lunedì 4 marzo 2024

Le condizioni di lavoro nell’edilizia in Italia



Articolo da Il Manifesto in rete

Ad alcuni giorni dal tragico incidente nel cantiere chiamiamolo nuova Esselunga di Firenze, in cui hanno perso la vita cinque operai, e tre sono rimasti gravemente feriti, facciamo un sintetico quadro di quanto è emerso sinora. Quadro che mostra bene come si lavora in edilizia in Italia. 

Sulle cause del crollo della grande trave che ha schiacciato le vittime saranno le indagini della magistratura a dire se c’è stato un cedimento strutturale o altra causa fisica, o se ci sono stati errori nell’allestimento. Secondo quanto riferiscono alcuni operai, i lavori sotto la trave crollata sarebbero iniziati quando ancora si stava lavorando di sopra; quindi, a trave forse non del tutto sistemata. Perché?  Perché bisognava fare presto, i lavori a quanto pare erano in ritardo rispetto ai tempi previsti di realizzazione dell’opera (che significa ritardo nell’apertura del supermercato). E alle riserve avanzate da qualche lavoratore sull’opportunità di lavorare in piano a lavori di sopra ancora in corso, sarebbe stato risposto che diversamente poteva anche accomodarsi ed andarsene a casa. 

Se è così, quand’anche il cedimento fosse stato strutturale, ci sarebbero stati dei comportamenti umani che, ancora una volta e come accade nella stragrande maggioranza dei casi, se non hanno provocato l’infortunio quantomeno ne hanno aggravato le conseguenze

Nel cantiere operavano alcune decine di imprese, da 30 ad oltre 60, benché l’importo dei lavori fosse di 35 milioni. Che le imprese fossero tante è consentito dalle norme sugli appalti privati, possibili ”a cascata”, cioè nei quali, a differenze di quelli pubblici, appalti e subappalti sono completamente liberalizzati;  e per carità di patria lasciamo perdere le asserite richieste dell’Europa che qualche acuto politico ha tirato in ballo (anche perché non di tutte tali richieste l’Italia è solerte e tempestiva esecutrice); si tratta di una precisa scelta: “Non bisogna disturbare coloro che fanno” disse poco dopo la nomina l’attuale Presidente del Consiglio, e così coerentemente fa questo governo (ma, ahinoi, le differenze con gli altri che l’hanno preceduto sono minori di quel che si pensa). Neppure il numero delle imprese appaltatrici e subappaltatrici è certo, il che la dice lunga sull’organizzazione del cantiere, organizzazione che è però la norma.  Magari emergerà che alcune imprese erano imprese artigiane con un unico titolare; imprese formalmente autonome, con il titolare imprenditore di sé stesso, salvo scoprire magari che non solo non aveva alcuna specializzazione (specializzazione che legittimerebbe la qualifica di artigiano), ed era pagato da un unico committente dietro presentazioni di fatture mensili per il medesimo importo. Di sicuro, per ogni gradino di appalti e subappalti si restringono i margini di profitto per l’impresa, e quindi i costi vanno compressi il più possibile: e più è piccola l’impresa appaltatrice, più l’unico modo per farlo è comprimere le retribuzioni, aumentare lo sfruttamento, accelerare i tempi, e tanti saluti alla sicurezza ed ai suoi costi/investimenti. Infatti, a quanto pare parte della retribuzione era pagata in nero, risparmiando così su contributi previdenziali ad INPS e Casse Edili, e premi assicurativi all’INAIL, oltre che sottrarre quote IRPEF al Fisco. Ci sono poi diffuse voci, ovviamente pressoché impossibili da verificare, sul fatto che per affidare un subappalto l’impresa che sta ai livelli superiori della piramide pretenda con apprezzabile frequenza una sorta di pizzo (in nerissimo …) da quella subappaltatrice, come compenso per averla scelta. 

