martedì 29 ottobre 2024

L'aggressione di Israele contro la Palestina: storia di ingiustizia e resistenza



Articolo da Rebelión

Questo articolo è stato tradotto automaticamente. La traduzione rende il senso dell’articolo, tuttavia consigliamo di leggere il testo originale su Rebelión

L'aggressione di Israele contro il popolo palestinese è uno dei conflitti più prolungati e dolorosi della storia contemporanea. Per più di sette decenni, la Palestina è stata vittima di una politica di colonizzazione, occupazione e violenza sistematica, sostenuta dai principali paesi occidentali, in particolare dagli Stati Uniti. Questa storia di criminalità e repressione non solo ha sfollato centinaia di migliaia di palestinesi dalle loro case, ma ha calpestato i loro diritti umani, territoriali e politici, negando loro il diritto di esistere e di autodeterminarsi.

La Nakba: origine dello sfollamento palestinese

La fondazione dello Stato di Israele nel 1948 segnò una pietra miliare nella storia del popolo palestinese, ma non fu motivo di celebrazione, bensì di tragedia, conosciuta come Nakba o “catastrofe”. Durante la Nakba, più di 700.000 palestinesi furono espulsi dalle loro terre, case e mezzi di sussistenza, diventando rifugiati nel proprio territorio o nei paesi vicini. Questo evento non fu un incidente isolato, ma parte di un meticoloso piano di espropriazione e colonizzazione, sostenuto dal Regno Unito, che allora aveva il mandato in Palestina, e, successivamente, dagli Stati Uniti.

Il sionismo politico, promosso come movimento di liberazione nazionale per gli ebrei, era in realtà un progetto di colonizzazione che espelleva sistematicamente la popolazione indigena palestinese, dando inizio alla pulizia etnica nascosta sotto la creazione di uno Stato. In questo modo, la narrazione israeliana sul suo “diritto ad esistere” è un grossolano errore che nasconde la realtà di un popolo palestinese privato della sua terra e dei suoi diritti.

L’espropriazione delle terre palestinesi iniziata nel 1948 non si è conclusa con la creazione dello Stato di Israele. Per decenni, la politica israeliana è stata l’espansione territoriale e il controllo sui palestinesi attraverso mezzi violenti e illegali. Le leggi sull'esproprio delle terre e la creazione di insediamenti sono stati strumenti chiave in questo progetto coloniale. La Nakba non è solo un evento storico; È un processo continuo di sfollamento e colonizzazione che continua a colpire milioni di palestinesi.

L'occupazione continua

Nel 1967, l'occupazione israeliana della Cisgiordania, di Gaza e di Gerusalemme segnò una nuova fase nell'espansione territoriale di Israele. Questi territori, riconosciuti a livello internazionale come palestinesi, sono stati occupati militarmente e da allora sono stati sottoposti a una colonizzazione brutale. Israele ha instaurato un regime in questi territori dove i palestinesi vivono sotto un sistema di segregazione e repressione che ricorda l’apartheid del Sud Africa e i ghetti della Seconda Guerra Mondiale. Paradosso sinistro, gli israeliani che hanno sofferto tali condizioni in passato, ora impongono questo sistema di oppressione al popolo palestinese, consolidando una politica sionista fascista hitleriana contro i palestinesi.

Gli insediamenti israeliani in Cisgiordania sono considerati illegali secondo il diritto internazionale, ma Israele ha continuato ad espanderli senza restrizioni. Questi insediamenti, presidiati dall'esercito israeliano, hanno frammentato il territorio palestinese, creando una serie di piccole enclavi isolate. Questa situazione è aggravata dai posti di blocco militari, che complicano la vita quotidiana impedendo loro di muoversi liberamente all’interno del proprio territorio. Di conseguenza, molte famiglie palestinesi vengono separate, le loro terre confiscate e le loro case demolite.

Il sistema carcerario imposto da Israele non si manifesta solo nella segregazione fisica, ma in un insieme di leggi discriminatorie che regolano la vita quotidiana dei palestinesi. Mentre i cittadini israeliani godono di pieni diritti civili e tutele legali, i palestinesi vivono sotto un regime militare che controlla tutto, dall’accesso all’acqua e all’elettricità alla capacità di costruire o ristrutturare le proprie case. Questo sistema di repressione è progettato per disumanizzare i palestinesi e garantire la supremazia israeliana nei territori occupati.

La Striscia di Gaza è forse l’esempio più estremo della brutalità israeliana. Viene spesso descritta come la prigione a cielo aperto più grande del mondo e, purtroppo, il cimitero più grande del mondo per i bambini assassinati. Gaza è stata sottoposta a bombardamenti devastanti e a un blocco che limita l’accesso a beni essenziali come cibo, medicine e carburante. Più di due milioni di persone vivono in condizioni di estrema povertà, senza un adeguato accesso all’acqua pulita, al cibo e alle cure mediche. Le offensive militari israeliane contro Gaza, presentate come “operazioni di difesa” contro Hamas, sono in realtà attacchi indiscriminati che uccidono civili e distruggono infrastrutture critiche. Questa situazione ha generato un ciclo infinito di sofferenza e disperazione.

Complicità occidentale nell’occupazione palestinese

L’aggressione israeliana non potrebbe continuare senza il sostegno attivo della comunità internazionale occidentale, in particolare degli Stati Uniti e dell’Unione Europea. Gli Stati Uniti sono stati il ​​principale alleato di Israele sin dalla sua creazione, fornendo miliardi di dollari in aiuti militari ed economici. 

