Articolo da Guerre di Rete
Dei tanti comandamenti che regolano il mondo delle criptovalute, il più noto e importante è probabilmente quello che recita: buy the dip (“compra il calo”). Non è una vera e propria regola (che d’altra parte, in campo finanziario e speculativo, non esistono), ma è innegabile che chi – nel corso dei quasi due decenni di esistenza dei bitcoin – ha approfittato dei vari crolli che si sono susseguiti per acquistare la più antica delle criptovalute raramente ha sbagliato.
I numeri parlano chiaro: dopo lo scoppio della grande bolla dell’inverno 2017/18, il valore dei bitcoin precipitò da 19mila a 3.500 dollari. Chi avesse avuto il sangue freddo di acquistare i bitcoin al loro minimo e mentre la stampa ne celebrava per l’ennesima volta la “morte”, per poi attendere pazientemente la risalita, avrebbe potuto realizzare nel novembre 2021, poco più di due anni e mezzo più tardi, un guadagno del 1800% circa (i bitcoin toccarono infatti, quel mese, 67mila dollari).
Lo stesso si è ripetuto in altre occasioni, sia precedenti sia successive: ogni crollo del mercato delle criptovalute è stato seguito da una netta risalita, che nel caso dei bitcoin li ha portati a infrangere un record dopo l’altro, fino a raggiungere il massimo storico di 124mila dollari nell’ottobre del 2025 (dopo essere scesi fino a 16mila dollari del dicembre 2022).
È anche per questa ragione che quando si moltiplicano i titoli sull’ennesimo (e, dal punto di vista speculativo, inevitabile) crollo delle criptovalute, è anche il momento in cui i true believers, ovvero i più fedeli sostenitori del mondo cripto, approfittano di quelli che considerano “prezzi di saldo” per acquistare bitcoin o altre monete digitali e poi attendere la risalita.
Investimenti controcorrente
Per quanto queste regole – che sono in verità previsioni basate sul comportamento passato – potrebbero sempre venire smentite, va sottolineato che il concetto di “buy the dip” non riguarda soltanto le criptovalute, ma viene anzi applicato nel mondo finanziario da secoli. Due aneddoti sono ormai passati alla leggenda (ed è infatti impossibile stabilirne la veridicità storica): il primo risale addirittura ai primi del 1800, quando Nathan Mayer Rothschild approfittò del panico causato dalle Guerre Napoleoniche per acquistare i titoli di stato britannici di cui tutti volevano liberarsi e poi, dopo la vittoria del Regno Unito, si arricchì immensamente. Il modo di dire che gli viene attribuito riassume in poche parole il concetto: “Compra quando c’è il sangue per le strade” (in cui il “sangue” è preferibilmente da intendersi metaforicamente con il significato di “crollo del valore degli asset finanziari”).
Il secondo aneddoto ha invece come protagonista Joe Kennedy. La leggenda vuole che nel 1929, all’apice della frenesia dei mercati, il padre del futuro presidente degli Stati Uniti JFK si fermò in un vicolo di Wall Street per farsi lucidare le scarpe. Mentre svolgeva il lavoro, il lustrascarpe confidò a Kennedy quali fossero le azioni secondo lui più promettenti. Per l’investitore fu una sorta di epifania: comprese che, se perfino una persona priva di qualunque competenza finanziaria si stava dilettando con le azioni, era giunto il momento di vendere. In questo modo, Joe Kennedy riuscì a liberarsi delle sue azioni mentre ancora erano ai valori massimi. Il martedì successivo, il 29 ottobre del 1929, i mercati crollarono e iniziò la Grande Depressione.
Sono due aneddoti che riassumono il cosiddetto “investimento controcorrente” (compra quando tutti vendono e viceversa) e che, tornando al mondo delle criptovalute, potremmo aggiornare così: vendi quando perfino il TG1 parla del boom dei bitcoin e compra quando sui social tutti dicono che sono morti.
