sabato 13 maggio 2023

Il governo continua a tagliare la sanità



Articolo da CRS - Centro per la Riforma dello Stato

L’ulteriore abbassamento di fondi previsto per il 2023 non fa che accelerare il processo di privatizzazione della sanità, mettendo a rischio un welfare universale e democratico, che ponga al centro il benessere delle persone. Il Laboratorio su salute e sanità-LABOSS nasce per proporre un’alternativa a questo declivio 

Il recente dibattito, l’esperienza della pandemia, le minacce che incombono sul diritto alla salute, fisica e psichica, individuale e collettiva, suggeriscono l’attualità di un servizio sanitario pubblico, universalistico ed egualitario. Torna utile allora ricordare a quali caratteristiche si ispirò il nostro Servizio sanitario nazionale (SSN) nato nel 1978 sulla spinta di una grande stagione di conflitti sociali ed espressione di una qualificazione universalista del welfare italiano.

Universalità di copertura (a tutti gli individui e non solo ai cittadini italiani), equità di accesso e uguaglianza di trattamento dei cittadini, globalità dell’intervento sanitario, uniformità territoriale, centralità dell’azione preventiva, unitarietà del sistema, controllabilità e partecipazione democratica, finanziamento tramite la fiscalità progressiva generale. L’istituzione del SSN permise di superare la frammentazione mutualistica dell’assetto precedente ereditato dal ventennio fascista, affermare il principio dell’universalità e dell’eguaglianza nell’accesso ai servizi, predisporre il carattere democratico del nuovo assetto sanitario, attuare alcuni dei principi più avanzati presenti nella nostra carta costituzionale, in primis gli articoli 2; 3, 2° comma; 32. Quest’ultimo afferma infatti che la Repubblica «tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuoe interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti».

Le trasformazioni successive e lo scenario attuale sono il frutto di un’inversione di rotta, quella che ha connotato le nuove politiche di welfare subentrate a partire dagli ultimi decenni del Novecento in più realtà. In particolare la sanità è stata un ambito privilegiato di applicazione di nuovi modelli e strategie orientate a una generale riconfigurazione dell’intervento dello Stato rispetto al mercato, con minor tutela dei diritti sociali, a un ridimensionamento dei servizi collettivi di welfare pubblico, all’introduzione di un maggior peso di attività e soggetti privati nell’ambito di quest’ultimo.A partire dalla riorganizzazione del capitalismo in chiave neoliberale degli anni Ottanta e Novanta,attività come le cure sanitarie e l’assistenza ai più fragili vennero sempre più fornite nella forma di merci comprati sul mercato da quanti avevano capacità di spesa, anziché di diritti garantiti dallo Stato sociale. Da quel periodo storico il ridimensionamento dei servizi sanitari pubblici aprì la strada in molti paesi alla privatizzazione di attività per la salute; si affermarono inediti processi di valorizzazione ed estrazione del capitale nell’ambito della salute e della sanità, come in altre attività di cura, istruzione e assistenza; si introdussero nuovi modelli di amministrazione e governo dell’assetto sanitario ispirati al New Public Management (NPM); si affermò un approccio selettivo alla salute; si imposero come nuove protagoniste nelle scelte sanitarie istituzioni economiche come la Banca Mondiale, grandi imprese farmaceutiche multinazionali, a cominciare da Big Pharma, e società finanziarie legate alle assicurazioni private. Mercato e concorrenza divennero di fatto «il pensiero dominante delle politiche sanitarie»1. Questi sviluppi condizionarono più paesi in termini di aumento delle diseguaglianze nella salute e nell’assistenza sanitaria, di riduzione della spesa sanitaria pubblica, di crescita della spesa sanitaria sostenuta dai cittadini per l’acquisto di servizi sanitari privati (out of pocket), di perdita di capacità di programmazione dei servizi socio-sanitari.

I limiti e le criticità che si sono mostrati nel SSN a fronte dell’impatto di Covid-19 sono derivatisoprattuttodal suo depotenziamento, dallo spazio lasciato alla sanità privata e dall’indebolimento della medicina territoriale che ne aveva informato la fisionomia originaria.

Per comprendere le sfide attuali sono allora necessari tanto una riflessione di ampio respiro capace di individuare le problematiche che negli anni più recenti hanno contrassegnato l’assetto sanitario; quanto un impegno volto a formulare un progetto politico che rimetta la salute al centro del cambiamento sociale. La sfida odierna è quella di re-immaginare un nuovo modello di welfare socio-sanitario espansivo, espressione di una gestione partecipata, democratica, comune, capace di ripoliticizzare il terreno stesso della produzione di salute e della conoscenza sanitaria.

La tenuta, il potenziamento e la riqualificazione di un servizio sanitario pubblico dipendono soprattutto dalle scelte politiche che a livello nazionale, europeo e internazionale si compiranno; dalla rimessa in campo del principio dell’integrazione socio-sanitaria, da una programmazione nazionale dei servizi e dalla loro capillarizzazione territoriale2, dal rifinanziamento della spesa sanitaria e sociale, da una nuova spinta culturale e politica. Viceversa, la rinuncia all’uso di un servizio pubblico avrebbe conseguenze irreversibili sul piano dell’aggravamento delle odierne diseguaglianze.

