venerdì 5 dicembre 2025
A 18 anni dal rogo della ThyssenKrupp di Torino
Dicembre di Miquel dels Sants Oliver
Il pugno chiuso di Sócrates
Articolo da La Fionda
Per lui, che il Brasile smettesse di essere vittima del regime militare al tempo presieduto da Joao Figueiredo, era un pensiero fisso. Si rifiutava visceralmente di esserne complice, tipico atteggiamento, quest’ultimo, di chi si limita a osservare e basta. Dare la possibilità al suo Paese di poter essere democratico, il che avrebbe significato convincere milioni di connazionali talvolta scettici sulla bontà dell’idea, non era certo un proposito semplice, ragion per cui servirsi di un mezzo nazionalpopolare come potesse essere il calcio si rivelò una scelta geniale e innovativa. Nacque così la Democrazia Corinthiana. Un esperimento sociale unico, probabilmente irripetibile, di gestione appunto democratica dell’iconico club del Corinthians, quello nato nelle periferie operaie di San Paolo e quindi espressione delle classi meno abbienti, del quale Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira, detto Sócrates, divenne il leader ideologico.
Banalizzando un po’ il concetto, significava consentire ai giocatori di avere voce in capitolo in tutti gli aspetti connessi all’organizzazione del club e, al lato pratico, ciò si traduceva nella convocazione dell’assemblea popolare nella quale mettere ai voti ciascuna decisione si fosse resa necessaria. Dalla gestione economica a quella dell’allenamento, passando per la scelta dei nuovi giocatori da acquistare e la ridistribuzione degli incassi-partita. L’obiettivo, al di là delle migliori sorti sportive possibili della compagine e dei suoi calciatori, era quello di dare l’esempio. Di veicolare un messaggio politico globale che la gente comune potesse riconoscere come esportabile dal micro al macro. E se la Democrazia Corinthiana non fu in grado di cambiare, lei da sola, le sorti di un’intera nazione, parafrasando Lula – presidente brasiliano – “contribuì a far arrivare a un grandissimo numero di persone un messaggio di cambiamento in quegli anni difficili di transizione”. Insomma, missione compiuta o quasi. In senso assoluto, la battaglia per istituire l’elezione diretta del Presidente, per la quale Sócrates mise senza riserve anima e volto in rappresentanza di milioni di concittadini scesi speranzosi nelle piazze, non ebbe il risultato sperato, con la Camera brasiliana che non riuscì a esprimere la maggioranza necessaria a un cambiamento che sarebbe stato epocale. Per la democrazia, quindi, c’era ancora da lavorare, oltre che da attendere, ma, se è vero che ogni viaggio comincia sempre con un passo, quello fu un coraggioso impulso a compierlo.
In compenso, andò decisamente meglio al Corinthians che, dopo qualche sbandamento iniziale, sotto la gestione “dei molti” inanellò due campionati vittoriosi in fila, accadimento che in Brasile non si verificava da mezzo secolo. Lo aveva dichiarato e rispettò la parola data: qualora l’emendamento non avesse superato lo scoglio della Camera, lui avrebbe lasciato un Brasile che non lo rappresentava affatto, accettando una delle tante offerte provenienti dall’Europa. Fu proprio quel patto ideologico il presupposto dell’arrivo di Sócrates in Italia, quando ancora il nostro campionato racchiudeva il gotha mondiale della disciplina. Emblematico il suo approdo a Firenze: “Chi è l’italiano che stima di più, Mazzola o Rivera?”, gli chiese un giornalista evidentemente poco informato sull’interlocutore. “Non li conosco – gli rispose quasi stizzito – sono qui per leggere Antonio Gramsci in lingua originale e studiare la storia del movimento operaio”. Perché Sócrates, che il gol lo ha sempre festeggiato sollevando il pugno chiuso, è cresciuto a pane, per la verità nemmeno troppo da bambino, e socialismo. Il nome scelto per lui, invece, lo deve alla passione paterna per i classici della filosofia greca e così, dopo aver letto La Repubblica di Platone, il primogenito di Raimundo Brasileiro Sampaio diviene, appunto, Sócrates. Come il grande discepolo.
Due i suoi veri amori: lo studio, altra eredità familiare, e, ovviamente, il calcio. Tanto che Sócrates trovò il modo di conciliarli, e a chi fosse venuto in mente di domandargli come facesse a sostenere entrambi gli impegni era solito rispondere: “Facile, non mi alleno”. Infatti, ai tempi del Botafogo, quelli che fanno da preludio alle stagioni di stanza a San Paolo, l’allenatore si era rassegnato a vederlo arrivare in maglietta e pantaloncini solo il giorno della partita; una partita vinta spesso e volentieri grazie alle prodezze di Sócrates che, essendo determinante, evitava così le ramanzine della dirigenza indispettita da una serietà atletica – diciamo – così così. Tra un gol e l’altro, diventò medico, per la precisione pediatra, e il traguardo universitario gli valse il soprannome, uno dei tanti, di “Dottore”, che si terrà appiccicato per tutta la vita.
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Fonte: La Fionda
Autore: Matteo Parini
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Articolo tratto interamente da La Fionda
Photo credit Jorge Henrique Singh, CC BY-SA 3.0, da Wikimedia Commons
Penso che mi vedessero...
"Penso che mi vedessero come una cosa come un liberatore, una via d'uscita. Il mio mezzo di espressione, la mia musica, era un modo in cui molte persone desideravano potersi esprimere e non potevano."
Little Richard
Photo credit Robbie Drexhage, CC BY-SA 4.0, da Wikimedia Commons
Non vi sono né felicità né infelicità assolute...
