giovedì 3 marzo 2022

Il cancro uccide ogni anno 10 milioni di persone



Articolo da Sbilanciamoci.info 

Il cancro uccide ogni anno 10 milioni di persone. L’incidenza è destinata ad aumentare clamorosamente. Possiamo vederlo come un indicatore di patogenesi della globalizzazione. I nuovi farmaci sono decisivi se inseriti in un sistema sanitario pubblico e universalistico, ma serve una nuova economia della cura.

Nella giornata internazionale della lotta al cancro, il 4 febbraio scorso, la Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) ha organizzato un’importante giornata di riflessione rivolta alla stampa per dare conto delle tendenze globali e nazionali su questa patologia in costante aumento. Ci tengo a riprendere la questione perché considero cruciale che – in tempo di pandemia – siano ulteriormente diffusi e analizzati i dati di tendenza sul cancro, ben oltre la giornata mondiale e ben al di fuori della comunità medico-scientifica. Dati agghiaccianti: già oggi il cancro uccide, anno dopo anno, 10 milioni di persone, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). La incidenza e morbilità globale dovute al cancro sono tuttavia destinate ad aumentare clamorosamente nei prossimi venti anni, da 19,3 milioni di persone nel 2020 a 28,9 nel 2040 (fonti Oms/IARC), un dato confermato in buona sostanza anche dalla European Society for Medical Oncology. Per questo occorre partire da lì, dalla scienza, tanto retoricamente acclamata da un paio di anni a questa parte, ma sostanzialmente trascurata poi nei messaggi inequivocabili che trasmette alla politica. E la fotografia che viene dalle proiezioni Oms/Airc sulle stime di incremento dei tumori nel mondo tra il 2020 e il 2040 non lasciano scampo. Sempre di più, possiamo dire come ragionevolezza che le patologie del cancro hanno assunto i contorni di indicatore di patogenesi della globalizzazione.

AIOM ha opportunamente puntato lo sguardo sui determinanti globali delle patologie tumorali, con coraggio. Non è ormai più sufficiente, neppure per la comunità medico-scientifica, sentirsi appagati dei grandi progressi che la medicina ha conseguito, soprattutto negli ultimi decenni, nella lotta al cancro. Le terapie innovative più recenti hanno di fatto cambiato la dinamica della malattia e in molti casi la storia dei pazienti: sono fondamentali e nessuno le mette in discussione. Ma il focus prevalente e direi quasi esclusivo sulle pur decisive soluzioni biomediche risulta per alcuni aspetti fuorviante (uso questo aggettivo con consapevolezza di provocazione). Rischia di far perdere completamente di vista le cause distali di questa patologia, ormai diffusa nelle molteplici sue forme anche nei paesi del Sud del mondo, e di dirottare la comunità medica e mediatica solo sul trionfo delle soluzioni farmacologiche, ovvero sulla malattia invece che sulla sua prevenzione. Rischia inoltre di oscurare alcune considerazioni di contesto imprescindibili, quasi che le terapie funzionassero in isolamento.

La prima: la vera possibilità di efficacia delle terapie antitumorali poggia su un sistema di salute autenticamente pubblico e universalistico, ispirato alla presa in carico della persona in quanto titolare del diritto umano alle cure essenziali. Le terapie vecchie e nuove contro i tumori, tutt’altro che banali sotto il profilo finanziario per un sistema sanitario, sono un lusso abbastanza elitario nei paesi dotati di sistemi a vocazione privatistica, imperniati perlopiù su logiche assicurative di mercato, tali per cui l’accesso alla terapia dipende dal potere di acquisto del paziente, dalla gravità del tumore e financo dalla sua stessa età, fattori che determinano i criteri di copertura ovvero sistematiche forme di esclusione. La capacità finanziaria inficia così la stessa efficacia della terapia. E il mancato accesso per le fasce della popolazione meno abbienti, che non trovano copertura sanitaria ai servizi oncologici nella gran parte dei paesi del pianeta, trasforma per paradosso la cura in un fattore scatenante di disuguaglianza, sicché la scelta stessa della politica sanitaria di un paese può determinare l’incremento dei tumori, la loro mancata gestione, il crescente impatto in termini di mortalità.

