sabato 11 marzo 2023

Praticare la gentilezza



Articolo da La chiave di Sophia

Viviamo nell’epoca dell’individualismo, in cui ciascuno di noi pone i propri bisogni e desideri in primo piano. Portato all’estremo, questo interesse limitato all’Io, porta a mettere fra parentesi l’Altro, rischiando di relegarlo a una posizione di ostacolo per i propri interessi. Il fenomeno che vede sempre più a rischio le relazioni, di qualsiasi tipo esse siano, a causa di questa tendenza sociale è stato molto studiato. Tra i contributi più influenti troviamo il discorso tenuto da George Saunders, scrittore e saggista statunitense, ai neolaureati della Syracuse University. Questo discorso è stato pubblicato in seguito e il suo titolo rende chiaramente l’idea che l’autore sostiene: L’egoismo è inutile – Elogio alla gentilezza. Superfluo dire quanto le sue parole costituiscano una lezione fondamentale per tutti noi, da ascoltare e condividere.

Seguiamo passo dopo passo l’intero discorso. Innanzitutto, in ognuno di noi c’è una tendenza – una malattia, per usare il termine che preferisce Saunders – che è l’egoismo. La stessa tradizione filosofica ci ha parlato di quest’ultimo: Hobbes, per esempio, afferma che gli interessi di ciascuno di noi sono diversi da quelli degli altri e, dunque, siamo portati a metterci in primo piano, attuando atti di egoismo. Tendiamo (se naturalmente o non e quanto frequente sono questioni molto discusse) all’egoismo, al bellum omnium contra omnes, per difendere i nostri interessi e farli prevalere. Per questa malattia esiste, però, una cura: la gentilezza.

Indipendentemente dalla nostra natura, che sia di homo homini lupus (“l’uomo è un lupo per l’uomo” hobbesiano) o zoon politikon (“animale politico” aristotelico) – ovvero: sia che la nostra natura tenda all’egoismo sia che tenda alle relazioni con gli altri – potrebbe ritessi necessario attuare la cura, ovvero una gentilezza che consista di atti di aiuto e altruismo verso gli altri. Non si tratta di dover mettere tra parentesi il nostro io, autocausandoci danni o autoponendoci in difficoltà. Si tratta, piuttosto, di trovare un equilibrio e, pur tenendo in grande considerazione il nostro benessere, porre attenzione alle necessità altrui e mettere in atto una gentilezza che ci richiede di non rimanere neutrali di fronte alla sofferenza altrui, o alle esigenze altrui. Si tratta di rispondere all’appello a cui ci richiama il volto dell’Altro, usando un’espressione di Levinas. Questo giova anche alla nostra coscienza, poiché non reagire di fronte alla sofferenza altrui potrebbe portarci al pentimento causato dal non avere agito per l’Altro.

Vediamo l’esempio pragmatico di Saunders. L’autore si chiede: “Se guardi indietro, che cosa ti dispiace?” Ci racconta che, in seconda media, arrivò nella sua classe una nuova compagna, Ellen. Quando era nervosa, Ellen si metteva una ciocca di capelli in bocca e la masticava. I compagni molto spesso la prendevano in giro e Saunders, ora cresciuto, si pente di non essere mai intervenuto. La reazione di lei alle prese in giro era chiara: rimaneva a occhi bassi, rannicchiata, quasi volesse sparire dopo le offese ricevute. Era come se le parole negative altrui le ricordassero il posto che le apparteneva, un posto nascosto, non tra la gente, un posto in cui nessuno la potesse e dovesse guardare. Dopo poco, lei traslocò e Saunders non l’ha più vista. Dopo quarantadue anni, lui si pente non perché abbia compiuto del male, ma perché non è stato gentile. Si pente di tutte le volte in cui, e questa era una di quelle, la sofferenza altrui era davanti ai suoi occhi e lui ha reagito con neutralità.

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Fonte: 
La chiave di Sophia

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Articolo tratto interamente da La chiave di Sophia


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