
Articolo da ECOR.Network
A partire da oggi e fino al 12 novembre i rappresentanti di 196 Stati (più l'UE), firmatari della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, discuteranno a Glasgow di obiettivi di riduzione delle emissioni climalteranti già falliti e di una transizione energetica che non esiste.
La 26a Conferenza delle Parti (COP26) si configura fin dall'inizio
come l'ennesima fiera dell'ipocrisia, a cominciare dagli sponsors
selezionati dal governo del Regno Unito, il padrone di casa dell'evento.
Fra questi figurano multinazionali dell'energia, imprese della
distribuzione del gas, monopoli del cibo, colossi della produzione
industriale e della farmaceutica.
Vi troviamo l'Unilever, da anni inclusa da Greenpeace nella lista dei principali acquirenti di olio di palma proveniente da deforestazione, o il NatWest Group, segnalato dalla Campagna Fossil Banks
per aver investito, dal 2016 al 2020, 13,39 milioni di $ nel fossile,
dal Trans-Mountain Pipeline Project in Canada alla miniera di carbone
Cerrejon in Colombia.
L'agenzia di giornalismo investigativo The Ferret ha
stimato in circa 350milioni di tonnellate di CO2 equivalente le
emissioni di gas serra, dirette e indirette, prodotte nel 2020 dagli
sponsor della COP26 nel corso delle loro attività.
Un dato indicativo del livello di finzione che aleggia sulla Conferenza, e che non riguarda solo gli sponsors.
Pochi giorni fa una fuga di notizie
ha rivelato ciò che si muove dietro le frasi di rito: 32.000 pressioni
esercitate da governi, imprese e organizzazioni, per modificare il
rapporto dell'International Panel on Climate Change (IPCC), l'organismo dell'ONU che raccoglie le evidenze scientifiche sui cambiamenti climatici.
Ne troviamo delle più varie. L'Arabia Saudita chiede agli scienziati
delle Nazioni Unite di cancellare la loro conclusione secondo cui
"l'obiettivo degli sforzi di decarbonizzazione nel settore dei sistemi
energetici deve essere quello di passare rapidamente a fonti a zero
emissioni di carbonio e di eliminare gradualmente i combustibili
fossili". Contestano la dichiarazione anche Argentina, Norvegia e OPEC.
Dall'India si mette in discussione la possibilità di uscire dal carbone.
Brasile e Argentina si oppongono con forza alla richiesta di una
riduzione del consumo globale di carne, che andrebbe a ledere le loro
esportazioni e produzioni agroindustriali.
India, Repubblica Ceca, Polonia e Slovacchia vorrebbero una valutazione
positiva dell'energia nucleare, mentre Arabia Saudita, Australia, Cina e
Giappone sostengono sia possibile continuare le emissioni di gas serra
compensandole attraverso la cattura e lo stoccaggio del carbonio (CCS),
nonostante si tratti di un sistema già dimostratosi del tutto
inefficace.
Le pressioni sull'IPCC sono lo specchio delle politiche reali dei
paesi produttori di combustibili fossili, recentemente analizzate dallo
Stockholm Environment Institute nel rapporto "The production Gap", e messe a confronto con gli impegni enunciati dai rispettivi Stati per limitare il riscaldamento globale.
La discrepanza fra le previsioni di estrazione di petrolio, gas e
carbone (linea rossa) e la riduzione necessaria per mantenere il
riscaldamento globale entro 1,5 °C e 2 °C (linee blu e verde), è
espressa chiaramente dal grafico che segue:
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Fonte: ECOR.Network
Autore: redazione Ecor.Network
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Articolo tratto interamente da ECOR.Network
Sembra che qualcosa si sia messo in moto ma credo che sia ancora molto flebile. Invece bisognerebbe accellerare a più non posso. Vedremo. Grazie Vincenzo!
RispondiEliminaLa strada è ancora lunga.
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