"Non vi sono né felicità né infelicità assolute in questo mondo, vi è soltanto il paragone tra una condizione e l'altra, ecco tutto. Solo colui che ha provato l'estremo dolore è atto a gustare la più grande felicità."
Alexandre Dumas (padre)
In tutti i secoli...
"In tutti i secoli è esistita una lingua in cui le persone colte riuscivano a comunicare. Il cinema è l'esperanto di tutti - e un grande strumento di civiltà. Per capire il suo linguaggio non c'è bisogno di nient'altro che di avere gli occhi aperti."
Fritz Lang
Ho scoperto il canto...
"Ho scoperto il canto guardando un film: Il grande Caruso con Mario Lanza. Quando lo vidi non sapevo nulla di nessuno dei due, avevo 6 anni, al cinema di andavo al pomeriggio, due film al prezzo di uno. Il secondo non lo vidi, Caruso mi infiammò a talmente che, appena uscito, mi misi a cantare."
Il mio lungo cammino non è finito
"Ho camminato sulla lunga strada per la libertà. Ho cercato di non barcollare; ho fatto passi falsi lungo il cammino. Ma ho imparato che solo dopo aver scalato una grande collina, uno scopre che ci sono molte altre colline da scalare. Mi sono preso un momento per ammirare il panorama glorioso che mi circondava, per dare un’occhiata da dove ero venuto. Ma posso riposarmi solo un momento, perché con la libertà arrivano le responsabilità e non voglio indugiare, il mio lungo cammino non è finito."
mercoledì 3 dicembre 2025
Non numeri, ma vite: basta stragi sul lavoro
È una vergogna nazionale: nel 2025, l'Italia conta troppi lavoratori uccisi dal loro stesso lavoro, con dati aggiornati a dicembre che gridano vendetta contro un sistema che ignora i più deboli. In media una vittima ogni 6 ore: il record assoluto negli ultimi 18 anni!
Una strage nella strage: nel 2025, 323 morti sul lavoro su 962 totali avevano più di 60 anni, di cui 159 tra 61-69 e 164 over 70; esattamente una su tre! Colpa di leggi come la Fornero e età pensionabile alle stelle, che costringono anziani fragili a rischi letali aumentati del 15% negli ultimi tre anni, mentre il governo tace. Dove sono le tutele per chi ha dato una vita al lavoro?
📊 I numeri della strage
962 morti sul lavoro nel 2025 (dato aggiornato a dicembre).
323 vittime over 60: 159 tra i 61-69 anni e 164 oltre i 70.
Incremento del 15% negli ultimi tre anni per gli anziani, secondo osservatori indipendenti.
INAIL registra 777 infortuni mortali da gennaio a settembre 2025, pari a circa 2,85 morti al giorno.
L’Italia è terza in Europa per numero di decessi sul lavoro, con una media di 3,3 infortuni mortali ogni 100.000 lavoratori
Le denunce di infortunio infatti continuano ad aumentare, sottolineando la grave emergenza sicurezza senza risposte adeguate da istituzioni e imprese.
Basta ipocrisia: istituzioni e media coprono questa emergenza con silenzi complici, mentre famiglie piangono. Chiedete sicurezza vera, non promesse vuote!
Autore: Spartaco
Immagine generata con intelligenza artificiale
La vita concede a ciascuno di noi rari momenti di pura felicità
"La vita concede a ciascuno di noi rari momenti di pura felicità. A volte, solo pochi giorni o settimane. A volte, anni. Tutto dipende dalla fortuna. Il ricordo di quei momenti non ci abbandona mai e si trasforma in un paese della memoria a cui cerchiamo inutilmente di fare ritorno per il resto della vita."
Carlos Ruiz Zafón
Se ogni tanto ci fermassimo a pensare che in questa vita...
"Se ogni tanto ci fermassimo a pensare che in questa vita ci sono cose più serie a cui dare importanza e che su questa terra siamo solo di passaggio, molti rancori, litigi e sciocchezze varie a cui ci attacchiamo passerebbero in secondo piano. Se tutti riuscissimo a mettere l’orgoglio e l’egoismo da parte riusciremmo sicuramente a cogliere il senso della vita."
Antonia Gravina
Ho sempre amato le persone che lottano per i loro ideali
"Ho sempre amato le persone che lottano per i loro ideali. Coloro che si rialzano sempre ad ogni caduta. Quelle che riescono sempre a sorridere anche se hanno il cuore ferito. Perché in essi si riflette quella luce capace di illuminare il mondo. In essi c'è vita."
Piero Scalisi
Andare più in là dell'orizzonte
"Venite amici, che non è tardi per scoprire un nuovo mondo. Io vi propongo di andare più in là dell'orizzonte, e se anche non abbiamo l'energia, che in giorni lontani mosse la terra e il cielo, siamo ancora gli stessi, unica ed eguale tempra d'eroici cuori, indeboliti forse dal fato, ma con ancora la voglia di combattere, di cercare, di trovare e di non cedere."
Tratto dal film | L'attimo fuggente di Peter Weir
Comunicazione di servizio
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Germania: gli studenti intendono scioperare contro la coscrizione in oltre 90 città
Articolo da Perspektive
Questo articolo è stato tradotto automaticamente. La traduzione rende il senso dell’articolo, tuttavia consigliamo di leggere il testo originale su Perspektive
Il governo ha bisogno di giovani che prestino servizio nell'esercito per i suoi piani di riarmo. Migliaia di giovani saranno arruolati a questo scopo. Tuttavia, molti giovani si rifiutano di accettarlo e il 5 dicembre sciopereranno dalle scuole in tutto il paese.Già nel 2023, il Ministro della Difesa Boris Pistorius (SPD) aveva parlato apertamente della necessità di essere "pronti alla guerra". Nel tempo, ha elaborato questa idea, dichiarando nell'estate del 2024: "Dobbiamo essere pronti alla guerra entro il 2029". Entro quella data, la Germania dovrà essere riarmata per poter entrare in guerra contro la Russia.