Perché sono crollate le criptovalute
Andrà così anche questa volta? Le ultime settimane sono state molto pesanti sotto il fronte delle criptovalute. E questo nonostante una parte consistente degli addetti ai lavori avesse vaticinato una nuova imponente ascesa proprio nel corso dell’inverno del 2025-26, seguendo così fedelmente quel ciclo quadriennale di crescita che segue il momento dell’halving (quando cioè viene dimezzata la ricompensa in bitcoin elargita ai “miner”).
E invece, dopo i massimi di ottobre e una fase di stagnazione, il mercato delle criptovalute è crollato sul finire del mese di novembre: i bitcoin sono scesi di oltre il 30% rispetto ai massimi di ottobre 2025 (da 124mila a 84mila dollari), mentre cali anche peggiori sono stati accusati da ether (-40%), XRP (-45%) e tutte le altre principali altcoin. Nel complesso, il mercato delle criptovalute ha perso oltre mille miliardi di dollari di valore, prima di tentare, nei primi giorni di dicembre, una timida ripresa.
Che cos’è successo? Perché un crollo così improvviso e imprevisto proprio nell’anno dell’elezione di Donald Trump, che in campagna elettorale aveva promesso di rendere gli Stati Uniti la prima “cripto-superpotenza” della storia? La teoria più diffusa, ripresa anche dal Wall Street Journal, vuole che questo crollo sia paradossalmente legato al successo delle criptovalute e alla loro diffusione tra i grandi investitori istituzionali, avvenuta soprattutto in seguito all’esplosione degli ETF. Gli exchange-traded fund sono strumenti finanziari quotati in Borsa, che replicano l’andamento di un asset – in questo caso i bitcoin o gli ether – e che consentono agli investitori di esporsi alle criptovalute senza possederle direttamente.
Dopo le prime approvazioni negli Stati Uniti, avvenute a inizio 2024, gli ETF che trattano bitcoin ed ether sono esplosi, venendo adottati da colossi come BlackRock, Fidelity, Invesco, Ark Invest e attirando decine di miliardi di dollari (che a loro volta hanno fatto crescere il valore del mercato cripto, che tra il 2024 e il 2025 è passato da 1.600 a 4.200 miliardi di dollari).
Come ha però sintetizzato, parlando con il WSJ, Cory Klippsten, CEO dell’exchange Swan Bitcoin, “una volta che le istituzioni sono coinvolte, le criptovalute iniziano a essere scambiate come un asset istituzionale”. In parole più semplici, i tempi in cui l’andamento dei bitcoin era scollegato dal mercato tradizionale (e in alcune occasioni andava addirittura in direzione inversa, perché i più avventurosi si rivolgevano alle criptovalute quando Wall Street non dava loro soddisfazione) sono passati. Oggi, proprio per via della loro adozione istituzionale, il mercato delle criptovalute tende a muoversi in maniera sempre più correlata agli indici finanziari tradizionali.
Stando a questa interpretazione, non è un caso che il crollo dei bitcoin sia avvenuto a novembre, mese segnato da grandi turbolenze finanziarie legate al timore di un imminente scoppio della bolla dell’intelligenza artificiale. Per quanto percentualmente più contenuto, il brusco calo del valore delle azioni di Nvidia o Meta si è verificato negli stessi giorni in cui sono crollate le criptovalute, confermando come il mercato dei bitcoin ormai segua l’andamento di quello tradizionale.
“Dal mese di ottobre, i bitcoin si sono comportati più come azioni tech ad alta crescita che come un bene rifugio non correlato”, si legge sul South China Morning Post, che cita un report della Deutsche Bank. Che la correlazione tra il mercato cripto e quello tradizionale stesse aumentando era evidente già da tempo, ma il fatto che questa dinamica si stia ulteriormente rafforzando potrebbe allontanare i cosiddetti investitori “retail” (i piccoli investitori comuni), che sono stati storicamente attratti dall’alta volatilità dei bitcoin e dai loro meccanismi peculiari.
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Autore: Andrea Daniele Signorelli
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