mercoledì 20 agosto 2025

La situazione dell’ex Ilva di Taranto

Acciaierie di Taranto


Articolo da Effimera

A Taranto nulla accade per caso. La vicenda della continuità produttiva di Acciaierie d’Italia (ex Ilva) è l’ennesima truffa orchestrata con cinismo: dietro le parole di “transizione” e “rilancio” si nasconde sempre lo stesso gioco sporco, che cambia interlocutori ma non sostanza. Le promesse di risanamento e lavoro sono vuote menzogne, consumate e gettate via come carta straccia, mentre la città resta schiacciata da inquinamento, povertà e disoccupazione, e pochi ingrassano alle sue spalle. Non si tratta di rilancio, ma di rapina, un inganno che si ripete senza vergogna, una ferita aperta che nessuno vuole davvero curare.

Le vicende dell’ex Ilva mostrano come Taranto sia stata sacrificata per decenni agli interessi di pochi, piegata a un modello industriale obsoleto e insostenibile, capace di garantire profitti privati a spese della salute, dell’ambiente e delle casse pubbliche. Il recente voto di fiducia del governo al decreto ex Ilva, con altri 200 milioni di fondi pubblici, conferma la volontà di mantenere in vita un impianto vecchio e pericoloso, senza certezze su tempi e costi. [1]

La nuova Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA rilasciata il 25 luglio 2025 dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE)) dispone che Acciaierie d’Italia S.p.A. in A.S. sia autorizzata per 12 anni all’esercizio dello stabilimento siderurgico di interesse strategico nazionale. L’AIA conferma ciò che già si sospettava: garantisce la produzione a ciclo a caldo con tre altiforni per almeno altri dodici anni, consolidando il carbone come priorità e dimostrando, allo stato attuale, l’assenza di reale volontà di transizione. L’illusione dei forni elettrici, alimentati a gas e comunque inquinanti, viene rinviata a un futuro indefinito, affidata all’eventuale acquirente dell’impianto. Ma chi investirebbe davvero in un passaggio che comporterebbe perdite e rischi enormi? Molto probabilmente lo Stato continuerà a offrire ampi finanziamenti sia durante il percorso verso questa fumosa transizione, sia per eventuali investimenti necessari. [2]

La decarbonizzazione promessa resta dunque una cortina fumogena: mentre le istituzioni parlano di futuro verde, la realtà certificata dall’AIA è chiara e impietosa. Il carbone continuerà a dominare per oltre un decennio, mentre tempo, diritti e futuro di Taranto vengono sacrificati. Non è un caso che a febbraio 2024 l’ex presidente di Confindustria Bonomi avesse già dichiarato che a Taranto la produzione deve continuare con il ciclo a caldo, perché i forni elettrici sono altrove. [3]

I comuni di Taranto e Statte, escludendo la Regione Puglia che aveva già accettato senza riserve l’Accordo di Programma, hanno firmato il 12 agosto 2025 un accordo interistituzionale con il ministero  delle Imprese e del Made in Italy basato su vaghe promesse di decarbonizzazione, rinviando ogni decisione concreta al 15 settembre, ultimo termine per la vendita della fabbrica, contraddicendo le posizioni rigorose ostentate fino a poco tempo fa.

Il bando di gara per la vendita dell’ex Ilva dovrebbe vincolare l’acquirente a una decarbonizzazione progressiva, prevedendo lo spegnimento delle aree a caldo e la realizzazione di tre forni elettrici per raggiungere la capacità autorizzata di 6 milioni di tonnellate annue. Tuttavia, la tutela occupazionale è solo accennata, mentre la frammentazione dell’azienda appare pensata soprattutto per attrarre più acquirenti e garantire profitti privati.

Al momento, sono 15 i gruppi che hanno manifestato interesse per l’acquisizione dell’ex Ilva di Taranto, sia per l’intero complesso che per singoli stabilimenti. Le offerte vincolanti, accompagnate dai piani industriali, dovranno essere presentate entro il 15 settembre 2025, con l’obiettivo di avviare la vendita entro il primo trimestre del 2026.

