mercoledì 19 ottobre 2016

Alla radice dello spreco alimentare


Articolo da Italia che Cambia

Secondo le stime ogni anno finiscono nella spazzatura mille miliardi di dollari di alimenti, senza considerare l'altissimo impatto ambientale dello spreco di cibo, problema che riguarda tutte le fasi della filiera. Per saperne di più del fenomeno, Anna Buzzoni, Agente del Cambiamento che vive a Berlino, ha intervistato Anke Klitzing, studiosa e scrittrice di cibo, popoli e luoghi.

Il 14 settembre 2016, l’Italia è diventata la seconda nazione europea a dotarsi di una legge contro lo spreco alimentare dopo che la Francia ha approvato la sua a febbraio 2016. Anche Spagna e Gran Bretagna dibattono da tempo sul fenomeno. I numeri abbondano ma non raccontano l’intera storia. Per approfondire il tema ho deciso di impiegare alcune delle mie ore da Agente del Cambiamento per intervistare a Berlino, la città in cui vivo, Anke Klitzing, studiosa e scrittrice di cibo, popoli e luoghi.

Gli esperti dicono che l’umanità non sia mai stata nutrita meglio di così, in termini calorici. Perché dunque preoccuparsi di spreco alimentare?

Calorie e nutrimento non sono la stessa cosa: le patologie causate dalla qualità e quantità delle calorie che assumiamo sono notevoli. Lo spreco, peraltro, non è solo un problema di sicurezza alimentare, ma significa perdere nutrimento, acqua, suolo, lavoro, energia e denaro.

Secondo il Ministero dell’Agricoltura spagnolo, le famiglie buttano circa un terzo della frutta comprata, ma raramente gettano surgelati e lattine. Alcuni hanno attribuito la responsabilità al cambio demografico: più piccolo il nucleo familiare, maggiore lo spreco (effettivamente, non solo in Spagna). Bisogna eliminare i single?

No, prima di tutto c’è da chiarire che la cosiddetta “catena” alimentare del sistema industriale predominante oggi ha lo spreco programmato in tutti i suoi passaggi. Questo aspetto è spesso trascurato. I due problemi principali che vedo sono: la linearità della catena, e la mancata condivisione delle responsabilità. Già a monte, il contadino è obbligato a comprare nuovi semi ogni anno, e a sovraprodurre per contrastare le perdite dovute a standard estetici, di impacchettamento, o a preferenze per particolari tagli di carne. Ne parlo sull’ultimo numero di Slow Food Magazine Germania.

A livello individuale abbiamo bisogno di una nuova economia domestica. Forse suona datato, ma in realtà è management, dove le rimanenze di un processo diventano lo spunto di un altro. Ovviamente ciò richiede tempo e spesso pensiamo di non averne, ma va a discapito di salute e portafoglio.

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Fonte: Italia che Cambia


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Articolo tratto interamente da Italia che Cambia



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