologico (i dati si riferiscono quindi ai 1.444 Comuni che hanno risposto al questionario di Legambiente).

All’incontro, coordinato dal Responsabile scientifico Legambiente Giorgio Zampetti, hanno partecipato: Mauro Grassi, Responsabile Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico,  Fabrizio Curcio, Capo Dipartimento della Protezione Civile, Francesca Ottaviani, Coordinatrice nazionale Legambiente Protezione Civile, Gaia Checcucci, Direttrice generale per la salvaguardia del territorio e delle acque del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Bernardo De Bernardinis, Presidente Ispra, Massimo Caleo, Vicepresidente Commissione Ambiente del Senato, Bruno Valentini, Sindaco di Siena e delegato ANCI alle Politiche ambientali, Territorio e Protezione civile e il vicepresidente di Legambiente Edoardo Zanchini.

 Solo nel 2015 frane alluvioni hanno causato nel nostro Paese 18 vittime, 1 disperso e 25 feriti con 3.694 persone evacuate o rimaste senzatetto in 19 regioni, 56 province, 115 comuni e 133 località. Secondo l’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica (Irpi) del Cnr,nel periodo 2010-2014 le vittime sono state 145 con 44.528 persone evacuate o senzatetto, con eventi che si sono verificati in tutte le regioni italiane, nella quasi totalità delle province (97) e in 625 comuni per un totale di 880 località colpite.

 “E’ evidente l’urgenza di avviare una seria politica di mitigazione del rischio che sappia tutelare il suolo e i corsi d’acqua e ridurre i pericoli a cui sono quotidianamente esposti i cittadini – ha dichiarato il responsabile scientifico di Legambiente Giorgio Zampetti -. La prevenzione deve divenire la priorità per il nostro Paese, tanto più in un contesto in cui sono sempre più evidenti gli effetti dei cambiamenti climatici in atto. Per essere efficace però, l’attività di prevenzione deve prevedere un approccio complessivo, che sappia tenere insieme le politiche urbanistiche, una diversa pianificazione dell’uso del suolo, una crescente attenzione alla conoscenza delle zone a rischio, la realizzazione di interventi pianificati su scala di bacino, l’organizzazione dei sistemi locali di protezione civile e la crescita di consapevolezza da parte dei cittadini”.

Rispetto all’attività di prevenzione del rischio, nell’80% dei comuni intervistati sono stati redatti piani urbanistici che hanno recepito le perimetrazione delle zone esposte a maggiore pericolo. Nonostante l’evidente fragilità del territorio, nel corso dell’ultimo decennio, nel 10% dei comuni (146 fra quelli intervistati) si è continuato a costruire in zone a rischio: nel 88% dei casi sono state urbanizzate aree a rischio di esondazione o a rischio di frana con la costruzione di abitazioni (in 128 comuni su 146); nel 14% dei casi in tali aree sono sorti addirittura interi quartieri (in 20 comuni). Nel 38% l’edificazione ha riguardato fabbricati industriali (55 comuni). Nel 12% dei casi (17 comuni), invece, sono state costruite in aree a rischio idrogeologico strutture sensibili come scuole e ospedali, nel 18% (26 comuni) strutture ricettive e nel 23% (33 comuni) strutture commerciali.

Complessivamente, soltanto il 4% (53 amministrazioni) dei comuni intervistati ha intrapreso azioni di delocalizzazione di abitazioni dalle aree esposte a maggiore pericolo e appena nell’1% dei casi (20 comuni tra i 1.399 che hanno partecipato all’indagine) si è provveduto a delocalizzare insediamenti o fabbricati industriali. Per correggere gli errori urbanistici del passato è necessario abbattere e spostare dove possibile ciò che non si può difendere dalle alluvioni e dalle frane.

 Il 68% dei comuni ha dichiarato di svolgere regolarmente un’attività di manutenzione ordinaria delle sponde dei corsi d’acqua e delle opere di difesa idraulica; nel 70% dei comuni campione sono state realizzate opere per la messa in sicurezza dei corsi d’acqua o di consolidamento dei versanti franosi.

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Fonte: Viviconstile


Autore: redazione Viviconstile

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Articolo tratto interamente da Viviconstile 

 

1 commento:

  1. La salvaguardia del suolo, del territorio, dell'ambiente dovrebbe stare a cuore a ciascuno di noi. Non saranno mai troppe le campagne di educazione e sensibilizzazione sociale al riguardo. Grazie sempre per la tua attenzione...

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