Questo riarmo si compone essenzialmente di due componenti. In primo luogo, le forze armate tedesche necessitano di equipaggiamento militare. Il governo si è posto l'obiettivo di aumentare il bilancio della difesa a 190 miliardi di euro entro il 2029. In secondo luogo, secondo questa logica, le forze armate hanno bisogno anche di giovani per gestire questo equipaggiamento militare. Tuttavia, c'è un problema per chi è a favore del riarmo: attualmente si stanno presentando molti meno volontari di quanto previsto dal governo.
Per questo motivo, già prima dell'introduzione della coscrizione obbligatoria, quest'anno le Forze armate tedesche (Bundeswehr) hanno fatto tutto il possibile per reclutare i giovani, utilizzando campagne pubblicitarie su larga scala negli spazi pubblici, nonché il "Veterans Day" e il "Bundeswehr Day". Ora il governo sta adottando le misure definitive per rendere effettiva la legge.
Arriva la coscrizione obbligatoria: come sarà?La bozza di legge sul servizio militare dovrebbe essere sottoposta a discussione finale e votata dal Bundestag il 5 dicembre. Il Bundesrat si riunirà per l'ultima volta quest'anno il 19 dicembre, dove si prevede che la legge venga approvata. L'entrata in vigore della legge è prevista per il 1° gennaio 2026.
Nello specifico, questa bozza di legge sulla coscrizione prevede che tutti i giovani nati nel 2008 o successivamente saranno tenuti a compilare un questionario l'anno prossimo e a sottoporsi a una visita medica in estate. La mancata presentazione al servizio militare o la mancata compilazione corretta del questionario saranno considerate un illecito amministrativo e comporteranno una multa.
Inizialmente, il servizio militare sarà volontario. Tuttavia, se il numero di volontari non dovesse soddisfare le esigenze della Bundeswehr (Forze Armate tedesche), il Parlamento dovrà rivedere la legge sulla coscrizione. In tal caso, il Bundestag potrebbe riconsiderare l'impopolare sistema della lotteria.
Sciopero scolastico contro la coscrizione obbligatoria
Da mesi si susseguono proteste e manifestazioni creative contro la legge sulla coscrizione e il riarmo delle forze armate tedesche. Ora, l'alleanza "Sciopero scolastico contro la coscrizione" ha indetto uno sciopero scolastico nazionale per il 5 dicembre, durante il quale gli studenti manifesteranno contro la coscrizione.
Attualmente, ci sono già oltre 90 comitati di sciopero in tutta la Germania. Città come Kiel, Potsdam, Gottinga, Kassel e Monaco di Baviera vi aderiscono. Ma già prima dello sciopero, gli studenti non si stanno solo preparando per il 5 dicembre, ma stanno anche organizzando manifestazioni e raduni contro la coscrizione obbligatoria.
Hannes Kramer, portavoce del comitato di pianificazione per lo sciopero scolastico di Gottinga, ha dichiarato in un'intervista al quotidiano Junge Welt: "Secondo il testo di legge, il servizio militare rimane volontario solo finché si trovano abbastanza volontari. Altrimenti, lo Stato può anche imporre il servizio nelle forze armate. Non è possibile che le decisioni sul futuro dei giovani vengano prese al di sopra delle loro teste".
Per far sentire la voce dei giovani, hanno deliberatamente scelto la scuola come campo di battaglia. A partire da Fridays for Future, è noto che gli scioperi scolastici generano attenzione.
L'organizzazione giovanile socialista International Youth, che partecipa anch'essa agli scioperi in numerose città, spiega nel suo appello perché le scuole siano al centro delle proteste. Sostengono che le scuole siano il luogo in cui si trovano "tutti i giovani che dovrebbero essere i primi ad essere arruolati". In un'intervista a Perspektive Online, sottolineano inoltre che la coscrizione obbligatoria deve essere considerata nel contesto dei preparativi bellici internazionali.
"Questa legge sul servizio militare e la coscrizione obbligatoria non sono nate dal nulla. Non sono semplicemente un capriccio dei politici, ma da anni è diventato sempre più chiaro: la Germania vuole essere pronta alla guerra. La coscrizione obbligatoria è solo una piccola parte di un riarmo nazionale, ma anche internazionale."
Agisci nella tua scuola
Il sito web dedicato allo sciopero scolastico contro la coscrizione offre una chiara checklist per aiutare gli studenti a organizzare uno sciopero nella propria scuola. Oltre alle informazioni, fornisce anche progetti per volantini, poster e adesivi.
Le attività di mobilitazione per il 5 dicembre sono attualmente in pieno svolgimento. Tuttavia, l'iniziativa ha già annunciato in un comunicato stampa che le proteste non termineranno con la decisione del Bundestag. Il gruppo internazionale dei giovani chiarisce inoltre: "Dopo lo sciopero, arriva l'organizzazione". E: "In ogni scuola ci sono molti compagni di scuola a cui possiamo rivolgerci anche dopo lo sciopero e con cui possiamo mobilitarci contro la guerra e la coscrizione obbligatoria".
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Fonte: Perspektive
Autore: Perspektive Online
Nuovo partito giovanile e stop all’AfD: svolta politica in Germania?
