martedì 29 maggio 2018

Il viaggio della speranza



Articolo da Progetto Melting Pot Europa 

Immagino mio zio imbarcarsi sulla nave che lo porterà in America, pronto per il famoso viaggio della speranza.
Spostarsi dalla Calabria. Quest’ultima rea confessa, spesso, di essere la punta dello stivale che schiaccia la spina dorsale delle ambizioni e della vita.
Lo vedo salutare lo scirocco con gli occhi lucidi prima di essere avvinghiato dal gelido e tagliente vento di Ellis Island.
Lo immagino partire per arrivare a Napoli e, da lì, prendere posto sulla nave Conte di Savoia.
Direzione New York.
Siamo nel 1932, esattamente il 19 Novembre.
Arriverà in territorio americano un mese e mezzo dopo, il 1 Gennaio 1933.
Lui insieme ad altri 585 passeggeri.
Stretti come sardine, relegati in mezzo a topi e feci.
Rosari o coppole in mano, sguardo fermo che tradisce emozione e paura, voglia di essere liberati dal mostro di ferro che salpa le onde.
Ragazzini, adulti, donne. Famiglie intere.
Mio zio è partito a ventinove anni, non è più tornato.
E’ stato smistato in quarantena, visionato attentamente dai liberisti americani, lasciato un po’ a mollo come una spugna e poi catapultato a New York.
Lui è uno che ce l’ha fatta. Quelli che, dalle nostre parti, si chiamano vincitori.
Uomini per bene che, spinti dalla più impellente necessità, devono emigrare e costruirsi un futuro dal nulla. Non diversi, insomma, dal senegalese che giunge in Italia.
Dopo gli inizi come manovale, muratore, lavandaio e minatore, è riuscito a stringere i denti, serrare le nocche dei pugni e non mollare.
Non è stato schiacciato dalla povertà, non è stato sommerso dal razzismo quotidiano degli americani.
Ne ha mangiato di pane ammuffito, certo. Ma poi è riuscito a mangiarne anche di buono.
Mio zio è uno che ce l’ha fatta nonostante lo status d’italiano. Nonostante fosse, per giunta, meridionale. Addirittura con l’aggravante di essere calabrese. Perfino reggino. Neanche della città, ma di un paesino di provincia sperduto.
Un po’ come il keniota che giunge dalla periferia più misera e miserabile di Nairobi.

Ha potuto permettere gli studi a suo figlio, ha potuto permettergli di diventare un diplomatico di primissimo livello mandato dal Governo degli Stati Uniti d’America in Ethiopia, Addis Abada, Monrovia, Calcutta e Milano.
Noi italiani siamo un popolo che va via dal proprio Paese, siamo popolo di emigranti. Lo siamo stati, lo siamo e sempre lo saremo.
E’ per questo che fare del razzismo verso chi giunge sul nostro territorio è irrispettoso verso lo zio andato in America, il nonno in Germania oppure in Argentina. E’ sciocco, senza alcun senso.
E’ fare del razzismo verso noi stessi in primis.

Al 1 Gennaio 2017 gli italiani sparsi nel mondo erano tantissimi: 4.973.942 per l’esattezza.
L’8,2% sulla popolazione totale residente in Italia.
+ 162.779 rispetto all’anno prima (+0,3%).
Un numero, quindi, in progressivo aumento.

Un numero elevatissimo, in continua evoluzione, a testimonianza di come il nostro sia un Paese sia di immigrazione, ma anche di emigrazione.

Solo nel 2016 sono 124.076 le iscrizione all’AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero).

Se i dati dell’emigrazione italiana verso l’estero vengono comparati a quelli dell’immigrazione verso l’Italia, sorge spontanea una considerazione:
i partenti dall’Italia aumentano, gli arrivi diminuiscono.
Di questo passo l’Italia è destinata a svuotarsi, come testimoniano le previsioni che attestano la popolazione italiana nel 2081 pari a 53 milioni e mezzo.

In questo contesto appare altresì chiaro come i respingimenti in mare, l’accordo italiano con la Libia, rischino seriamente di essere un boomerang per l’Italia stessa. Anche perché all’orizzonte non si intravedono politiche che rivedano le modalità di ingresso regolare in Italia, come ad esempio i decreti flussi.

Inoltre, per la prima volta, il numero degli italiani all’estero è praticamente uguale al numero degli stranieri in Italia: nel 2017, i cittadini stranieri in Italia sono 5.047.028, gli italiani all’estero 4.973.942.
Differenza minima: 73.086 unità.


Domanda spontanea: possiamo avallare lo slogan "Italia agli italiani" quando siamo proprio noi che andiamo via a cercare fortuna?
Cerchiamo fortuna prevalentemente in Europa [1], in America ed in Oceania.

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Fonte: Progetto Melting Pot Europa 

Autore: 
Pietro Giovanni Panico

Licenza: Creative Commons (non specificata la versione


Articolo tratto interamente da Progetto Melting Pot Europa



2 commenti:

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