Articolo da Italia che Cambia
La notizia che Donald Trump ha deciso di non concedere ai cittadini delle Bahamas sfollati dall'uragano Dorian lo status temporaneo di soggiorno apre a riflessioni e interrogativi più ampi. Le migrazioni di masse saranno infatti sempre più frequenti con l'aggravarsi di una crisi climatica che, come ormai evidente a molti, non può essere slegata dalla profonda crisi sociale in atto. Siamo nel bel mezzo di una crisi sistemica, una “tempesta perfetta”. Come uscirne?
Qualche giorno fa
Donald Trump, intervistato da un
reporter di fronte alla Casa Bianca, ha indirizzato la sua quotidiana
dose di odio contro gli sfollati che fuggivano alla furia devastatrice
dell’uragano Dorian per trovare riparo negli Stati Uniti: “Non voglio
permettere a persone che non dovrebbero nemmeno trovarsi nelle Bahamas –
ha affermato – di venire negli Stati Uniti, comprese alcune persone
molto cattive pericolosi membri di gang e spacciatori”.
Il giorno precedente era scoppiata la polemica quando 119 sfollati
non erano potuti partire con un traghetto che da Freeport li avrebbe
portati a Fort Lauderdale, in Florida, perché privi di visto per gli
Stati Uniti. Il giorno successivo invece, alle dichiarazioni del
Presidente sono seguiti i fatti: gli Stati Uniti – ha riferito a NBC
News un funzionario dell’amministrazione – hanno deciso di non concedere
ai cittadini delle Bahamas sfollati dall’
uragano Dorian
lo status temporaneo di soggiorno, che consentirebbe loro di lavorare e
vivere negli Stati Uniti fino a quando non sarà ritenuto sicuro tornare
a casa. Poco importa se Grand Bahama, l’isola principale
dell’arcipelago, è completamente rasa al suolo e centinaia di persone
non sanno dove dormire.
Al di là dello sdegno che può generare l’atteggiamento incurante e un
tantino spaccone del presidente Usa di fronte a catastrofi di questa
portata, la notizia apre a riflessioni e domande ben più ampie. I
cambiamenti climatici e più in generale la crisi ecologica in corso
causeranno
eventi catastrofici sempre più frequenti e
renderanno intere aree del pianeta non più abitabili: di conseguenza le
migrazioni di massa saranno sempre più numerose e frequenti.
Secondo l’IPCC, il panel internazionale che studia i cambiamenti climatici, ciò che ci aspetta da qui al 2050 sarà la
migrazione di almeno 200 milioni di persone
a causa del surriscaldamento globale. Come pensano i paesi più ricchi
di fronteggiare questa crisi? Quali politiche si stanno attuando a
livello mondiale per limitarne gli effetti? Come si può immaginare le
risposte a queste domande sono piuttosto desolanti.
E l’uragano Dorian non è certo il primo caso in cui un evento
naturale mette allo scoperto la ferita purulenta dell’apartheid
climatico. In un rapporto uscito nel giugno scorso, Philip Alston,
relatore speciale delle Nazioni Unite sull’
estrema povertà e diritti umani,
cita un altro caso indicativo: “Quando l’uragano Sandy ha causato il
caos a New York nel 2012, lasciando i newyorkesi a basso reddito e più
vulnerabili senza accesso alla corrente elettrica e all’assistenza
sanitaria, il quartier generale di Goldman Sachs è stato protetto da
decine di migliaia di sacchi di sabbia e alimentato dall’energia dal suo
generatore”.
Secondo Alston l’
apartheid climatico è uno scenario
“in cui i ricchi pagano per sfuggire al surriscaldamento, alla fame e ai
conflitti mentre il resto del mondo è lasciato a soffrire”. Ed è quello
che sta succedendo. I paesi più poveri sopporteranno circa il 75% dei
costi della crisi climatica nonostante la metà più povera della
popolazione mondiale sia responsabile solamente del 10% delle emissioni
di anidride carbonica.
In questo scenario, sempre secondo Alston, “la democrazia e lo stato di diritto, nonché una vasta gamma di
diritti civili e politici
sono tutti a rischio. Il rischio di malcontento della comunità, di
crescente disuguaglianza e di livelli ancora più elevati di privazione
tra alcuni gruppi, probabilmente stimolerà le risposte nazionaliste,
xenofobe, razziste e altre. Mantenere un approccio equilibrato ai
diritti civili e politici sarà estremamente complesso”.
Che la crisi ambientale non possa essere slegata dalla
crisi sociale, e che dunque, come
ci ricorda Guido Viale su Comune-Info,
“la salvaguardia e il rispetto della Terra, non può essere disgiunta
dalla giustizia sociale, cioè dal riscatto degli oppressi, degli
sfruttati e degli esclusi” è ormai evidente a molti, dai movimenti come
Fridays for Future e Extinction rebellion, ad alcuni esponenti politici
di spicco come Alexandria Ocasio-Cortez e Bernie Sanders, a Papa
Francesco che aveva posto questo nesso al centro della sua enciclica
Laudato si’. Non ha più senso parlare di diritti sociali e umani senza
inserirli nel contesto di crisi climatica in atto. E a ben vedere non lo
ha mai avuto, visto che in quel sistema estremamente complesso chiamato
mondo che si trova attorno a noi, tutto è collegato con tutto e ha
effetti su tutto.
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Fonte: Italia che Cambia
Autore: Andrea Degl'Innocenti
Licenza: Copyleft 
Articolo tratto interamente da Italia che Cambia