Articolo da Berlino Magazine
Nuova gioventù AfD Generation Deutschland riaccende le richieste di un procedimento di divieto del partito in Germania tra SPD Verdi
In Germania si discute di nuovo se vietare il partito di estrema destra Alternative für Deutschland (AfD). La scintilla è la fondazione della nuova gioventù del partito, Generation Deutschland, avvenuta a fine novembre a Gießen. Diversi esponenti di SPD e Verdi sostengono che la linea di questa gioventù sia così radicale da rafforzare la richiesta di un procedimento di divieto del partito davanti alla Corte costituzionale. Per loro, la nuova struttura conferma che l’AfD rappresenta un pericolo crescente per la democrazia tedesca.
La nuova Generation Deutschland e il passato della Junge Alternative
La Generation Deutschland sostituisce la precedente gioventù AfD, la Junge Alternative, sciolta dopo essere stata classificata dai servizi di sicurezza come organizzazione di estrema destra. Nella nuova struttura possono entrare solo iscritti all’AfD, quindi mozioni e campagne dei giovani sono direttamente legate al partito madre. Presidente è il deputato del Brandeburgo Jean-Pascal Hohm, descritto dalle autorità come esponente dell’estremismo di destra. Una decisione del tribunale amministrativo di Colonia ha inoltre confermato che la Junge Alternative può essere trattata come “iniziativa estremista accertata” dai servizi di sicurezza, come indicato nella relativa comunicazione ufficiale del tribunale.
Accuse di estremismo e nuove richieste di AfD-Verbotsverfahren
Il capo dell’intelligence interna della Turingia, Stephan Kramer, non vede nella nuova gioventù alcuna moderazione rispetto alla vecchia Junge Alternative e parla di nazionalismo etnico e richiami simbolici alla gioventù hitleriana. Per il co-presidente dei Verdi Felix Banaszak, Generation Deutschland è un vero “serbatoio di estremisti di destra” e un caso per le autorità di sicurezza. La deputata verde Irene Mihalic e la socialdemocratica Carmen Wegge sostengono che il carattere apertamente estremista della gioventù renda ancora più urgente esaminare un AfD-Verbotsverfahren, cioè un procedimento per vietare il partito. Secondo Wegge, il fatto che si tratti di una vera “parte giovanile” rende le sue posizioni direttamente attribuibili all’AfD nel suo insieme.
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Autore: Francesco Nocco
Licenza:

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Articolo tratto interamente da Berlino Magazine
3 dicembre 1984 - Disastro di Bhopal: una perdita di metilisocianato da una fabbrica di fitofarmaci della Union Carbide a Bhopal (Madhya Pradesh, India), uccide più di 3.800 persone e causa danni ad altre persone, stimate tra le 150.000 e le 600.000
Articolo da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il disastro di Bhopal è stato un incidente industriale avvenuto il 3 dicembre 1984 in uno stabilimento chimico di proprietà della multinazionale Union Carbide, situato nella città di Bhopal, nello stato indiano del Madhya Pradesh. L'evento comportò la fuoriuscita nell'atmosfera di circa 40 tonnellate di vapori di isocianato di metile (MIC), un composto estremamente tossico che causa danni irreversibili agli organismi. Si formò una nube che si diffuse sui quartieri della città in un raggio di alcuni chilometri, prevalentemente a sud dello stabilimento. Oltre duemila persone morirono la notte stessa del disastro, mentre tentavano la fuga per le strade oppure poco dopo il trasporto in ospedale. Si stima che le vittime decedute per gli effetti dell'avvelenamento nel corso dei mesi e degli anni successivi siano nell'ordine delle decine di migliaia. L'impianto era specializzato nella produzione di insetticidi e apparteneva alla Union Carbide India Limited (UCIL), consociata della multinazionale statunitense Union Carbide specializzata nella produzione di fitofarmaci[3].
Il rilascio di isocianato di metile avvenne poco dopo la mezzanotte fra il 2 e il 3 dicembre 1984, nell'impianto deputato alla produzione dell'insetticida Sevin. La nube ricadde sulla città uccidendo in poco tempo 2 259 persone, e ne avvelenò altre decine di migliaia. Il governo del Madhya Pradesh ha confermato un totale di 3 787 morti direttamente correlate all'evento[4], ma successive stime di agenzie governative indicano 15-20 000 vittime[2], rendendolo il più grave incidente da fuga di sostanze chimiche mai avvenuto.
Un affidavit governativo del 2006 ha concluso che l'incidente ha causato danni medicalmente rilevabili a 558 125 persone, delle quali circa 3 900 risultano permanentemente invalidate in modo grave[5]. Viene comunque attribuita al governo la volontà di estendere a quante più persone possibili, anche minimamente coinvolte, gli aiuti previsti dagli accordi del 1989, al prezzo di trascurare in qualche misura le invalidità di grado maggiore[5]. Sempre nel 2006 è stato rilevato che nelle zone interessate dalla fuoriuscita del gas il tasso di morbilità per varie patologie sarebbe 2,4 volte più elevato rispetto alle aree adiacenti.[5] Si ritiene inoltre che alcuni prodotti chimici rimasti nell'impianto, successivamente abbandonato, in mancanza di misure di bonifica e contenimento abbiano continuato a inquinare l'area circostante[6].
Sono stati istruiti diversi procedimenti penali e civili sia presso tribunali americani che indiani. Essi coinvolgono l'UCIL, lavoratori ed ex-lavoratori, la multinazionale madre Union Carbide e il suo amministratore delegato dell'epoca, Warren Anderson (deceduto nel 2014), sul quale dal luglio 2009 pendeva un mandato di arresto emesso dalla giustizia indiana.[6] Nel giugno 2010 un tribunale di Bhopal ha emesso una sentenza di colpevolezza per omicidio colposo per grave negligenza nei confronti di otto ex-dirigenti indiani della UCIL (di cui uno già deceduto) tra i quali il presidente all'epoca dei fatti Keshub Mahindra[7][8][9].
