mercoledì 4 settembre 2013

Messico: in piazza contro la riforma energetica e scolastica

CNTE Y SME: Todos los fuegos: el fuego
 
 
Sono passati più di dodici anni da quello storico giorno di marzo del 2001, quando, al termine della lunga marcia zapatista, il subcomandante Marcos aveva gridato ad uno Zócalo gremito “¡Democracia, justicia, libertad!”. E in queste settimane ancora lo Zócalo, una delle piazze più grandi e belle dell’America latina, è tornato ad essere occupato da proteste e manifestazioni. Città del Messico da quasi un mese ribolle tra le lotte di studenti, insegnanti e cittadini. Dallo scorso 19 agosto, in migliaia sono scesi in piazza contro la riforma del sistema d'istruzione, proposta dal governo di Peña Nieto.

Pomo della discordia sono le tre leggi immaginate per trasformare il mondo dell’istruzione messicano ed adeguarlo ai criteri internazionali. Leggi, invece, che i maestri riuniti nel sindacato Coordinadora Nacional de Trabajadores de la Educación e i movimenti studenteschi ritengono peggiorative per un già mediocre sistema formativo, perché accusate di compromettere la gratuità dell’istruzione e di precarizzare fortemente lo status lavorativo dei docenti. Inutile si è poi rivelata la proposta degli stessi insegnanti che nei mesi scorsi, attraverso la costituzione di forum regionali di discussione, avevano provato a presentare alcune proposte per modificare il sistema educativo secondario. Il governo di Peña Nieto ha, al contrario, mostrato sin da subito fermezza nell’andare avanti, trincerandosi spesso dietro un Parlamento riunito in seduta speciale.

Da qui la mobilitazione s’è allargata, e lo Zócalo s’è ingrossato sempre più. Fino al 1° settembre scorso, quando organizzazioni sociali, movimenti della sinistra radicale, studenti e gruppi del Movimento di Rigenerazione Nazionale, assieme agli insegnanti del CNTE, hanno manifestato in una Città del Messico blindata da migliaia di poliziotti, granaderos e federali; in un clima di tensione e provocazione, in cui i disordini hanno causato decine di feriti e sedici arresti. E per l’establishment politico legato a Nieto gli insegnanti sono diventati presto i cattivi maestri.

Ma dietro le manifestazioni consumatesi in queste ore c’è tanto altro. C’è, innanzitutto, un’opposizione sociale, assai eterogenea, che contesta le politiche del neo presidente Enrique Peña Nieto. L’uomo nuovo del PRI a livello nazionale che gestisce la cosa pubblica alla vecchia maniera, appoggiato dai maggiori network televisivi e dall’oligarchia industriale del paese. Volto patinato della politica messicana, che in campagna elettorale ha affascinato e convinto l’elettorato, che non disdegna sfruttare le sue capacità mediatiche, e quelle della moglie, nota attrice, né una certa dote di autoritarismo nelle decisioni. In maniera speculare al suo apprezzamento è montata presto l’onda della sua opposizione, come testimonia il movimento #YoSoy132.
 

 
Ed oggi la situazione appare ancor più in subbuglio. Perché quelle proteste inizialmente legate alla riforma scolastica si sono trasformate in un movimento ben più ampio. Nodo, forse ancor più cruciale, è diventato e sarà rappresentato, nelle prossime settimane, dalla Riforma energetica, uno dei capitoli principali del cosiddetto Pacto Para Mexico. Intenzione professata da settimane da parte del presidente Nieto è l’apertura ai privati del settore del petrolio e dell’elettricità: obiettivo principale è consentire alle multinazionali estere lo sfruttamento delle riserve controllate dalla compagnia petrolifera di stato Pemex (Petróleos Mexicanos). L’azienda venne creata infatti dopo che l’intero settore petrolifero fu nazionalizzato interamente da un decreto legge del presidente Lázaro Cárdenas, il 18 marzo 1838. Da quel giorno, il 18 marzo è diventato el día de la expropriación petrolera ed oggi oltre il 70% dei messicani è contrario al progetto di Nieto. “Pemex es de Mexico y se defiende” si dice da quelle parti.

Queste di Nieto sono riforme che appartengono sempre di più alla storia messicana del nuovo millennio; corsi e ricorsi che parlano di selvaggio sfruttamento minerario, cessione del patrimonio ambientale a progetti industriali incompiuti, svendita delle proprie coste al turismo rapace, concessioni di favore alle compagnie estere, fino al saccheggio della propria terra in nome di un unidirezionale disegno di progresso; mentre i cartelli criminali del narcotraffico, abili a mimetizzarsi e capaci di rigenerarsi, resistono tra il sangue e i proiettili dei loro omicidi. Questo lo sanno e questo denunciano i nahua di Santa María Ostula, gli ikoot di San Mateo del Mar, i coca del Jalisco e i guarijio di Alamo, riuniti lo scorso 17 e 18 agosto sotto la guida dell’EZLN, a San Cristobal de las Casas, in una sorta di internazionale dei popoli indigeni. Pare che nemmeno loro vogliano smettere di lottare. “Siamo indios, decisi a ricostituirci in un altro mondo possibile”. Così dicono.
 

 
Autore: Alessandro Bonvini


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Articolo tratto interamente da Il Corsaro - l'altra informazione


Photo credit Eneas De Troya caricata su Flickr - licenza foto: Creative Commons



 

1 commento:

  1. Caro Cavaliere, veramente un grande post! questa si che è informazione, caro amico grazie di tutte le informazioni che annunci sempre, primo!!!
    Tomaso

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