Il sostegno degli Stati Uniti a Israele non è solo economico; È anche politico. In numerose occasioni, gli Stati Uniti hanno posto il veto alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che condannavano l’occupazione e l’espansione degli insediamenti israeliani. Questa protezione politica ha permesso a Israele di agire impunemente, in violazione del diritto internazionale. L’Unione Europea, sebbene critica nei confronti dell’espansione degli insediamenti e delle violazioni dei diritti umani, continua a mantenere relazioni commerciali e politiche con Israele. Non imponendo sanzioni reali o sospendendo i propri accordi commerciali, l’Unione Europea, di fatto, sostiene l’occupazione.

Resistenza palestinese: una lotta per la dignità

Nonostante la brutalità del regime israeliano, il popolo palestinese ha dimostrato una resilienza incrollabile. Dalla Prima Intifada del 1987, quando i palestinesi si ribellarono contro l’occupazione con pietre e manifestazioni, all’attuale resistenza a Gaza e in Cisgiordania, il popolo palestinese ha combattuto con dignità e coraggio. Sebbene i media occidentali e il discorso mainstream abbiano tentato di dipingere questa resistenza come “terrorismo”, è essenziale riconoscere che la resistenza palestinese è un diritto legittimo ai sensi del diritto internazionale.

Il diritto alla resistenza è un principio sancito dalla Carta delle Nazioni Unite, che riconosce che ogni popolo sottoposto a occupazione ha il diritto di resistere. Per i palestinesi, questa resistenza non è solo una questione di sopravvivenza, ma di preservare la propria identità culturale e politica. Poeti, artisti, scrittori e attivisti hanno mantenuto viva l'identità del loro popolo nonostante gli sforzi israeliani di cancellarla.

Israele non può invocare l’autodifesa

Secondo il diritto internazionale, un paese che agisce come forza occupante, come nel caso di Israele nei territori palestinesi, non può invocare il diritto all’autodifesa contro le azioni di resistenza della popolazione occupata. Questo principio è stabilito nella Carta delle Nazioni Unite e nel diritto internazionale consuetudinario. L’autodifesa (articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite) si applica solo quando uno Stato è bersaglio di un attacco armato da parte di un altro Stato o di un attore non statale, ma non può essere utilizzata per giustificare atti commessi da un occupante in un territorio che ha stati presi illegalmente contrariamente al diritto internazionale.

Israele nei territori palestinesi è una potenza occupante grazie al controllo che esercita sui confini, sullo spazio aereo e marittimo di Gaza. Nel 2004, la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) ha emesso un parere consultivo confermando che l’occupazione e gli insediamenti israeliani in questi territori palestinesi violano il diritto internazionale, sottolineando ulteriormente che Israele non può invocare l’autodifesa in un territorio che occupa illegalmente.

Inoltre, il diritto internazionale umanitario riconosce il diritto dei popoli occupati a resistere, sia pacificamente che armati, in virtù del loro diritto all’autodeterminazione. Pertanto, quando una popolazione occupata resiste, la sua azione non può essere interpretata come un “attacco” che giustifichi una ritorsione in nome della legittima difesa da parte delle forze occupanti. L’occupazione, essendo di per sé una violazione della sovranità del popolo palestinese, trasforma la sua lotta contro l’aggressione in una legittima espressione del diritto all’autodeterminazione e alla resistenza contro l’occupazione.

Il futuro: giustizia o barbarie

Il futuro della Palestina è legato alla giustizia. Non ci sarà pace senza giustizia e non ci sarà giustizia senza la fine dell’occupazione israeliana, lo smantellamento del regime segregazionista e il pieno riconoscimento dei diritti del popolo palestinese, compreso il diritto al ritorno e all’autodeterminazione. 

La comunità internazionale ha la responsabilità morale di agire per porre fine all’occupazione e garantire giustizia al popolo palestinese. Le potenze occidentali, in particolare gli Stati Uniti e l’Unione Europea, devono porre fine al loro sostegno incondizionato a Israele e premere per una soluzione giusta ed equa. Il silenzio e l’inazione internazionale sono forme di complicità che perpetuano questa storica ingiustizia. 

La lotta del popolo palestinese è un imperativo morale che riguarda tutta l’umanità. La giustizia per la Palestina non è negoziabile; Costituisce una base indispensabile per la pace e la stabilità, sia nella regione che a livello globale. La comunità internazionale deve ascoltare la voce del popolo palestinese e lavorare per un futuro in cui i diritti umani e la dignità siano una realtà per tutti.

La scelta è chiara: andare verso la giustizia o accettare la barbarie. Scegliere la giustizia significa riconoscere la sofferenza del popolo palestinese e lavorare attivamente per smantellare le strutture di oppressione che la perpetuano. La storia ci insegna che l’indifferenza e l’inazione non fanno altro che aggravare le ingiustizie esistenti. In definitiva, la lotta per la giustizia in Palestina è un riflesso della nostra lotta condivisa per un mondo più giusto e compassionevole. È un invito all’azione che risuona in tutti noi, ricordandoci che la dignità umana è un diritto inalienabile. 

Guardando al futuro, dobbiamo ricordare che il percorso verso la giustizia è un processo continuo. Ogni passo che facciamo, non importa quanto piccolo, contribuisce a un cambiamento più grande. La speranza per un futuro in cui la Palestina e i suoi cittadini possano vivere in libertà e dignità non è solo un sogno; È un obiettivo raggiungibile se lavoriamo insieme con determinazione e fermezza. La storia ci osserverà, ed è nostra responsabilità garantire che, quando guarderanno indietro, siamo riconosciuti per il valore dell’azione e per la costante ricerca di un mondo più giusto in cui i palestinesi possano vivere in pace e libertà.

(In memoria di tutte le ragazze e i ragazzi palestinesi assassinati dalle bestie sioniste dello Stato di Israele)

⃰ Professore ordinario, UNAN Managua


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Fonte: Rebelión

Autore: Edgar Palazio Galo

Articolo tratto interamente da Rebelión


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