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Photo credit Bhopal Medical Appeal, Martin Stott, CC BY-SA 2.0, da Wikimedia Commons
Acqua alpina di Antonia Pozzi
Acqua alpina
Gioia di cantare come te, torrente;
gioia di ridere
sentendo nella bocca i denti
bianchi come il tuo greto;
gioia d’essere nata
soltanto in un mattino di sole
tra le viole
di un pascolo;
d’aver scordato la notte
ed il morso dei ghiacci.
Antonia Pozzi
Oggi è la Giornata internazionale delle persone con disabilità
Oggi è la Giornata internazionale delle persone con disabilità
Il 3 dicembre di ogni anno celebriamo la Giornata internazionale delle persone con disabilità, una data istituita dall'ONU nel 1992 per promuovere i diritti e la piena inclusione di tutte le persone, indipendentemente dalle loro capacità.
Questa giornata è un'opportunità per riflettere sull'importanza di creare una società più equa e accessibile, dove ogni individuo possa partecipare attivamente alla vita sociale, economica e culturale. La disabilità non è una limitazione, ma una diversità da valorizzare e rispettare.
Io non mi considero un grande cantante
"Io non mi considero un grande cantante, ma riesco ad avere un rapporto con il pubblico. C'è l'artista, poi il vuoto e dopo il pubblico; ma a me piace essere parte del pubblico. Mi piace essere al posto loro e mi piace che loro siano al posto mio, per un'ora e mezza."
Ozzy Osbourne
Photo credit The wizard95, CC BY-SA 3.0, da Wikimedia CommonsSolo nell’immaginazione...
"Solo nell’immaginazione degli uomini ogni verità trova un’effettiva e innegabile esistenza. L’immaginazione, non l’invenzione, è la maestra suprema dell’arte, come della vita."
Joseph Conrad
Ho visto la sera rossa attraverso la pioggia di Robert Louis Stevenson
Ho visto la sera rossa attraverso la pioggia
Ho visto la sera rossa attraverso la pioggia,
più in basso sulla pianura fumante;
ho sentito l'ora battere piccola e silenziosa,
dal campanile nero sulla collina.
Stasera il pensiero è scacciato fuori dalla porta
dall'amaro ricordo della gioia;
brusca pressione della punta delle dita
o dal tocco tremante delle labbra.
Ho sentito l'ora battere piccola e immobile,
Dal campanile nero sulla collina.
Dietro di me potevo ancora guardare giù
Sulla città mostruosa distesa.
La stretta brusca della punta delle dita,
o il tocco tremante delle labbra,
e tutti i vecchi ricordi di gioia
si affollano nella mia anima stasera.
Dietro di me potevo ancora guardare giù,
La città distesa e febbricitante;
Ma davanti a me, immobile e grigia,
E solitaria era la strada da percorrere.
Robert Louis Stevenson
martedì 2 dicembre 2025
La speranza che passa dal vetro
L'autore di questo racconto vuole rimanere anonimo, ha scritto questo breve racconto solo per sensibilizzare le persone e accendere un po' di speranza. Questo è il continuo del primo racconto, che trovate a questo link.
La speranza che passa dal vetro
La neve cadeva lenta, come se volesse coprire ogni ferita del mondo. Era la vigilia di Natale, e Noura guardava dalla sua finestra. Non era più quella rotta di Gaza, ma una piccola finestra di una casa rifugio in Italia. Portava con sé un quaderno pieno di fiori disegnati, lo stesso che aveva iniziato quando il vetro della sua vecchia casa si era rotto.
La stanza era calda, illuminata da un albero decorato con luci colorate. I bambini ridevano, correvano, si scambiavano caramelle. Noura rimaneva in silenzio, ma sorrideva. Sul vetro appannato della finestra tracciò un fiore rosso. Poi uno bianco. Poi uno verde. I colori che suo padre le aveva insegnato a non dimenticare. “I colori non muoiono” ripeté piano, come una preghiera.
Una volontaria la vide e si avvicinò. “Che fiore è?” chiese. “È un fiore di Natale,” rispose Noura. “Così la finestra diventa un giardino.”
La donna rimase colpita dalla semplicità di quelle parole. Prese un pennarello e aggiunse una stella gialla accanto al fiore. Poco dopo, altri bambini si unirono. Ognuno disegnava qualcosa: un cuore, una candela, un ramo di ulivo. La finestra si riempì di segni, di speranza, di piccole mani che volevano lasciare un segno.
Fuori, la neve continuava a cadere. Dentro, la finestra di Noura diventava un mosaico di colori. Non era più solo un vetro: era un ponte tra il dolore e la festa, tra il passato e il presente.
Quando arrivò la mezzanotte, tutti si radunarono intorno all’albero. Qualcuno cantò una canzone, altri si abbracciarono. Noura rimase vicina alla finestra. Guardava i disegni e pensava che, forse, il Natale era proprio questo: trasformare il buio in luce, anche solo con un fiore.
E quella notte, la finestra di Noura tornò a fiorire. Non con i fiori veri, ma con i colori e i sorrisi di chi aveva scelto di credere ancora nella vita.
L'autore di questo post, si è riservato il diritto di restare in anonimato, quindi non verrà rivelata l'identità e la fonte.
Immagine generata con intelligenza artificiale
Il nostro mondo è una barca che fa acqua da tutte le parti...
"Il nostro mondo è una barca che fa acqua da tutte le parti, tanto è carica di oggetti di consumo, di cianfrusaglie inutili, di status symbol idioti e benché chi ci vive dentro si accorga che il naufragio è vicino, non si muove, non fa niente per gettare a mare l’inutile e il superfluo, perché ormai quelle paccottiglie le considera necessarie."
