mercoledì 10 dicembre 2025

Dal rame all’oro: città nate dalle miniere, oggi segnate dal declino



Articolo da Storie in Movimento

Il numero 68 di «Zapruder», “Il capitale sottostante. Realtà e immaginario della miniera” emergerà in superficie a giorni, e per accompagnare la sua risalita abbiamo chiesto un contributo a Iva Peša. Se l’ambiente minerario è – quasi per definizione – spesso celato agli occhi, sia il numero sia questo contributo cercano di mostrarne la materialità quotidiana. In questo caso, a partire dalle immagini di Danny Chiyesu e Madoda Mkhobeni, che ritraggono scene di città e quartieri minerari nell’Africa meridionale.

Sin dagli esordi dell’estrazione industriale delle risorse nell’Africa meridionale, le miniere hanno trasformato ambienti e mondi di vita. Johannesburg fu costruita grazie all’attività mineraria dopo la corsa all’oro del 1886 e la Copperbelt zambiana, fulcro regionale, trasse il proprio nome e la propria identità dalle miniere di rame. L’estrazione avviò potenti «aspettative di modernità», come le definì James Ferguson (1999). Minatori, loro familiari e una popolazione eterogenea attratta dalle promesse di ricchezza si radunarono e si stabilirono attorno ai siti minerari, dando vita a vivaci centri urbani. Ma come appaiono oggi questi luoghi dell’estrazione nell’Africa australe, dopo oltre un secolo di attività mineraria intensiva? Se da un lato le comunità che vivono nei pressi delle miniere continuano a sperare in uno sviluppo trainato dal settore estrattivo, dall’altro risultano altrettanto diffuse realtà di declino industriale, inquinamento tossico e conflittualità sociale.

Attraverso cinque immagini dell’artista zambiano Danny Chiyesu (Mission press, Ndola) e del fotografo sudafricano Madoda Mkhobeni (Market photo workshop, Johannesburg), questo saggio indaga in che modo le eredità del colonialismo e del capitalismo modellino le esperienze vissute delle comunità minerarie nel presente. Le immagini mettono in risalto la devastazione ambientale provocata dall’estrazione, ma mostrano anche come gli individui abbiano creato forme di comunità e appartenenza in paesaggi tossici. Il saggio si concentra sull’estrazione del rame nella cittadina zambiana di Mufulira e sulle eredità della produzione aurifera a Johannesburg, evidenziando notevoli parallelismi e differenze nei percorsi di crescita e declino dell’attività mineraria.

Questa collaborazione è parte del progetto Environmental histories of resource extraction in Africa. Da una prospettiva storica, intendiamo comprendere come le persone che vivono nei pressi di miniere e pozzi petroliferi in Sudafrica, Zambia e Nigeria interpretino le trasformazioni ambientali (si veda anche Peša 2023). Se archivi, interviste di storia orale, poesia e musica costituiscono eccellenti fonti per cogliere percezioni ambientali e forme di consapevolezza riguardo all’inquinamento, non di rado le persone faticano a tradurre in parole cambiamenti lenti e complessi dei loro ambienti. Concentrarsi sulle dimensioni visive del cambiamento ambientale attraverso la fotografia ci ha consentito di approfondire la riflessione nelle interviste orali (Peša et al. 2024). In questo saggio, sono proprio le fotografie il punto di partenza, ancorando il racconto storico.

Per sfruttare in modo profittevole le risorse minerarie nell’Africa australe agli inizi del XX secolo, le compagnie minerarie coloniali necessitavano non solo di capitale, ma soprattutto di grandi masse di lavoratori. Scavare pozzi, frantumare rocce e trasportarle in superficie dipendeva in larga misura dal lavoro manuale, in particolare fino agli anni Quaranta. Dopo la corsa all’oro del 1886, Johannesburg crebbe a un ritmo vertiginoso: dai 100.000 abitanti nel 1896 raggiunse 1 milione nel 1955, e oggi l’area urbana conta oltre 6 milioni di residenti. Anche le miniere di rame zambiane attrassero rapidamente centinaia di migliaia di persone, alimentando dibattiti accademici sulla natura dell’urbanizzazione (migrazione circolare del lavoro vs. urbanizzazione permanente, cfr. Larmer et al. 2021).

Dal punto di vista della gestione mineraria coloniale, queste persone erano innanzitutto una “forza lavoro”. L’alloggio doveva quindi essere temporaneo, orientato il più possibile a uomini soli, scoraggiando vita familiare e insediamento stabile. Tuttavia, gli insediamenti minerari attrassero rapidamente una popolazione varia e dinamica di commercianti, insegnanti, agricoltori e intrattenitori (Mususa e Peša 2023). Essi resero ben presto proprie queste città, garantendo che Johannesburg e Mufulira non fossero meri poli estrattivi, ma luoghi da poter chiamare casa, pur in circostanze spesso oppressive (Van Onselen 1982; Bonner e Nieftagodien 2008).

La prima fotografia mostra come la miniera di Mufulira faccia da sfondo alla vita quotidiana. Venditori ambulanti offrono pomodori lungo la strada, persone camminano e pedalano, i chioschi di mobile money facilitano le transazioni economiche. Ma la scena rivela anche le delusioni dello sviluppo minerario: mentre negli anni Trenta e Quaranta l’estrazione del rame permise l’elettrificazione delle abitazioni degli europei, oggi gli abitanti di Mufulira convivono con blackout quotidiani e cucinano ancora prevalentemente a carbone. E le strade asfaltate fungono ormai da percorso soprattutto per pedoni e ciclisti, più che per camion minerari, automobili e minibus (Peša e Henriet 2021). La fotografia cattura in modo eloquente come, in molte località minerarie quali Mufulira, le promesse di una modernità trainata dall’attività estrattiva si siano rivelate un miraggio.

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Autore: Iva Peša

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Articolo tratto interamente da Storie in Movimento


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