venerdì 7 febbraio 2014

Una giornata universitaria in Palestina

AlQuds Uni. Jerusalem Center

Articolo da Il lavoro culturale 

Mercoledì 22 gennaio. Come al solito, come tutti i miei studenti e colleghi, salgo nella mia macchina abbondantemente in anticipo rispetto all’orario di inizio delle lezioni. In Palestina non esiste altro modo per “fare fronte” all’evenienza di qualsiasi ritardo che il muro tra Cisgiordania e attuale Israele, i checkpoint e tutti gli altri ostacoli che il sistema di occupazione, colonialismo e apartheid messo in atto contro i palestinesi può creare quotidianamente. È l’unico modo per essere “sicuri” di “arrivare in tempo” all’università.
Scrivo “fare fronte”, “sicuri” e “arrivare in tempo” tra virgolette perché a volte all’università non ci si arriva proprio. Magari perché l’esercito israeliano blocca le strade o le entrate, o perché il sistema dei checkpoint che circonda le città palestinesi crea degli intasamenti che durano ore, e addio lezioni e università.
Arrivato al campus dell’Università di Al Quds, nella piccola città-bantustan di Abu Dis (dove da qualche anno insegno e dove dirigo il Programma di Diritti Umani e Diritto Internazionale), trovo cinque jeep militari dell’esercito di occupazione israeliano che sostano di fronte all’Università. Secondo quanto riportano fonti dell’Università di Al Quds, alcune settimane fa l’esercito aveva demolito un’abitazione situata di fronte al nostro campus e considerata un “rischio per la sicurezza di Israele” perché troppo vicina al muro che separa l’università da Gerusalemme. La mattina del 22 gennaio, i proprietari stavano cercando di ricostruire la piccola strada che porta alla casa e l’esercito è intervenuto.
Ovviamente la ricostruzione di una casa demolita o in questo caso della strada che conduce a essa, costituisce, in un contesto coloniale, un enorme affronto. Cancellare e ricostruire una presenza indigena è al cuore dello scontro tra chi da un lato costruisce colonie e demolisce case indigene, e chi invece dall’altro le costruisce e ricostruisce come forma di r-esistenza. Poco dopo che il proprietario ha iniziato a lavorare con un bulldozer per riaprire strada, l’esercito è intervenuto, ha confiscato il bulldozer e stazionato a lungo – come spesso accade, in maniera provocatoria– nei pressi delle entrate principali del nostro campus.


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Fonte: Il lavoro culturale 


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Articolo tratto interamente da Il lavoro culturale 


Photo credit Omergold (Opera propria) [Attribution, CC-BY-SA-3.0 o GFDL], attraverso Wikimedia Commons

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