Fabrizio De André
Io credo che le fiabe
"Io credo che le fiabe, quelle vecchie e quelle nuove, possano contribuire ad educare la mente. La fiaba è il luogo di tutte le ipotesi: essa ci può dare le chiavi per entrare nella realtà per strade nuove, può aiutare il bambino a conoscere il mondo."
Gianni Rodari
Siamo esseri intrecciati di racconti
"Siamo esseri intrecciati di racconti, ricamati con fili di voci, di storia, di filosofia e di scienza, di leggi e leggende. Per questo la lettura continuerà a prendersi cura di noi se ci prendiamo cura di lei. Non può sparire ciò che ci salva. I libri ci ricordano, sereni e sempre pronti a schierarsi davanti ai nostri occhi, che la salute delle parole radica nelle case editrici, nelle librerie, nei cerchi di letture condivise, nelle biblioteche, nelle scuole. È lì che immaginiamo il futuro che ci unisce."
Mi hanno sempre attratto...
"Mi hanno sempre attratto persone capaci di andare controcorrente, anche a costo dell'isolamento, della solitudine. Persone capaci di raccontare storie, di mostrare visioni altre. E inevitabilmente hanno acceso la mia curiosità, perché, come diceva il mio amico Eduardo Galeano, capace di raccontare la storia dell'America Latina attraverso racconti ironici e apparentemente non importanti, fatti di cronaca, 'il cammino si fa andando', non sai mai dove queste storie ti possano portare. È il bello della vita, tutto sommato."
Gianni Minà
Confini come ferite, ponti come speranza
Articolo da Progetto Melting Pot Europa
Confine: «limite di una regione geografica o di uno stato; zona di transizione in cui scompaiono le caratteristiche individuanti di una regione e cominciano quelle differenzianti» 1.
Se provassimo a chiudere gli occhi e a concentrarci sul suono della parola confine immagineremmo immediatamente una linea che potrebbe essere dritta o curva, tondeggiante o spigolosa. Quel che è certo di una linea è che separa, crea due zone distinte, almeno all’apparenza. Al di là di essa c’è qualcosa che percepiamo come altro da noi.
Sempre rimanendo a occhi chiusi, pensando al termine confine, si possono visualizzare barriere, muri, barricate e fili spinati. Sono immagini che veicolano un suono: un tonfo sordo, violento. Un muro blocca, frammenta e divide. Tuttavia, provando a spingersi oltre si può scorgere un’altra linea di confine, questa volta curva: è un ponte. Il suono che si può avvertire è quello dei passi degli individui che lo attraversano.
Il presente articolo ha l’obiettivo di analizzare come le riflessioni del femminismo black e decoloniale contribuiscono ad arricchire il dibattito sul concetto di confine: sociale, interno e geografico, esterno.
Per farlo si utilizzeranno tre prospettive: quella dell’antropologia delle migrazioni, funzionale a mostrare la polisemicità del termine confine e il dibattito che lo riguarda; le teorie dell’antropologo Didier Fassin, secondo cui all’amministrazione dei confini esterni corrisponde un aumento dei confini sociali interni tra classi, gruppi sociali e generi, evidenziando l’ambivalenza dei confini; ci si soffermerà poi sulla prospettiva delle autrici femmministe bell hooks, Audre Lorde e Gloria Anzaldúa.
A livello teorico la tematica del confine è molto ampia e questa sua complessità è visibile anche a livello semantico, specie se ci si affida alla lingua inglese.
Con il termine border, confine esterno, possiamo indicare la linea di divisione politico-territoriale tra due stati nazionali. L’utilizzo del termine boundary si riferisce invece ai limiti simbolici, etnici, culturali e sociali, ovvero i confini interni agli stati nazione. Il termine frontier rimanda a uno spazio più ampio: la fascia geografica che è attraversata dalla linea di confine tra due stati.
L’antropologia delle migrazioni adotta questa distinzione, in particolare quella generale tra confine e frontiera, per mostrare come questi spazi possono essere luoghi particolarmente dinamici, nonostante nel senso comune rimandino all’idea di una separazione netta tra due aree o categorie.
Le migrazioni si definiscono come fenomeni che travalicano i confini nazionali, mettendoli in discussione, sebbene vengano determinate dalle stesse divisioni geografiche. I movimenti migratori contribuiscono non solo a oltrepassare i confini, ma a stabilirne di nuovi. I fenomeni legati ai confini danno vita a processi dinamici che contribuiscono alla produzione di identità individuali e collettive.
A questo proposito l’antropologia delle migrazioni distingue due processi differenti: quello di b/ordering definisce il confine come elemento che limita le ambiguità territoriali e identitarie; quello di othering indica invece la nascita di nuove differenze sulle zone di frontiera, sia a livello territoriale che identitario. Nelle zone di confine i concetti di identità e alterità spesso si scontrano.
Storicamente la frammentazione del blocco dell’Est e l’avvento della globalizzazione non ha portato a un universo senza confini, ma li ha trasformati. I confini non sono scomparsi, ma sono diventati mobili, molteplici e differenziali. Questo fenomeno entra in contrapposizione con la definizione giuridica tradizionale dei confini e anche con la loro rappresentazione cartografica canonica che li descrive come ai margini di un territorio.
Le frontiere si sono moltiplicate e si è accentuato il loro carattere ambivalente: sono un mezzo di esclusione e al contempo di contatto, di incontro, di scambio, di violenza e di solidarietà.
