sabato 5 novembre 2016

Turchia: continua il controgolpe di Erdogan

Turkish general election, 2015 - Peoples' Democratic Party (Turkey) Selahattin Demirtaş

Articolo da GlobalProject

Il caos regna sovrano da mesi in Turchia e se fino a qualche tempo fa l'establishment trovava ancora il tempo di perdersi in giochi di strategia politica estera - alla ricerca di alleanze e fondi necessari a rafforzare la sicurezza interna del Paese - ora le forzature volute dal Presidente e il conseguente aumento della tensione hanno dato il via libera ad un aumento indiscriminato di violenze, da una parte chi ha perso la vita, dall'altra le carceri riempite di migliaia di oppositori. Il rispetto dei diritti e della libertà di stampa sono ormai in caduta libera e il potere delle forze di sicurezza non conosce, al momento, limiti.

C'è una linea continua che collega tutti gli episodi verificatisi in Turchia dalle ultime elezioni al giorno d’oggi; anzi a dirla tutta c’è un disegno già ben definito, un piano studiato a tavolino, con un chiaro progetto strategico.

Il 15 luglio non c’è stato un colpo di Stato, ma c'è stata l’inaugurazione e il battesimo della rinata dittatura alle porte del Bosforo. Erdogan, che sapientemente negli ultimi venti anni è riuscito a reinterpretare il nazionalismo, grazie ad una buona dose di strategia del terrore è riuscito a riportare nelle grazie del popolo l’attaccamento alla bandiera turca. Il 15 luglio le strade delle principali città dell’Anatolia erano piene, la chiamata contro i nemici dello Stato ha avuto ampia risposta e la posizione del “Sultano” ne è uscita ulteriormente rafforzata: è stata la vittima principale di tutto questo gioco e la risposta popolare da lui invocata contro le forze armate golpiste, gli ha, di fatto, regalato un plebiscito di cui aveva sostanzialmente bisogno. Decine di migliaia di turchi sono scesi in piazza, costringendo i golpisti a fare una scelta: o sparare sul popolo, o rinunciare. A questo va aggiunto che le forze dell’ordine sono diventate un’emanazione diretta del ministro della difesa: da una parte la mente, dall’altra il braccio armato d’inaudita potenza. Un braccio armato non più coinvolto per salvaguardare la laicità e la democrazia dello Stato, bensì – grazie ad un indottrinamento certosino, per cui tutte le nuove leve delle Forze Armate donano fedeltà incondizionata a una figura centrale – per dare concretezza e operatività a una malcelata dittatura.

Questa è la più grande caccia alle streghe nella storia della Turchia, e le primissime ore di questo 4 novembre lo rimarcano con una precisione quasi chirurgica.

La svolta antidemocratica di Erdogan è all'apice, siamo al culmine di quella svolta repressiva intrapresa ormai tempo fa. Siamo tornati nell'era delle purghe, ma non siamo sotto il fascismo degli anni '40 in Italia. Siamo nel 2016, alle porte dell'Europa.

Le tensioni sono aumentate nel sud-est del paese nell’estate 2015, quando la fragile tregua col PKK è crollata. A questo va aggiunto che le ultime elezioni – sia quelle del 9 giugno 2014, e  in seconda battuta quelle del 1 novembre 2014 – avrebbero dovuto sancire il trionfo dell'Akp, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo, e con esso l'incoronazione definitiva di Recep Tayyp Erdogan a signore indiscusso della nuova Turchia, ma non hanno avuto l’esito sperato.

Questo per “colpa” dell’HDP che ha infranto il sogno presidenzialista e ha portato 59 seggi all’opposizione. L'HDP cerca di promuovere la causa della minoranza curda in Turchia difendendo i diritti dei curdi, così come quelli delle donne, della comunità LGBT e dei lavoratori. Una colpa che non è stata immune alla reazione del Sultano: nelle prime ore di questo venerdì, dopo la deposizione del co-sindaco di Diyarbakir, dopo il fermo al direttore del giornale storico Cumhuriyet, ecco che i due leader congiunti del Partito Democratico Popolare della Turchia sono stati arrestati insieme ad altri 11 deputati dell’HDP.

Demirtaş - definito l’"Obama curdo" da alcuni ammiratori – e Yuksekdag, erano da diversi mesi sotto il mirino del governo. Sono stati prelevati nelle loro rispettive case a Diyarbakir e Ankara, nell'ambito di un'indagine di antiterrorismo legata alle attività del Pkk e iniziata ad agosto, per la quale entrambi i dirigenti dell'Hdp erano stati citati in giudizio. Demirtas e Yüksekdag si erano rifiutati di presentarsi in tribunale, visto l'incarico di deputati che ricoprono, ma a maggio il Parlamento aveva deciso di revocare l'immunità degli accusati.

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Fonte: GlobalProject


Autore: 
Anna Irma Battino

Licenza: Creative Commons (non specificata la versione


Articolo tratto interamente da GlobalProject   



Photo credit Hilmi Hacaloğlu [Public domain], via Wikimedia Commons


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