martedì 4 giugno 2013

Morire per troppo lavoro



Articolo da China Files

In molti hanno notato che la Cina sta diventando il primo paese per morte da stress. Addirittura Xinhua, l'agenzia stampa governativa, ha pubblicato uno studio che la piazza al primo posto per stress da lavoro tra tutti i paesi del mondo.  La chiamano guolaosi, morte per straordinari. In Cina si contano 600mila morti all'anno, in prevalenza colletti bianchi che lavorano nelle grandi città.

Qualche giorno fa un ragazzo di 24 anni è morto di arresto cardiaco sul posto di lavoro. Aveva fatto straordinari per un mese di fila. Nei giorni scorsi altri tre operai della Foxconn - l'azienda taiwanese che produce per Apple e Nokia, balzata sulle cronache internazionali per la catena di suicidi del 2010- si sono suicidati buttandosi dal tetto dell'azienda. In molti hanno notato che la Cina sta diventando il primo paese per morte da stress. Addirittura Xinhua, l'agenzia stampa governativa, ha pubblicato uno studio che piazza la Cina al primo posto per stress da lavoro tra tutti i paesi del mondo.

Le chiamano guolaosi, morte per straordinari, e significativamente si scrive con gli stessi caratteri usati nella parola giapponese karoshi. È stato infatti il Giappone a scoprire il fenomeno, studiarlo e, dal 1987, riconoscerlo in una diversa categoria di morte da lavoro. Negli anni in cui il Giappone devastato dalla seconda guerra mondiale si rimetteva in marcia con l'obbiettivo di ricostruire la sua potenza, fu chiamato addirittura “la nuova epidemia”.

Si dimostrò che era impossibile per un uomo lavorare dodici o più ore al giorno per sei o sette giorni alla settimana. Anno dopo anno, l'individuo comincia a soffrire di danni permanenti, fisici e psicologici, la cui soluzione estrema è appunto la guolasi, morte per straordinari. Il Giappone poi nell'aprile del 2008 arrivò a una sentenza storica: un'azienda fu legalmente costretta a compensare un suo lavoratore caduto in coma per eccesso di lavoro con 200 milioni di yen.

Da allora sono cambiate molte cose. E la Cina, insieme al secondo posto nell'economia globale, ha strappato al Giappone il primato di morti per stress da lavoro. Le statistiche elaborate dalla multinazionale Regus e citate dall'agenzia di stampa governativa cinese Xinhua, parlano di 600mila morti all'anno, in prevalenza colletti bianchi che lavorano nelle grandi città.

E bisogna considerare che non ci sono solo le morti. Sintomi acuti di stress da lavoro includono insonnia, anoressia e dolori addominali. Un sondaggio su mille individui tra i 20 e 60 anni condotto dal Global Times, spinn off in lingua inglese del Quotidiano del Popolo (o del Partito), dimostra come la maggioranza degli intervistati non li ritiene motivi abbastanza gravi per rivolgersi al medico. E così non è possibile stimare il numero di chi, anche se non muore di lavoro, soffre danni fisici.

Ci sono diversi studi in Cina che dimostrano che la maggior parte di cinesi non sono soddisfatti del loro lavoro, e recentemente un articolo del Financial Times ha sottolineato come gli studenti che si laureeranno quest'anno entreranno nel mercato del lavoro peggiore che la storia della Repubblica popolare cinese ricordi. E non saranno pochi. Secondo il Ministero dell'istruzione cinese quest'anno concluderanno le università quasi 7 milioni di studenti, 190mila in più rispetto a quelli dell'anno scorso.



E i media locali sono preoccupati. Trovare lavoro nel 2013 è già parecchio difficile, più difficile ancora che alla fine del 2008 quando la crisi economica aveva raggiunto il suo picco. Un video che denuncia la situazione lavorativa che questi giovani si trovano ad affrontare è immediatamente diventato virale sulla rete cinese. Racconta storie individuali di giovani 25enni con lavori più che dignitosi. Ma in tutti c'è un sentimento di ansia e di stress: soldi mai sufficienti, relazioni interpersonali difficili e straordinari senza fine che rubano il tempo alla vita reale. E nonostante questo nessuno di loro sente che un giorno sarà abbastanza “ricco” per comprarsi una casa, magari costruire una famiglia.

È un sentimento contrastante quello che provano, perché non si può dire che la Cina di oggi sia infinitamente più ricca e istruita di quella di anche solo cinque anni fa. Ma è allo stesso tempo più cara, più competitiva e, in un certo senso crudele. E chi lo denuncia è proprio quella classe media che se attualmente rappresenta il 10 per cento della popolazione è prevista arrivare al 40 entro il 2020.

Sono quelli che hanno beneficiato della crescita e che per la prima volta si accorgono che forse non staranno meglio della generazione dei loro genitori a porre le problematiche sociali e ambientali. E saranno loro, forse, a costringere il governo a risolverle.

Fonte: China Files

Autore: Cecilia Attanasio Ghezzi

Licenza: Licenza Creative Commons

Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Unported.

Articolo tratto interamente da China Files

2 commenti:

  1. Nessun commento, la cosa mi preoccupa e mi rattrista, non si può ridurre così un essere umano, spero che la gente rifletta e che rinunci a cambiare il telefonino come un paio di calze.
    Basta consumismo, basta con questa folle corsa alle cose inutili, riflettiamo.
    Ciao Cav. e buona serata

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  2. Ormai in Cina sono tornati all'epoca dei Ming, anzi, no, del dominio dei Tartari.

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