Tra i principali gruppi interessati figurano:

  • Baku Steel: azienda azera che ha proposto un piano ambizioso, comprendente l’installazione di una nave rigassificatrice a Taranto e la riconversione dell’impianto verso forni elettrici .QuiFinanza+1
  • Jindal Steel International: gruppo indiano che ha manifestato interesse attraverso la sua controllata Vulcan Green Steel, con un progetto focalizzato sulla decarbonizzazione e l’uso di forni elettrici .QuiFinanza+1
  • Bedrock Industries Management Co.: fondo americano che ha presentato una proposta per la gestione e il rilancio dell’impianto .Corriere di Taranto+5Wikipedia+5QuiFinanza+5
  • Metinvest: gruppo siderurgico ucraino che, insieme a Marcegaglia Steel, ha espresso interesse per l’acquisizione di singoli stabilimenti, come quello di Racconigi .RaiNews+1
  • Marcegaglia Steel: azienda italiana che ha manifestato interesse per l’acquisizione di specifici impianti, come quello di Racconigi .L’Edicola+3RaiNews+3Wikipedia+3

Altri gruppi, come Stelco Holding (Canada) e Cleveland-Cliffs (USA), sono stati menzionati in precedenza come potenziali acquirenti, ma al momento non risultano tra i principali candidati .Business People

La situazione rimane fluida, con l’incertezza legata ai danni subiti dall’impianto di Taranto a seguito di un incendio nel maggio 2025, che ha compromesso la produzione e complicato le trattative .Wikipedia

In sintesi, i gruppi principali interessati all’acquisizione dell’ex Ilva sono Baku Steel, Jindal Steel International, Bedrock Industries Management Co., Metinvest e Marcegaglia Steel, con la presentazione delle offerte vincolanti prevista per il 15 settembre 2025.Economy Magazine+4Finanza Repubblica+4RaiNews+4

Tra i potenziali acquirenti figura BlackRock, che evidenzia come la promessa di un futuro rilancio della produzione di acciaio appaia piuttosto improbabile. Il fondo speculativo BlackRock  rappresenta una delle espressioni più ciniche e distruttive del capitalismo contemporaneo. È l’emblema di come la finanza predatoria possa devastare vite e territori in nome del profitto. Questi colossi dell’investimento non hanno alcun interesse nel creare valore o sostenere l’economia reale: il loro unico scopo è spremere ogni possibile profitto rapido e massiccio.

Nel contesto i sindacati, pur esprimendo sorprendentemente consenso alle proposte del governo, hanno messo in luce le criticità dell’accordo provvisorio firmato dagli enti locali con il ministero. Tuttavia, non sembrano rendersi conto che entrambe le opzioni, quella dei comuni di Taranto e Statte, limitata ai tre altiforni, e quella estesa con quattro impianti DRI e quattro impianti di stoccaggio Co2 alimentati dalla nave rigassificatrice, comporterebbero inevitabilmente una drastica riduzione dei posti di lavoro.

Le garanzie occupazionali previste con i tre forni elettrici e la produzione di preridotto comportano una drastica riduzione degli occupati. Per tre forni elettrici destinati a una produzione di 6 milioni di tonnellate annue di acciaio, si stima la presenza di circa 200 lavoratori: dai 120 ai 150 per l’Area fusione (EAF + siviera/raffinazione), da 25 a 35 per la manutenzione meccanica, elettro-strumentale e refrattari, altri 25-35 impiegati in logistica, laboratorio QA, HSE, utilities/energia, e 10-15 supervisori, ingegneri e amministrativi per turno. La riduzione di personale è dunque drastica.

In sostanza, il progetto di decarbonizzazione resta problematico e illusorio: si parla di futuro verde mentre si consolida un presente a carbone destinato a durare oltre un decennio con impianti fatiscenti e pericolosi come dimostrato dallo scoppio dell’AFO1 il 7 maggio scorso [4].


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Fonte: Effimera

Autore: Franco Oriolo

Licenza: Copyleft 

Articolo tratto interamente da Effimera 

Photo credit Saggittarius A, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons


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