giovedì 23 novembre 2017

La storia di Ipazia



Articolo da Enciclopedia delle donne

Alla morte del padre Teone, matematico-astronomo, Ipazia ne eredita legittimamente il posto a capo della scuola neoplatonica d’Alessandria. Invece non prende marito, sentendosi già «sposata alla verità». I suoi scritti sono andati perduti, ed è difficile ricostruirne il pensiero; sono piuttosto le testimonianze dei contemporanei a dare notizia della sua fama. Sinesio, lo studente venuto da Cirene e futuro vescovo di Tolemaide la chiama «madre, sorella, maestra e benefattrice», e le fonti la ritraggono come una scienziata e filosofa dai talenti insoliti che partecipa attivamente alla vita politica: «Per la magnifica libertà di parola e di azione che le veniva dalla sua cultura, accedeva in modo assennato anche al cospetto dei capi della città e non era motivo di vergogna per lei lo stare in mezzo agli uomini: infatti, a causa della sua straordinaria saggezza, tutti la rispettavano profondamente e provavano verso di lei un timore reverenziale», lo scrive Socrate Scolastico.

A un secolo di distanza Damascio , che pure la considera «inferiore in quanto donna» e quindi inadatta alla filosofia, esprime lo stesso giudizio: «di natura più nobile del padre, non si accontentò del sapere che viene attraverso le scienze matematiche a cui era stata introdotta da lui ma, non senza altezza d’animo, si dedicò anche alle altre scienze filosofiche. La donna, gettandosi addosso il mantello e uscendo in mezzo alla città, spiegava pubblicamente a chiunque volesse ascoltarla Platone o Aristotele o le opere di qualsiasi altro filosofo… era pronta e dialettica nei discorsi, accorta e politica nelle azioni, il resto della città a buon diritto la amava e la ossequiava grandemente, e i capi, ogni volta che si prendevano carico delle questioni pubbliche, erano soliti recarsi prima da lei, come continuava ad avvenire anche ad Atene. Infatti, se lo stato reale della filosofia era in completa rovina, invece il suo nome sembrava ancora essere magnifico e degno di ammirazione per coloro che amministravano gli affari più importanti del governo».

Se poco si sa della vita di Ipazia, non mancano i dettagli circa la sua morte. La distruzione dei templi ellenici voluta dall’imperatore Teodosio I (al tramonto del IV secolo) è messa diligentemente in atto dal vescovo Teofilo. Questo attacco così altamente simbolico, è seguito da un breve periodo di tregua, che vede Ipazia ancora libera e influente. A Teofilo, morto nel 412, succede il nipote Cirillo, assai più bellicoso, il quale si dota di una milizia privata (i parabalanoi) e dopo uno scontro forse pretestuoso fra ebrei e cristiani, caccia gli ebrei dalla città. I pagani sanno che il loro turno sta per arrivare quando, nel 414 il prefetto Oreste, estimatore di Ipazia e inviso al vescovo, viene aggredito da un gruppo di monaci e ferito. Il colpevole è condannato a morte, ma Cirillo gli organizza funerali in pompa magna e lo proclama martire.

Nel marzo 415 [1], un gruppo di monaci si apposta vicino alla casa di Ipazia, in attesa del suo rientro. «Tiratala giù dal carro, la trascinarono fino alla chiesa che prendeva il nome da Cesario; qui, strappatale la veste, la uccisero usando dei cocci. Dopo che l’ebbero fatta a pezzi membro a membro, trasportati i brani del suo corpo nel cosiddetto Cinerone, cancellarono ogni traccia bruciandoli».
Socrate Scolastico, da cristiano, non incolpa il vescovo. Lo fa Damascio, il filosofo pagano per il quale Cirillo «si rose a tal punto nell’anima che tramò la sua uccisione, in modo che avvenisse il più presto possibile, un’uccisione che fu tra tutte la più empia».

Da allora Ipazia scompare dalla storia, se non per prestare alcune sue doti a santa Caterina di Alessandria. Nel Settecento, ricompare in una disputa tra cattolici ed anglicani inglesi: di facili costumi – per i primi (che ci faceva, altrimenti, per le strade di Alessandria?), vittima del fanatismo per i secondi, così come nella voce Eclectiques , dell’Encyclopédie e per per Voltaire, Henry Fielding, Edward Gibbon e altri Illuministi.

Nel poema epico Ipazia o delle filosofe (1827), la contessa Diodata Saluzzo Roero tenta di ribaltare questa interpretazione. La sua Ipazia si converte al cristianesimo e muore da santa: «languida rosa sul reciso stelo/Nel sangue immersa la vergine giacea/Avvolta a mezzo nel bianco suo velo/Soavissimamente sorridea/Condonatrice dell’altrui delitto/Mentre il gran segno redentor stringea».

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Fonte: Enciclopedia delle donne

Autore: Sylvie Coyaud

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Articolo tratto interamente da Enciclopedia delle donne


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