Già i dati precedenti alla pandemia fotografavano l’entità della riduzione delle risorse pubbliche particolarmente grave in un paese come il nostro ad alto invecchiamento della popolazione e un decisivo disinvestimento nella sanità pubblica che si è palesato soprattutto in termini di riduzione del personale, di divario nella qualità e quantità dei servizi forniti dalle Regioni, di difficoltà di accesso economico e fisico (liste di attesa) alle cure3. L’effetto di tutto questo è stato, ed è, il progressivo spostamento della domanda verso il mercato privato, con la crescita delle diseguaglianze negli standard di salute e la messa in discussione dei principi universalistici. Con la pandemia si sono rese ancora più evidenti – e sono aumentate – le disparità nella disponibilità dei servizi pubblici (soprattutto tra Nord e Sud), la frammentazione a scala regionale, il forte indebolimento della medicina territoriale e dell’integrazione socio-sanitaria4. Sempre più palesi sono diventati i problemi legati alle strozzature nell’offerta dei servizi ospedalieri (si pensi all’affollamento dei servizi di pronto soccorso), alla penuria di alcune figure nell’ambito del personale sanitario, alla scarsa attenzione nei confronti della prevenzione, all’inadeguato impegno pubblico nella ricerca. Questo è stato l’effetto delle politiche di austerità introdotte a partire dalla crisi del 2007-2008 e, come si è visto, prima ancora di quelle neoliberali.

In questo quadro,nel quale si accresce il protagonismo di soggetti privati che percepiscono la sanità come il mercato in più rapida espansione in termini di potenzialità produttive e di profitto, quali sono le tendenze attuali e future che si profilano per il contesto italiano? Potremmo così sintetizzarle:

– definanziamento del SSN: prima della pandemia (2019) la spesa sanitaria pubblica rappresentava il 6,5% del PIL, in linea con la media OCSE, ma ben distante dai livelli di spesa di Germania e Francia. In termini pro capite il SSN spendeva la metà della Germania e la spesa sanitaria totale per abitante era del 15% in meno rispetto alla media Ue. Nel 2025, in rapporto al Pil, il bilancio pluriennale dello Stato prevede che la spesa sanitaria ammonterà al 6,2% del PIL: un dato al di sotto non solo dei livelli pre-pandemia, ma soprattutto di quelli di più paesi dell’Unione europea. Le ripercussioni sono particolarmente gravi sulle condizioni di lavoro, oltre che sul numero, del personale sanitario, in specie medici e infermieri5;

– affidamento dei servizi pubblici a privati accreditati con processi di esternalizzazione e spesa a carico del SSN. Attraverso convenzioni e contratti, viene trasferita la responsabilità parziale o totale della fornitura di servizi clinici o non clinici al settore privato, mentre la responsabilità del finanziamento rimane al settore pubblico. In Italia si calcola oggi che la spesa sanitaria pubblica destinata a operatori privati per i servizi svolti sia il 22%, con Lazio e Lombardia che raggiungono il 30%6;

– aumento della parte di finanziamento del SSN attraverso ticket e tariffe pagate dagli utenti. Sotto la pressione del definanziamento del SSN e dei limiti del prelievo fiscale destinato a finanziare la sanità pubblica, le politiche degli ultimi decenni hanno ampliato il ricorso a pagamenti da parte degli utenti per l’utilizzo di prestazioni sanitarie pubbliche;

– a causa del ridursi dell’accessibilità alle prestazioni della sanità pubblica si registra un incremento della spesa sanitaria sostenuta direttamente dai cittadini per l’acquisto di servizi sanitari privati (out of pocket). La spesa sanitaria privata sta alimentando la crescita del ruolo delle assicurazioni sanitarie, che consentono agli assicurati l’accesso a prestazioni private. Queste attività sono favorite dagli incentivi offerti al welfare aziendale con la defiscalizzazione dei contributi pagati dalle imprese. In questo ambito si assiste a una concentrazione degli operatori sanitari privati (dalle cliniche alla diagnostica) con un ruolo crescente svolto dalle grandi società di assicurazioni, soprattutto straniere. A ciò si aggiungono i problemi derivanti dallo scarso rispetto uniforme su tutto il territorio nazionale dei Livelli essenziali di assistenza (LEA). La mancata garanzia effettiva dei LEA in più Regioni, in specie nel Mezzogiorno, il loro non aggiornamento e la fuoriuscita da essi di alcune prestazioni rappresentano un violazione grave del diritto alla salute;

– un incremento della migrazione sanitaria dal Sud al Nord, che privilegia in particolare la Lombardia e le sue strutture private convenzionate, comportando un trasferimento delle risorse dalle regioni più povere a quelle più ricche;

– sul piano dei modelli di gestione e organizzazione anche all’interno delle strutture del SSN si estende una modalità aziendale che trascura la natura di bene pubblico della sanità e concentra l’attenzione sulla riduzione dei costi con effetti negativi sulle condizioni di lavoro del personale sanitario;

– l’influenza del processo di privatizzazione della sanità lombarda7 e la normativa sull’autonomia regionale differenziata. Se quest’ultima passasse e se fosse consentita l’appropriazione di una quota del ‘residuo fiscale’ da parte delle più ricche regioni del Nord, si accentuerebbero rapidamente le disparità già presenti in termini di qualità dei servizi, erogazione delle prestazioni, diseguaglianze nella salute.


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Fonte: CRS - Centro per la Riforma dello Stato


Autore: 
Chiara Giorgi

Licenza: Licenza Creative Commons
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Articolo tratto interamente da CRS - Centro per la Riforma dello Stato


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