I lavoratori occupati nel cantiere erano per lo più stranieri, come le quattro vittime, come peraltro accade normalmente, e non da oggi, nell’edilizia; lavoro pesante, ingrato, rischioso, tendenzialmente per natura precario e a termine, che gli italiani evitano quando possono. Emerge che alcuni di questi lavoratori potrebbero non essere in regola con il permesso di soggiorno; se fosse stato così, non avrebbero potuto essere neppure assunti regolarmente, ma c’erano e lavoravano. Ed è facilmente immaginabile quanto fragili e ricattabili siano costoro, e a quali condizioni siano disposti a lavorare, tutti i lavoratori stranieri, i cui permessi di soggiorno sono legati ad un contratto di lavoro: perso il lavoro, dopo qualche tempo scade il permesso di soggiorno, e si finisce in una clandestinità combattuta a parola, ma nei fatti tollerata quando non incoraggiata perché funzionale a crociate politico mediatiche da un lato, e a precisi interessi economici di tanta imprenditoria un po’ stracciona purtroppo assai diffusa in questo paese…  

C’è poi voluto tempo per identificare i lavoratori, benché sia le norme sugli appalti in generale, sia quelle sugli appalti in edilizia, prescrivono che ogni lavoratore debba avere un cartellino cartaceo di riconoscimento, con eventuale mancanza sanzionata. Non ha bisogno di spiegazioni la dubbia efficacia di un cartellino cartaceo, e non elettronico come da tempo chiedono inutilmente i sindacati degli edili; ma immaginate che complicazione per le imprese edili, specie quelle micro, dotarsene, avrà premurosamente pensato chi governa(va), quindi non se ne farà ancora nulla, temo, chissà per quanto.  Alcuni lavoratori erano residenti addirittura in altre regioni, con i familiari che neppure sapevano lavorassero lì: luminoso esempio della flessibilità di cui qualche politico si vanta di aver assicurato al sistema produttivo. Incidentalmente, sarebbe interessante sapere a quale Cassa Edile erano iscritti costoro, se iscritti (le Casse Edili sono organismi bilaterali istituiti e finanziati da datori di lavoro e sindacati a base provinciale, che assicurano alcune prestazioni integrative alla retribuzione, ad esempio per le giornate in cui non si lavora causa maltempo). 

Altri lavoratori sarebbero stati assunti con il contratto dei metalmeccanici: meglio che niente, si dirà. Peccato che, ovviamente, il contratto dei metalmeccanici non preveda alcuna formazione obbligatoria specifica per lavorare in un cantiere, e lo dice anche la presidente dell’ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili) Federica Brancaccio che la formazione ad hoc nei cantieri serve quale che sia il contratto applicato collettivo. Ma per quanto esposto sopra, c’è da dubitare che anche i lavoratori inquadrati come edili avessero ricevuto formazione idonea, o una qualsiasi formazione.  

Bene, (anzi, male), tutto ciò premesso, cosa si potrebbe, anzi si sarebbe potuto e dovuto fare per ovviare a situazioni di questo genere? Diamo un minimo di ipotetiche soluzioni per limitarci al settore edile: 

  • Applicare e soprattutto far funzionare la specifica normativa sui cantieri temporanei e mobili (…), rendendo possibili i controlli 
  • Rivedere la normativa su appalti e subappalti – basta appalti a cascata, occorrono limiti e condizioni, sul modello di quel che è già previsto negli appalti pubblici – e rafforzare le forme di responsabilità solidale di committenti e appaltanti 
  • Rafforzare numericamente e riqualificare la vigilanza, con in più obbligo di tesserini di riconoscimento elettronici che possano tracciare i lavoratori 
  • Migliorare la formazione e vigilare sui relativi obblighi (vedremo il nuovo, emanando Accordo stato regioni) 
  • Qualificare le imprese (per quanto sotto questo termine possono esservi idee molto diverse sulla qualità), ed introduzione di una patente a punti “seria” (sulla quale pure abbiamo concetti e uso diversi). 

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Fonte: Il Manifesto in rete 

Autore: 
Maurizio Mazzetti

Licenza: Creative Commons (non specificata la versione

Articolo tratto interamente da Il Manifesto in rete


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