Non parliamo poi dei paesi a basso reddito del Sud globale, dove il cancro svetterà con percentuali esorbitanti nei prossimi venti anni (+69,7% in Asia, +92,9 in Africa, +77,3% in America Latina), con una vera e propria transizione epidemiologica. Qui la seconda considerazione: mentre nei paesi ad alto reddito gli strumenti diagnostici più sensibili e le migliori terapie hanno drasticamente ridotto la mortalità, in molti paesi del Sud globale il cancro viene considerato una malattia dimenticata. Non esistono dispositivi di diagnosi e sistemi sanitari pubblici degni di questo nome, non esistono i farmaci per le terapie, se non per le minuscole élite locali che possono permettersi i trattamenti all’estero o nei centri privati in capitale. Il resto è una terra desolata: al punto che persino agenzie medico-umanitarie come Medici Senza Frontiere stanno ragionando se prendere in carico pazienti oncologici nei loro progetti di emergenza. Ma noi sappiamo che il cancro non è un’infezione, e non sta certo nell’intervento umanitario la soluzione del problema. Come dire che l’apartheid sanitario non riguarda solo i vaccini contro Covid-19; si tratta piuttosto di una profonda faglia di disuguaglianze che solca il mondo con traiettorie imprevedibili a volte. 

Nel corso della 150° sessione del Comitato Esecutivo dell’Oms a fine gennaio due questioni sono emerse con una certa insistenza, incastonate nella prevalente discussione sull’emergenza pandemica e la necessità di affrontare le persistenti esternalità socio-sanitarie e disuguaglianze generate da Covid-19. La prima ha portato l’attenzione al consumo globale di alcol, cresciuto a dismisura negli ultimi due anni della pandemia, soprattutto tra le fasce giovanili, nei paesi dell’Est europeo e nel Sud del mondo (paesi asiatici – Cina, India e Vietnam – e Africa subsahariana). L’altro problema affiorato più volte nel dibattito fra gli stati membri ha riguardato l’obesità, anch’essa in drammatico incremento dopo due anni di pandemia (nel 2020, 39 milioni di bambini sotto i 5 anni erano obesi o sovrappeso), e fattore altamente significativo dello sviluppo di complicanze da Covid-19, e anche di decesso a causa del virus SARS-CoV-2, nelle sue varianti. Lo dice l’ultimo rapporto della World Obesity Federation del marzo 2021: dei 2,5 milioni di decessi da Covid-19 segnalati entro la fine di febbraio 2021, 2,2 milioni erano avvenuti in paesi dove più della metà della popolazione è classificata in sovrappeso o obesa. Obesità e alcolismo sono due condizioni che portano diritto al cancro. Secondo l’Oms, si contano sette tipologie di tumori correlate al consumo di alcolici (alla laringe, faringe ed esofago, al colon e fegato, al seno e alla cavità orale) e The Lancet Oncology del luglio 2021 dimostra come oltre 740.000 nuovi casi di tumori nel 2020 siano imputabili all’alcol. Quanto all’obesità, questa è la fotografia di correlazione a molteplici forme tumorali secondo il National Cancer Institute americano. Non c’è da stare molto tranquilli. 

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Articolo tratto interamente da Sbilanciamoci.info 

2 commenti:

  1. In questo caso da parte dello stato ci dovrebbe versare moltissimi pià soldi alla vera ricerca per il tumore.
    Una prevenzione tumorale gratuita di TAC e di + Di controlli annuali registrati.
    Non può mai bastare una raccolta di € 2,00 al numero xxxxx di cui per legge si dovrebbero trattenere + del 25%

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