Articolo da Clash City Workers
Cosa sia e a cosa serva il Jobs Act lo abbiamo detto e ridetto: è
la misura che più caratterizza e più è stata voluta dal Governo Renzi,
attraverso cui vengono ridefiniti i rapporti tra padroni e lavoratori
italiani, sancendo la totale subordinazione dei primi ai secondi.
Gli ultimi decreti attuativi della legge delega di
Dicembre, di cui tanto si sta parlando in questi giorni, lo dimostrano
definitivamente: dopo essere intervenuto nella fase di accensione del
rapporto di lavoro attraverso il decreto del 2014, aumentando la “flessibilità in entrata”, cioè la possibilità per i padroni di assumere come meglio credono; dopo aver aumentato quella “in uscita”, intervento nella fase di chiusura del rapporto di lavoro eliminando l'articolo 18 e
rendendo possibile il licenziamento senza giusta causa a Marzo di
quest'anno; ora questi ultimi decreti attuativi intervengono nel
rapporto di lavoro stesso nell'ambito della cosiddetta “flessibilità
funzionale”, rendendo possibile il demansionamento e il controllo a
distanza del lavoratore. In questo quadro essere flessibili significa quindi essere alla totale mercé del padrone
e a poco servono le rassicurazioni del Governo e della stampa allineata
sul rispetto della privacy del lavoratore o sul fatto che in vari casi
dovrà essere chiesto previamente il consenso al lavoratore stesso: come
ha spiegato bene l'avvocato del lavoro Giovanni De Francesco ai microfoni di Corrispondenze Operaie, a fronte di sempre meno tutele e sempre più grandi ricatti queste formalità sono solo chiacchiere.Abbiamo provato a riassumere questo pericoloso quadro in un video,
proprio perché possa crescere la consapevolezza e l'opposizione a
questa misura tanto voluta da Renzi, motivo per cui siamo anche andati
in giro per l'Italia a spiegarla e raccontarla. Ci sembra che comunque
sempre più lavoratori si rendano conto di quali interessi difenda
realmente il Governo, come dimostra il recente crollo della sua popolarità!
Sappiamo però che questa ed altre leggi analoghe vengono da
lontano, dalla crisi globale del capitalismo, da istituti internazionali
come l'OCSE e la BCE e soprattutto dal modo in cui i lavoratori sono
stati messi in concorrenza tra loro a livello mondiale negli ultimi
trent'anni. Per questo abbiamo pensato fosse importante spiegare quanto sta succedendo in Italia anche al pubblico straniero, scrivendo un'analisi in inglese che prova ad allargare la sguardo ed inserire l'operato del Governo in una prospettiva più ampia.
Proprio per questo, ripubblichiamo sotto la versione
italiana del testo, nella speranza che possa essere utile a maturare gli
strumenti necessari a rispondere a quest'ennesimo attacco.
JOBS ACT: LA FINE DEL DIRITTO DEL LAVORO IN ITALIA Con il
Jobs Act, approvato in due parti a Maggio e a Dicembre 2014, il
governo Renzi ha realizzato la più importante
riforma del mercato del lavoro
degli ultimi anni in Italia. Con questo provvedimento il Governo
sostiene di voler superare l’ “Apartheid” tra lavoratori precari e
garantiti, come ha detto il Premier nel suo discorso alla Camera a
Dicembre. In realtà la riforma porta avanti e accelera il
processo di flessibilizzazione del lavoro cominciato quasi un ventennio fa, estendendo e
generalizzando la condizione di precarietà che sostiene di voler superare.
Si cancellano di diritti dei lavoratori conquistati con decenni di
lotte, attraverso un duro attacco a tutto il proletariato che vive in
Italia.
In questo modo si recepiscono le
politiche sociali ed economiche richieste dalla BCE che con la
crisi dell’Eurozona
è stata costretta ad interventi di politica monetaria molto espansivi
per stabilizzare i mercati e assicurare i debiti sovrani dal rischio
default, chiedendo in cambio ai governi misure estremamente restrittive
per quanto riguarda Welfare e diritti sociali. In Italia, è stata
proprio la lettera inviata dalla Bce al governo Berlusconi il 5 agosto
2011 ad aver accelerato una crisi istituzionale che poi portò
all’instaurarsi del governo ‘tecnico’ di Monti, a cui sono state
appaltate misure durissime, quali
l’anticipo del raggiungimento del
pareggio di bilancio al 2013, il taglio della spesa pubblica, la riforma
delle pensioni e, soprattutto, del mercato del lavoro.
Ma sia
il governo Monti, che quello Letta ad esso successivo, sono solo in
parte le richieste del grande capitale europeo. Con il recente Governo
Renzi
i padroni, sia italiani che europei, si sono finalmente giocati una
carta importante per tutelare e rinforzare i loro interessi.
Renzi è
stato il nome, giovane e accattivante, su cui le diverse classi
dominanti del paese si sono accordate per sbloccare l’impasse, fare un
salto di qualità complessivo e dare una nuova accelerazione ai processi
di ristrutturazione del mercato del lavoro già abbozzati negli anni passati.
PICCOLA STORIA DELLE RIFORME DEL LAVORO
Si è cominciati con l’introduzione del
Pacchetto Treu (24
Giugno 1997), con cui si sono regolamentati i contratti di
apprendistato, introdotto l’istituto del tirocinio e del lavoro
interinale (unica forma d’interposizione di manodopera ammessa, dopo che
la legge del 1960 le rese illegali). Si è proseguito con le leggi dei
governi di centrodestra, a partire dalla liberalizzazione del contratto a
tempo determinato (2001) e quindi con la
legge Biagi (14
Febbraio 2003) che che interveniva anche sull’apprendistato ed applicava
cambiamenti peggiorativi a varie forme contrattuali (part-time,
interinale, a progetto). Per poi arrivare alla
Legge Fornero
(2012) che modifica drasticamente il contratto d’apprendistato (durata
massima 6 anni, livelli retributivi più bassi, aumento numero massimo
per azienda), elimina del tutto la causale per la stipula del primo
contratto a tempo determinato e limita il diritto al reintegro in caso
di licenziamento illegittimo.
LA RETORICA DEL JOBS ACT
Adesso il governo Renzi, perfettamente in linea con i governi del passato,
continua
e accelera nell’imprimere con forza gli interessi del capitale
internazionale a discapito della condizione dei lavoratori. La retorica con cui il governo ammanta la nuova riforma è molto chiara:
in un’epoca di mercati globalizzati e competitivi,
le aziende devono essere libere di allocare istantaneamente e come
meglio credono le risorse produttive, come la forza lavoro. Il sistema
ha quindi bisogno di flessibilità. Un mercato del lavoro troppo rigido disincentiva le imprese ad assumere, aumenta la disoccupazione ed ha un effetto negativo sulla competitività dell’intero sistema-paese; inoltre le aziende finiscono per ricorrere alla flessibilità di cui hanno bisogno attingendo ad un bacino di “esclusi”, perennemente penalizzati rispetto ai “garantiti” ed alle loro tutele, tanto da portare l’intero peso della flessibilità di cui il sistema avrebbe bisogno.Se questa è la premessa, in linea con la retorica di Governo e padroni, questa la soluzione:
eliminando
le rigidità e lasciando così il mercato libero di agire si
contribuirebbe a risolvere non solo il problema della competitività del
sistema-paese, ma anche quello della disoccupazione e dell’iniqua
divisione tra lavoratori garantiti e precari, o anche l’“apartheid” tra
“core e periphery workers” (usando il lessico del Senatore Ichino, tra i principali promotori del Jobs Act).
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