lunedì 6 novembre 2023

Alla ricerca della felicità


Articolo da La chiave di Sophia

Nella Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti (1776) si afferma che tutti gli esseri umani hanno tre diritti inalienabili: la vita, la libertà e la felicità. Se la vita è la conditio sine qua non dell’esistenza umana, la libertà e la felicità ne determinano la sua condizione individuale e sociale. La libertà e la felicità formano e completano il senso della vita rendendola identitaria e non aliena. Ma, in realtà, di cosa parliamo quando parliamo di felicità?

Non esiste una risposta universalmente valida su cosa sia la felicità perché, in prima battuta, essa è uno scopo da raggiungere individualmente, ma proprio per questo il punto di partenza deve essere la ricerca di se stessi. L’esortazione «Conosci te stesso», raccomandata da Socrate ed iscritta sul frontone del tempio di Apollo, se fatta nostra, se portata dentro di noi, ha una forza rivelatrice tale da condurci ad una verità, seppur relativa, capace di farci trovare delle risposte.

La filosofia da sempre si è interrogata sulla felicità e tante sono le definizioni e le riflessioni a cui possiamo riferirci per trovare una sintonia di pensiero, a partire da Aristotele che vede la felicità come un bene supremo pratico a cui l’uomo deve aspirare per condurre una vita virtuosa, o la lettura della celeberrima Lettera sulla felicità di Epicuro, per cui la felicità coincide con la liberazione dal dolore, così come L’arte di essere felici di Arthur Schopenhauer, per il quale la felicità è sì irraggiungibile ma conoscibile solo limitando l’esperienza del suo opposto, l’infelicità.

Qual è, però, l’ostacolo maggiore che intralcia la nostra felicità? Per Žižek «il problema è che non sappiamo ciò che vogliamo» (S. Žižek, Il contraccolpo assoluto, 2016). Questo è dovuto al continuo cambiamento dei beni di consumo che velocizzano i nostri tempi di reazione in una società che, come la definisce Bauman, è liquida e precaria. In questo mondo liquido postmoderno, le nuove generazioni hanno scoperto che la felicità, nonostante possa sembrare un bene di consumo, in realtà non è acquistabile materialmente. Il sistema capitalista conosce bene i nostri bisogni e i nostri desideri, tanto da inventarne altri, da dominare le nostre scelte, perché consapevole che «non ci si ferma soddisfatti, e felici, quando un nostro desiderio si realizza. Piuttosto, ci si spinge subito a desiderare qualcos’altro»1. La felicità è la sfida più grande dell’umanità e conseguirla, secondo Bauman, prevede l’impegno nel superamento dei problemi che la ostacolano.
Sulla stessa linea di pensiero, Chomsky aggiunge che questa frenesia consumistica priva le persone del loro valore esistenziale alimentando quel senso di alienazione, di vuoto e di disorientamento. Questo gioco è ben strutturato attraverso strategie di distrazione di massa che confondono le nostre scelte, la nostra mente e le nostre emozioni facendoci sentire oggetti più che soggetti.

Se da un lato la felicità è analizzata come uno dei fenomeni sociali, essa è anche studiata come un coefficiente di benessere economico (nel rapporto tra ricchezza e felicità). Detto banalmente: la ricchezza produce la felicità? Una delle prime risposte è stata data dall’economista Easterlin con l’elaborazione del paradosso della felicità: all’aumento del reddito corrisponde un aumento della felicità che, però, non continua ad infinitum ma raggiunge un livello massimo dopo il quale inizia a decrescere. Questa teoria è stata solo in parte confermata anche dall’ultimo studio di Kahneman e Killingsworth, che hanno evidenziato come il denaro aiuti a stare bene solo fino a un tetto di 100.000 euro annuali, superato il quale diventa insignificante.

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Fonte: 
La chiave di Sophia

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Articolo tratto interamente da La chiave di Sophia


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