L’evoluzione dei confini è ben rappresentata dal processo di esternalizzazione delle frontiere che caratterizza l’Europa contemporanea. I confini vengono continuamente dislocati, posti all’esterno dello spazio europeo, espandendo i margini della “fortezza Europa”, sempre più inarrivabile.
Le stesse politiche migratorie producono una stratificazione delle frontiere, mostrandone il loro carattere poroso e ambiguo. Per tanto, non possono essere concepite solo in termini di esclusione. La contemporanea militarizzazione dei confini esterni si riflette come uno specchio all’interno dei territori: il confine genera un sistema di inclusione differenziale in cui, per mezzo delle politiche, viene indirettamente prodotta l’illegalità delle soggettività migranti.
Le politiche di frontiera e migratorie finiscono per condurre a una reificazione delle divisioni razziali e di classe. Secondo l’antropologo Didier Fassin il significato delle frontiere e dei confini è mutato nel corso del tempo, rendendo alcuni periodi storici più favorevoli allo sviluppo di barriere tra territori e individui. Si tratta di momenti di tensione sociale, economica e politica.
La sensibilità verso le migrazioni, l’ostilità verso gli stranieri, il consolidamento tra le frontiere e la delimitazione dei confini sono dunque fenomeni ciclici. Se la circolazione delle merci è stata progressivamente facilitata attraverso accordi internazionali per i commerci, la circolazione di persone è diventata invece incredibilmente difficile per la maggior parte della popolazione del pianeta.
Questo meccanismo si muove dai borders ai boundaries come un movimento violento che inasprisce le divisioni di genere, etnia e classe inasprendo le discriminazioni. In questa cornice il confine produce la precarietà del migrante: lo stato crea immigrati clandestini, attraverso la formulazione di leggi che istituzionalizzano l’illegalità di residenza.
Ne consegue l’ostruzione dell’accesso al mondo del lavoro, che comporta una vita in condizioni di povertà e l’esclusione dalle politiche di welfare. Non casualmente il tema della migrazione viene direttamente affiancato a quello della sicurezza. Il nemico arriva da fuori, è l’outsider, colui che vìola il confine.
Si tratta, tuttavia, di logiche di esclusione e distinzione che mirano a rimarcare la differenza tra autoctoni e alloctoni, ignorando il peso della storia coloniale che ha prodotto una distribuzione disomogenea delle ricchezze a livello globale.
Anche la riflessione femminista mostra come i confini siano elementi che definiscono identità, generando relazioni di potere. In particolare, il concetto di intersezionalità può costituire un paradigma per pensare in concetto di confine.
Il concetto di intersezionalità viene formalizzato nel 1989 dalla giurista afroamericana Kimberlé Crenshaw per correggere alcune alcune sentenze emesse dal sistema americano. Il suo intento è quello di mostrare come la discriminazione delle donne nere avviene tanto per una questione razziale, quanto per il sessismo.
Non c’è possibilità di stabilire un confine tra questi due assi di oppressione. In generale, le teoriche dell’intersezionalità pongono l’attenzione sul dinamismo dei sistemi di oppressione: essi non sono monoliti, non si producono separatamente l’uno dall’altro, ma si compenetrano e trasformano vicendevolmente.
Se venissero considerati separatamente, si creerebbe l’erronea concezione, storicamente esistita, secondo cui il sessismo può essere analizzato solo dal punto di vista della donna bianca e il razzismo solo dal punto di vista dell’uomo nero.
Questo concetto contribuisce a dare valore alla prospettiva del soggetto maggiormente oppresso per comprendere il tema della discriminazione. Il concetto di intersezionalità è fondamentale perché travalica i confini, includendo nella riflessione femminista donne non assimilabili al modello della donna bianca e di classe media.
Le donne nere lottano sui confini rivendicando la propria posizione, in un contesto che nega la loro capacità di azione e visibilità.
Il tema del condine come elemento che definisce e ridefinisce le identità fa da sfondo agli scritti della teorica e accademica bell hooks (1952-2021). Nasce e cresce nel Kentucky, dove i quartieri abitati dai bianchi erano separati da quelli abitati dai neri tramite una rigida linea di confine, quella della ferrovia. Dai suoi scritti emerge come essere donna in un periodo storico in cui lo spazio era sottoposto a segregazione razziale contribuisce una posizione peculiare, che influisce sulle modalità di abitare e attraversare i luoghi.
Le donne nere superavano quotidianamente il confine per andare a lavorare nelle case dei bianchi.
Superare il confine è un’azione caratterizzata da forti implicazioni emotive, i neri si sentivano giudicati e fuori posto. Tuttavia, lo spostamento dal margine, identificato come luogo di abitazione dei neri, verso il centro occupato dai bianchi ha anche dei vantaggi: permette la conoscenza di entrambe le realtà e cambia il modo di abitare lo spazio, in particolare quello del “focolare domestico”.
Nelle comunità nere, le mansioni di cura svolte dalle donne diventano un campo di battaglia, uno spazio di lotta politica. Le donne nere entravano nelle case dei bianchi per svolgere il lavoro di domestiche, si trattava di una mansione faticosa, che consumava tempo ed energia.
Tuttavia, il punto di forza delle donne nere stava proprio nello sforzo di non esaurire tutte se stesse in quel lavoro, per riuscire a dedicarsi anche all’accudimento della propria casa, famiglia e comunità. C’è una netta differenza tra il sessismo che affida alle donne il lavoro riproduttivo perché considerato “naturale” e la condizione delle donne nere.
Per queste ultime la gestione della casa diventa un atto politico, la strutturazione di uno spazio di cura opposto alla dimensione disumanizzante e opprimente del razzismo. La casa era uno spazio sicuro creato dalle donne per poter resiste ed esistere come soggetti attivi, non meri oggetti. Nella sfera privata avveniva la restituzione di quella dignità negata nel pubblico.
