mercoledì 18 aprile 2018

La storia di Tina Merlin: partigiana, scrittrice e giornalista coraggiosa



Articolo da Enciclopedia delle donne

Chi legga La casa sulla Marteniga, l’autobiografia di Clementina (Tina) Merlin, pubblicata postuma nel 1993 e si addentri nella piccola proprietà di Santa Tecla «a metà di una larga vallata nel mezzo di un anfiteatro di colline e montagne»[1] sa che quel mondo è cambiato. La guerra ha portato miseria e lutti, orrori per una bambina, più tardi adolescente, difficilmente dimenticabili. Nata a Trichiana, provincia di Belluno, nel 1926, da Cesare, muratore ed emigrante, e Rosa Dal Magro, contadina, Tina Merlin è la più giovane di otto fratelli. È una bambina sveglia e nel pomeriggio oltre che andare a servizio a casa delle famiglie benestanti del paese, svolge alcuni lavori nei campi. «Per “lavorare” s’intendeva tutto ciò che non riguardava l’interno della casa: il bucato, le pulizie, i pasti.

Queste erano occupazioni normali per le donne, “Lavorare” era il resto: pascolare la mucca, barellare il letame dalla concimaia al campo, rastrellare il fieno, zappare, vendemmiare e pestare con i piedi nudi l’uva nei tini»[2]. Ha soltanto dodici anni quando si trasferisce a Milano con la sorella Ida, che già conosce quella realtà, per lavorare come domestica e bambinaia. «Da piccola ho molto desiderato essere un maschio per venire maggiormente considerata dai miei genitori e dalla gente. Rimuginavo spesso tra me, su queste differenze che ci attribuivano costringendoci a farci sentire, noi ragazze, inferiori ai fratelli»[3]. Non ci sono soltanto le ingiustizie e le umiliazioni da parte dei padroni, a Milano cominciano i bombardamenti. E le morti non sono solo tra i soldati. Così Tina fa ritorno a casa.

Quando nell’autunno del 1943 le truppe tedesche occuparono la provincia, Tina Merlin aveva diciassette anni. Le ragioni che la portarono a entrare nella Resistenza furono diverse: l’istintiva coscienza di classe, ad esempio, e, naturalmente, una serie di richiami a principi cristiani con cui è cresciuta come l’aspirazione alla pace, al lavoro, alla giustizia e a una maggiore dignità nello Stato.

Nel luglio del 1944 segue l’esempio del fratello Toni, che dopo l’8 settembre organizza la resistenza insieme ad altri giovani del paese. Come l’amica Wilma, Tina Merlin è staffetta partigiana nella brigata 7° Alpini e consumerà la propria bicicletta girando da un avamposto all’altro. È subito dopo la guerra di liberazione che Tina (chiamata Joe nella clandestinità) scopre l’amore con il compagno partigiano Aldo Sirena (Nerone) che sposa nel 1949 e dal quale avrà un figlio, Toni, nel 1951.

Negli stessi anni comincia l’attività giornalistica, a dispetto della madre, dopo aver vinto il secondo premio ad un concorso indetto da «l’Unità». Tanto ama scrivere che esordisce nel 1957 anche come scrittrice traducendo l’esperienza resistenziale in Menica. Negli anni ’60 la sua penna giornalistica si lega indissolubilmente alla tragedia del Vajont. Per i suoi articoli di denuncia della situazione pericolosa connessa all’avanzare dei lavori di costruzione della diga già nel 1959 viene processata e poi assolta dal Tribunale di Milano per «diffusione di notizie false e tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico».

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Fonte: Enciclopedia delle donne

Autore: 
Anna Minazzato

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Articolo tratto interamente da 
Enciclopedia delle donne 


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