Articolo da OggiScienza
AMBIENTE – C’è un’estinzione di massa in corso: la sesta. Dopo quella dell’Ordoviciano (450 milioni di anni fa), del Devoniano superiore (375), del Permiano (250), del Triassico (200) e del Cretaceo (66). Un vero e proprio “sterminio biologico”. A usare questa forte espressione sono i ricercatori delle Università di Stanford e di Città del Messico, autori dello studio pubblicato su Pnas.
Firmato da Gerardo Ceballos, Paul R. Ehrlich e Rodolfo Dirzob, il lavoro è frutto di un’ampia analisi basata su un campione di 27.600 tra mammiferi, uccelli, rettili e anfibi, cioè quasi la metà di tutti i vertebrati noti e censiti dall’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura (IUCN). Di 8.851 specie – ovvero il 32% – si sta riducendo sia il numero di esemplari che il relativo habitat. Un risultato sorprendente e preoccupante allo stesso tempo, ben più alto del previsto, riguardante persino gli animali ritenuti a basso rischio (come la rondine comune o il giaguaro).
In sostanza, il 50 percento delle specie che condividevano la Terra con l’uomo si sono già estinte e molte altre rischiano di fare la stessa fine. Il ritmo è stato di due in meno all’anno nel corso del Novecento, mentre nel corso dei prossimi secoli i 3/4 del totale potrebbero svanire. Basti pensare al leone, che dal 1993 a oggi ha visto un calo della popolazione pari al 43%.
Gli scienziati si sono poi focalizzati su 177 tipi di mammiferi di cui si conoscono dati dettagliati, così da esaminarne i tassi di estinzione nell’arco di tempo che va dal 1900 al 2015. Di questi animali, tutti hanno perduto almeno il 30% dei territori occupati, mentre oltre il 40% di essi ha subito un forte declino della popolazione (superiore all’80%). Particolarmente colpiti quelli di sud e sud-est asiatico: qui tutte le grandi specie analizzate hanno perso più dell’80% del loro habitat.
Cifre impressionanti, che smentiscono la sbagliata percezione collettiva del fenomeno, secondo la quale non vi sarebbe una minaccia imminente per la fauna, ma solo una incipiente e lenta perdita di biodiversità. L’equipe invece punta il dito verso la “massiccia erosione antropogenica” di quest’ultima e “dei servizi ecosistemici necessari per la civiltà”.
La velocità del fenomeno è infatti di circa cento volte maggiore a quella che avrebbe in natura, accelerata da frammentazione e distruzione degli habitat (dovuti all’aumento della popolazione, con sempre più terre dedicate a colture e pascoli), bracconaggio (il cui mercato nero è in crescita) e cambiamenti climatici (favoriti da immissioni che contribuiscono all’effetto serra).
Tale allarme è corroborato da quello recentemente lanciato dal WWF, secondo cui dal 1970 al 2012 si è perso il 58% della fauna dei vertebrati. Ad esempio: quasi il 70% degli elefanti di foresta africani è scomparso in poco più di 10 anni e ai 400mila restanti – se si continuasse a decimarli con lo stesso andamento – resterebbe un ventennio soltanto.
Quanto all’Italia, oltre il 50% degli squali mediterranei sono a rischio, dell’orso marsicano restano poco più di 50 esemplari sugli Appennini, mentre sulle Alpi si conta una decina di coppie di gipeti. Segnali altrettanto scoraggianti.
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Fonte: OggiScienza
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Un articolo che nom mi sorprende purtroppo
RispondiEliminaLa dura realtà è sotto gli occhi di tutti.
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