Anche se il concetto di “angelo del focolare” è considerato tradizionalmente sessista dal femminismo bianco, le donne nere attraverso questo ruolo hanno compiuto un atto politico sovversivo e di resistenza. I bianchi avevano, secondo hooks, trovato un modo efficace per sottomettere i neri a livello globale, costruendo strutture sociali che minavano la strutturazione della sfera domestica.
Per alimentare la fiamma della speranza e per opporsi alla mentalità colonizzatrice, promotrice dell’odio verso se stessi, le donne nere hanno rivendicato il proprio ruolo nelle abitazioni. Ricordare questo permette di capire il valore politico della resistenza nelle case. Senza uno spazio da abitare, è impossibile costruire una comunità di resistenza.
Questa concezione della casa come luogo di rivendicazione politica e comunitaria agisce in due modi: da una parte crea un confine nuovo, frantumando l’immaginario per cui le donne vivono un comune destino, riportando l’attenzione sulla specificità del posizionamento della donna nera; dall’altra ci si riappropria del confine come spazio di autodeterminazione: il margine diventa un luogo di lotta.
Le opere della scrittrice Audre Lorde (1934-1992) hanno contribuito ad ampliare profondamente la riflessione femminista, sollevando argomenti attuali, in cui le tematiche dei confini e della differenza risultano essere un punto centrale.
Rivolgendo l’attenzione alle molteplici differenze di genere, razza, sesso, classe sociale, salute e malattia che coinvolgono le donne, Lorde ha preceduto di decenni le teorie sull’intersezionalità. Nei suoi scritti, il tema del confine, come anche nei lavori di hooks è rappresentato dalle divisioni sociali interne, i boundaries.
In particolare, nel testo Sorella Outsider, che raccoglie una serie di saggi scritti tra il 1976 e il 1984, Lorde si rivolge a chi è consapevole di vivere sui confini: le outsiders, donne che non riconoscendosi negli “strumenti del padrone” non si identificano nei confini tracciati per asservire gli interessi del potere. Il testo è caratterizzato da una fitta critica nei confronti di quel femminismo bianco e accademico che promuove una semplice tolleranza della differenza tra le donne, cercando di raggrupparle in una natura comune, distruggendo di fatto il potere creativo della diversità.
Secondo Lorde, infatti, soltanto quando le differenze saranno riconosciute e considerate il nostro essere nel mondo potrà diventare produttivo. Alle donne è stato insegnato di ignorare le differenze o, peggio, di vederle come causa di separazione e sospetto.
La paura di una realtà così frammentata non ha permesso una liberazione dall’oppressione, ma solo maggiore vulnerabilità.Secondo Lorde, in una società basata esclusivamente sul profitto e non sul bisogno umano, è fondamentale l’esistenza di un gruppo sistematicamente oppresso e deumanizzato ai fini del mantenimento dei rapporti di potere.
Questo crea l’illusione che l’unica via d’uscita per gli oppressi sia quella di omologarsi alle categorie degli oppressori. Per Lorde le differenze esistono, sono la razza, l’età, il sesso e la classe ma non sono quelle a separarci, è il nostro rifiuto a riconoscerle. L’energia necessaria a vivere e a esplorare le differenze viene riversata nel renderle dei confini invalicabili, così da trasformarle in devianze.
Tuttavia, la differenza umana deve diventare un trampolino per il cambiamento, il muro che segna il confine deve diventare un ponte. Lorde fa esplicito riferimento a The Pedagogy of the Oppressed di Paulo Freire per mostrare come le possibilità di cambiamento nascono nel momento in cui gli oppressi riconoscono, anche in loro stessi, le dinamiche degli oppressori.
Da qui è necessario un cambiamento, una crescita dolorosa: possiamo ridefinirci solo se lottiamo anche a fianco di chi è diverso da noi, nella condivisione di un unico obiettivo. L’azione a cui Lorde mira è legata a una continua rottura dei confini e delle differenze, per arrivare a ridefinirsi connettendo le specificità.
Non bisogna chiudersi nei confini di una sola oppressione, ma riconoscere ciò che è comune in tutte loro. Così facendo Lorde riscrive il significato del termine confine da linea di separazione a processo dinamico in cui le differenze racchiudono un potenziale di unione.
Le differenze risultano profondamente legate al tema dei confini, tuttavia è necessario un lavorìo politico affinché diventino ponti e non barriere. Nella sua ambivalenza, il confine non è solo il punto in cui le differenze si manifestano, ma anche quello attraverso cui queste entrano in contatto, creando comunicazione e scambio.
In questa cornice, le teorie femministe sono fondamentali per riconoscere il confine come luogo di oppressione e di lotta. Questo elemento emerge in modo particolare nel testo Terra di confine/La frontera. La nuova mestiza del 1987 di Gloria Anzaldúa (1942-2004), in cui l’autrice parla della frontiera in cui è nata e cresciuta: il confine tra Texas sudoccidentale e Messico.
Secondo Anzaldúa la terra di confine è un luogo in cui due o più culture si costeggiano e persone appartenenti a gruppi sociali diversi abitano lo stesso territorio. Raccontando la sua esperienza personale di vita sul confine si definisce una “donna di frontiera” che è nata e cresciuta tra due culture. Il confine non viene raccontato come un luogo confortevole, è un luogo scomodo e gli aspetti del suo paesaggio sono principalmente sfruttamento, oppressione e rabbia.
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Fonte: Progetto Melting Pot Europa
Autore: Elettra Maria Nicoletti
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Articolo tratto interamente da Progetto Melting Pot Europa

















